Diagnosi

Boris e Paolo | QUASI |

Due settimane. Allo stato attuale delle cose, questo è il tempo di incubazione più temuto. Quello necessario perché si rivelino i sintomi dell’infezione, per paura della quale ci siamo tutti autosegregati. E, a causa della quale, QUASI non è potuta uscire, come la volevamo, di carta. Si è ritrovata imbrigliata in questa versione digitale.

Aspetta… Non fraintenderci. Non indignarti. Siamo in grado di valutare le proporzioni e non stiamo riducendo a noi, al nostro ombelico e al nostro giornaletto, il dramma attuale. Pur non avendo capito il mondo, abbiamo colto quanto è complesso e non è nostra intenzione mostrarlo più semplice attraverso la chiave interpretativa della nostra soggettività. Leggi QUASI da due settimane. Sei uno dei NESSUNO e a te, come a noi, piacciono le metafore, anche quando ne abusiamo.
Ottimo! Ci siamo chiariti. Possiamo andare avanti. Ecco, dicevamo…

Quando i sintomi si rivelano si può azzardare una diagnosi.

E via con un’altra metafora azzardata e con un altro paragone tra oggetti con livelli di complessità imparagonabili.
Come la complessità del mondo nasce dalla rottura del vaso di Pandora, QUASI nasce dalla rottura di una delle regole più semplici, diffuse, accettate, della critica del fumetto. Una regola che ha sicuramente delle eccezioni, ma che è rappresentativa della gran parte del sistema che le si costruisce attorno. Le eccezioni sono così poche che, a vederle, sembrano puntini, nei, imprecisioni. Roba fastidiosa che, con un intervento estetico abbastanza economico, può essere rimossa, corretta, regolarizzata.

La regola che QUASI ha rotto è questa:

Per saper dire (e, soprattutto, per voler dire) cose sui fumetti, basta averne letti (magari anche tanti, magari addirittura troppi) o fatti (magari anche mediocri, magari addirittura brutti).

Fare QUASI e rompere quella regola sono atti necessari.
Perché siamo lettori di fumetti e non vogliamo essere stupidi. Perché il rischio che si corre a parlare di fumetti, avendo nella propria cassetta degli attrezzi (non a caso abbiamo chiamato così una delle rubriche di questa fanzine) solo fumetti (letti o fatti, non fa molta differenza), è quello di esaurire il mondo e la sua complessità nei fumetti.

I fumetti non sono il mondo. Ne sono una parte. Piccola, per giunta. Sono uno dei tanti percorsi possibili di quel “labirinto di intenzioni” in cui si muove (e spesso si perde) la nostra necessità di raccontare la complessità della realtà che abitiamo.
Sappiamo che il mondo è molto complesso. Siamo convinti sia così tanto complesso che nessuna area di competenza specifica possa rappresentarlo compiutamente. Gli esperti di qualcosa hanno gli strumenti per offrire una vista parziale su un fenomeno che, se non viene debitamente comparata verificata analizzata con tutte le altre viste disponibili, produce un racconto parziale e fallace. Come in Rashomon di Kurosawa.
Gli esperti di fumetti tendono a ridurre la realtà al reticolo delle loro letture, come se un esploratore si accontentasse di una mappa fatta da altri e non volesse conoscere il territorio di cui quella mappa è, necessariamente, sommaria rappresentazione.

Umberto Eco, occupandosi per gioco di un racconto di Jorge Luis Borges nel saggio breve “Dell’impossibilità di costruire la carta dell’impero 1 a 1” (nel Secondo diario minimo), ci ha dimostrato che la mappa con la scala più vicina alla realtà non può che essere una riproduzione del territorio imprecisa, infedele, fallace.
Come è possibile, allora, comprendere la realtà, se neppure la più dettagliata tra le mappe è in grado di rappresentarcela nella sua completezza?
Ci abbiamo picchiato la testa a lungo su questo paradosso. Da quando, più o meno, abbiamo imparato a leggere i fumetti.

Finché ci è venuto in aiuto un signore che si chiamava Paul Karl Feyerabend, dei fumetti non gliene fregava niente e si occupava di epistemologia. Questo tipo dallo sguardo luminoso ci ha spiegato che, quando costruiamo una teoria per spiegare un fatto, il fatto stesso, una volta spiegato per mezzo di quella teoria, diventa una cosa diversa.
In altre parole: i fatti dipendono dalle teorie con cui sono spiegati; non è dunque in alcun modo possibile mettere a confronto assunti teorici ed evidenze fattuali.

Tracciare una mappa significa modificare idealmente il territorio di cui si vuole realizzare la rappresentazione. Per questo la mappa non potrà mai essere fedele, ma sempre approssimativa.

Per questo motivo le rubriche di QUASI che, in quanto nostro NESSUN lettore, hai potuto leggere in queste due settimane, non raccontano il fumetto attraverso il mondo del fumetto, ma usano il fumetto per raccontare e “interpretare” il mondo reale. Per questo motivo la diagnosi che accomuna i molto felici pochi che fanno e leggono questa rivista, è quella della approssimatività del proprio cammino lungo i percorsi dell’immaginario, e della consapevolezza che quell’approssimazione non è sintomo di incompetenza, ma di assoluta libertà. La libertà di cambiare strada a ogni groviglio simbolico, per costruire strani anelli.

Per questo motivo QUASI si chiama QUASI.

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(Quasi)