Il corpo, la sua presenza nel mondo, il suo muoversi, agitarsi, contaminarsi, amare… Per noi di QUASI, il corpo è proprio un’ossessione. Ci pensiamo continuamente. E, dopo un periodo che ci ha obbligati alla distanza, sentiamo il bisogno di quelli altrui. Li vogliamo guardare, ascoltare, annusare, toccare…
È proprio questo il motivo per cui Il corpo è il breve romanzo di Stephen King che più amiamo. La storia la conosci. A Castle Rock è sparito un ragazzino e si mormora che sia morto. Un gruppo di dodicenni si avventura alla ricerca del corpo, uscendo dalle mura e affrontando l’avventura. È un rito di passaggio, è chiaro, che mette al centro il corpo nel momento esatto in cui sta per trasformarsi. L’adolescenza lo cambierà con un processo dolorosissimo. L’inizio di quel racconto del 1982 è fulminante e parla proprio di corpi:
«Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto, come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portar via. E potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire affatto quello che avete detto, senza capire perché vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate. Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare.»
Il corpo, inteso come strumento per vivere raccontare e ascoltare storie, è al centro dell’opera più importante di Clive Barker, uno scrittore gigantesco che si è perso troppo presto in narrazioni sbrodolone. I suoi Libri di sangue si aprono con un racconto breve che funge da cornice a tutte le storie successive. Il medium Simon McNeal è un truffatore: si rinchiude, tutto nudo, in una stanza appena imbiancata, estrae un pezzo di grafite da sotto le unghie e scarabocchia vite inventate dei morti sulle pareti. I morti non hanno più corpo ma possono essere molto vendicativi e, alla prima occasione, scrivono a sangue la loro vita, vera e terrificante, sulla pelle del medium fraudolento. Lo sappiamo, non è troppo originale. Il gigantesco Ray Bradbury aveva usato lo stesso stratagemma, nel 1951, per inscatolare i racconti dell’Uomo illustrato, ma a lui non era venuto in mente un claim potente come quello di Barker: «Siamo tutti libri di sangue / in qualunque punto ci aprano / siamo rossi».
Quando, nel 2007, i Têtes de Bois hanno pubblicato Avanti Pop, una patina di stupore si è adagiata su di noi, sui nostri corpi, quando abbiamo scoperto che uno dei pezzi più belli del disco, Il mio corpo, portava la firma di Giorgio Gaber. Non avevamo mai sentito prima quella canzone potente e retorica. Leggendo le note del disco si capiva che il brano era stato scritto perché lo cantasse la moglie Ombretta Colli. A quel punto, abbiamo cercato per un po’, infruttuosamente, l’incisione originale. Poi, come troppo spesso ci succede, ci siamo dimenticati.
«Mi alzo e dentro lo specchio osservo il mio corpo
E lo vedo sopra i muri il mio corpo nudo
Stupendi corpi di donna sopra giornali e manifesti
Stupendi corpi di donna vicino a lavatrici e a bottiglie di birra
E sono oggetti anche i corpi degli oggetti da comprare
Delle donne da comprare, una vita da comprare»
La violenza del riflesso dello specchio che costringe il corpo a coprirsi, quando scopre di non essere più “un corpo da ragazza”, si contrappone ai dolori della crescita e alla trasformazione. Charles Burns, fumettista specializzato nel disegnare corpi con un segno pesante da “linea scura”, ha messo l’adolescenza al centro della sua poetica. Racconta quella terribile età di passaggio in tutti i suoi fumetti. In particolar modo, ci pare che la metafora emerga in Black Hole. L’adolescenza è un virus, sessualmente trasmissibile. Ti trasforma in una creatura mostruosa, costretta a nascondere con cura le stigmate del male.
Michel Houellebecq di recente ha definito il Covid-19 “un virus senza qualità”, proprio perché privo dell’aura di maledizione delle pesti che lo hanno preceduto. Non ha nulla a che vedere con il sesso, con la droga e neppure con il rock’n’roll. Questa sua natura lo accomuna al terribile male che uccide tutti gli adulti nell’Ultima gioventù, ciclo di storie realizzato da Carlos Trillo e Horacio Altuna tra il 1982 e il 1983. Non serve che ci si tocchi. Basta avere un corpo che sente passione e trasporto, come mostra quell’ultimo, terribile, capitolo.
Il bisogno di vicinanza e contatto ci riporta al romanzo breve di King. Nel 1986 Il corpo è stato portato al cinema da Rob Reiner. È interessante osservare che, per quella versione, è stato scelto un titolo che parla proprio di prossimità dei corpi: Stand by me.
Lo strano anello si compone di:
- Stephen King, Il corpo, contenuto in Stephen King, Stagioni diverse, Sperling & Kupfer, 2018 (ed. orig. 1982)
- Clive Barker, Books of blood, sei volume tra il 1984 e il 1985 (I titoli delle edizioni italiane sono così casuali che abbiamo rinunciato a ricostruire la corrispondenza).
- Têtes de Bois, Avanti Pop, Il manifesto CD, 2007
- Charles Burns, Black Hole, Coconino, 2020 (ed. orig. 1995-2005)
- Carlos Trillo e Horacio Altuna, L’ultima gioventù, Lineachiara, 2014 (ed. orig. 1982-1983)
- Stand By Me (1986) regia di Rob Reiner.
Per definirlo, abbiamo sognato per tutto il tempo il momento in cui potremo scodellare una spaghettata aglio, olio e peperoncino con gli amici. Addenteremo quegli spaghetti bevendo un bel Trebbiano d’Abruzzo, naturale e in purezza, macerato sulle bucce solo 4 giorni e affinato pochi mesi in barrique esausta.