Nel 1998, in preda allo sconforto per essersi reso conto di aver passato la sua vita senza aver combinato mai nulla di utile, Homer Simpson capì che era arrivato il momento di una svolta. Decise che avrebbe riscattato la sua esistenza diventando il nuovo Edison, l’uomo che gli statunitensi considerano l’inventore per eccellenza. Ma Homer era quello che era e, malgrado gli sforzi, era riuscito a produrre solo roba del tutto inutile (un allarme che suona ogni tre secondi per avvisare che è tutto a posto e un fucile spara make-up) o già inventata (una sedia con cui è impossibile ribaltarsi) e a procurare, per questa ragione, fama e ulteriori ricchezze solo ad altri (gli eredi di Edison, in questo caso).
L’intensa attività di ricerca svolta dal nostro in quel periodo particolarmente creativo è testimoniata da un’immagine che lo vede concentrato e col gesso in mano di fronte a una lavagna piena di formule. La scena apparve per pochi secondi nell’episodio The Wizard of Evergreen Terrace, il secondo della decima stagione, e fu subito notata da Simon Singh, divulgatore scientifico con un dottorato di ricerca in fisica. Singh avrebbe presto scoperto che alcuni autori della serie possedevano una formazione matematica e scientifica di altissimo livello e che questa era la ragione per cui The Simpsons poteva essere considerato «il programma televisivo più matematicamente sofisticato nella storia delle trasmissioni in prima serata». La matematica dei Simpson era insomma tutt’altro che una boutade e sarebbe valsa la pena scriverne. The Simpsons and Their Mathematical Secrets esce così nell’ottobre del 2013 e i suoi contenuti anticipati un mese prima sul “Guardian” dallo stesso autore. La cosa interessa, ma con moderazione: è pur sempre matematica.
Perché il caso esploda davvero bisognerà attendere il primo marzo del 2015 quando lo stesso Singh ribadirà con maggiore enfasi, su“The Independent”, che l’inetto abitante di Springfield era riuscito a predire il valore numerico della massa del bosone di Higgs, la famigerata “God particle”, ben 14 anni prima che ne venisse annunciata la scoperta al CERN di Ginevra. La formula è lì sulla lavagna, bianco su nero, basta saperla leggere. La M sta per massa e H0, dentro le parentesi, è il simbolo che denota l’Higgs. Tutto quello che sta a destra del simbolo di uguaglianza è roba nota, un pi greco e altri tre simboli che designano tre importanti costanti di natura: la velocità della luce nel vuoto (c, che sta per celeritas, almeno secondo Asimov); la costante di gravitazione universale (G); la costante di Planck (h, senza la quale non potreste godere di tutte le apparenti e fin troppo blaterate stranezze della meccanica quantistica). Metteteci i numeri, fate il conto e il numero che ne verrà fuori sarà sei volte più grande del valore sputato dagli esperimenti. Pazienza. Per uno come Homer è comunque un successo.
Singh, una cosa però l’ha dimenticata e cioè di spiegare il significato del numero 137, una cosa incredibile a pensarci bene, perché proprio quel numero ha rappresentato per molti fisici quello che il 42 rappresenta per tutti gli altri, la risposta alla solita trita e ritrita tiritera. 1/137 (circa) è infatti il valore numerico assunto da un’altra importante costante di natura nota come costante di struttura fine che gioca, per l’interazione di natura elettromagnetica, lo stesso ruolo che gioca G nell’interazione di tipo gravitazionale. Per Richard Feynman il 137 «ci è piombato addosso senza che ne comprendessimo la ragione. Si potrebbe dire che a scriverlo sia stata la “mano di Dio” e che noi “non sappiamo come Egli abbia trascinato la sua matita”. Sappiamo che tipo di esperimento va eseguito per misurarlo in modo molto accurato, ma non sappiamo che tipo di danza si debba eseguire per estrarlo da un computer senza averlo prima inserito di nascosto!».
Sir Arthur Stanley Eddington, una delle menti più brillanti e audaci del suo tempo, l’astrofisico che nel 1919 dal golfo di Guinea aveva annunciato al mondo che certe fondamentali conseguenze della teoria della relatività generale di Einstein erano più che una speculazione teorica, era certo di averne carpito il segreto. I suoi calcoli mostravano incontrovertibilmente che il reciproco della costante di struttura fine non poteva che essere pari a 136. Un numero pari e “triangolare” come l’uno, il tre, il sei e il dieci, tutti numeri dalle proprietà speciali, sacri e venerati. Pitagora ne sarebbe stato fiero.
«Ma come Sir Arthur? Il dato sperimentale è un altro, è pari a circa 137, e l’errore è ben tre volte più piccolo della differenza col suo 136, come la mettiamo?» Ma lui era una roccia: «Sì, è vero! Malgrado ciò non credo proprio che sia colpa della teoria. Ho seguito tutte le regole a puntino, non sono certo io quello che sbaglia!» Parole assai simili a queste, Eddington le scrive in un articolo pubblicato il primo gennaio 1929 sui “Prooceedings of the Royal Society”. Solo un mese più tardi Wolfgang Pauli, uno dei celebri padri della meccanica quantistica, in una lettera al fisico svedese Oskar Klein, commenterà con durezza: «Considero il “lavoro sul 136” di Eddington completamente privo di senso; per essere ancora più preciso, una cosa per poeti romantici, non per fisici». Passerà un anno ancora e Eddington sarà costretto a riconoscere che malgrado la sua teoria fosse talmente solida da rendere impossibile anche il più piccolo errore, lui era riuscito comunque a commetterlo e perciò, ahimè, non poteva che prendere atto che 137 era la risposta esatta al dannato mistero. 136 più 1, un numero non più triangolare, niente Pitagora quindi e nessun numero “sacro” da agitare tra la folla. «Ma come Sir Arthur? Il risultato dell’esperimento non è mica esattamente 137, è 137 virgola qualcosa, 137,03599913 circa, ed è stato stabilito ormai con grande precisione, come la mettiamo? … Sir Arthur? … Sir Arthur?»
L’aneddotica sul 137 è enorme e piena di colore. Qualche piccolo brivido, ad esempio, ve lo procurerà apprendere che Wolfgang Pauli, precipitato anche lui nell’ossessione per quel numero, morirà il 15 dicembre 1958 nella camera 137 dell’Ospedale della Croce Rossa di Zurigo. Un po’ di stupore invece vi lambirà quando scoprirete che sulla lavagna di fronte alla quale Enrico Fermi è stato fotografato in varie pose, gesso in mano, il 26 marzo 1948, la formula della costante di struttura fine, posta sulla sua testa e denotata con la lettera greca α, è sbagliata. Uno scherzo o una grossolana distrazione? Non si sa.
«Giovanotto, se io fossi in grado di ricordare il nome di tutte queste particelle, sarei un botanico», aveva detto una volta Fermi a un giovane Leon Lederman, futuro Nobel per la Fisica, proprio colui il quale conierà “the goddamn particle”, poi diventata “the God particle” suo malgrado. Particelle o simboli, però, qua le coincidenze cominciano a diventare troppe. E poi, Fermi alla lavagna non vi ricorda Homer?
Allora, facciamo un po’ di ordine e saliamo sulle spalle dei giganti per riuscire a guardare lontano. Per Homer Simpson il 137 contribuisce a determinare il valore della massa di una particella, l’Higgs, che è associata a un campo «i cui gelidi tentacoli raggiungono ogni angolo dell’universo» (parole di Lederman) per donare massa a tutte le particelle elementari. Eccolo l’universo e tutto quanto, il 42. Non dimentichiamo poi la divinità, la “particella Dio” o il Dio che per Feynman ha tracciato quelle tre cifre sulla carta, e dunque ci servono l’1 o il 3, il numero perfetto. Altro? Non credo. Ed ecco qua, il gioco è fatto e con tutte e quattro le operazioni fondamentali:
137=3*42+42/3-3
Eddington? Pfui! I padri del 137 sono Homer Simpson e Douglas Adams, il primo ha indicato la via, il secondo ha fornito il numero e adesso, finalmente, abbiamo l’indirizzo completo. E ora perdonatemi ma vi lascio, mi aspetta “Nature”, non penserete mica che dopo aver raggiunto un risultato così rivoluzionario io possa perdere ancora tempo coi fumetti? Tsk!
P.S. Ve l’ho detto che il 137 è anche il 33° numero primo?
4 risposte su “Il mistero dei numeri senza senso”
Andrea Migliori
Avevo letto, tanti anni fa, che Eddington era stato soprannominato “Adding-one” proprio per quella sua teoria sulla costante di struttura fine.
Peppe Liberti
Sì, assolutamente, proprio per il fatto di aver aggiunto 1 a 136. Dappertutto è scritto che è responsabilità della rivista satirica Punch https://it.wikipedia.org/wiki/Punch_(rivista) ma senza specificare altro. Con un po’ di fatica ho scoperto che si tratta di un poema di un certo V. Fock pubblicato in un numero di Punch del 1930. L’ho cercato ma ancora non sono riuscito a trovarlo.
Peppe Liberti
Trovato!
Sir Arthur Adding One
137 1840
Though we may weigh it as we will,
Exhausted and delirious,
One-hundred-thirty-seven still
Remains for us mysterious.
But Eddington, he sees it clear,
Denouncing those who tend to jeer;
It is the number of (says he)
The world’s dimensions. Can it be?!—
The world enfolding you and me?
The world that holds Sir Arthur E.?
The very world we smell and see?—
Oh come, he can’t be serious!
Well, here’s a number of my own
(In tit for tat I revel):
One-thousand-eight-four-oh. I’ve shown
It’s strictly on the level.
Sir Arthur, keep your puny sum,
It’s yours from now to Kingdom Come!
My 1 and 8 and 4 and 0
Will fit a world we’ve yet to know —
So on and upward with the show!
And on my cauldron down below
Let these four figures shine and glow,
Bewildering the Devil!
Vladimir Aleksandrovich Fock (1898-1974, quel Fock)