di Lorena Canottiere
Parlare di come e quando nasce un libro è un’impresa a dir poco nebulosa. Nel mio caso, e non solo rispetto a Salvo Imprevisti, riuscire a dare una risposta al quando e al come vuol dire raccontar bufale, probabilmente per tagliar corto.
È successo quando, sul treno di ritorno dal Comicon di Napoli, appena uscito Verdad (il libro precedente), ho riempito freneticamente un quaderno di appunti e dialoghi e sequenze senza preoccuparmi troppo di quel che stavo scrivendo?
Oppure quando ho pensato di voler parlare, in qualche modo, di comunicazione?
Quando un amico mi ha parlato dei suoi colleghi astrofisici che auscultano il cosmo alla ricerca di qualche “rumore” inconsueto?
Quando ho scovato nei Diari di Katherine Mansfield il racconto di un periodo della sua vita che descrive perfettamente quello che io volevo raccontare o quando quindici anni fa disegnai un rifacimento a fumetti di un suo racconto?
Chissà.
In realtà non mi interessa minimamente. Salvo Imprevisti non ha una data di nascita, è semplicemente la continuazione di un discorso che trova spazio in tutto ciò che faccio: svolta, gira, esplora, torna sui suoi passi.
A ogni svolta qualcosa cambia, anche nel metodo di lavoro.
Salvo Imprevisti, per esempio, parte dall’idea di parlare di comunicazione. Non avevo un’idea di storia, né avevo in mente personaggi o epoche, sapevo solo quello di cui volevo parlare. Per questo i personaggi sono arrivati dopo, in un secondo momento, partivano come dichiarati, semplici strumenti di narrazione: non era la storia a parlar di loro, ma loro a parlare della storia. Più come in un documentario che un film di fiction. Poi si sono presi il giusto spazio e la giusta libertà, come solo i personaggi di una storia sanno fare. (È vero che i personaggi sono sempre “strumenti” di narrazione, ma in questo modo il mio approccio è stato totalmente diverso che nei precedenti libri.)
Gran parte della documentazione è stata fatta “dal vivo”, con incontri e interviste e anche questo non avevo mai fatto. È stato divertente, soprattutto la parte di Marzia (l’adolescente hacker che finisce nei guai), ma ho dovuto imparare a gestire questo modo di lavorare. Normalmente quando ci si documenta si diventa delle specie di topi da biblioteca, la ricerca si spande a macchia d’olio, si accumula una quantità di informazioni enorme da cui poi si screma, si sceglie una via, in cui ci si orienta e quando un’informazione ci esalta, la mente la elabora per costruire la storia, lateralmente, per conto suo, mentre noi continuiamo a cercare; con le testimonianze dirette il dialogo viene deviato anche dal narratore, non c’è lo spazio né il tempo per far volare la mente altrove e l’entusiasmo non è solo il nostro. Chi racconta non è imparziale come un testo scritto o un documentario. Si ha molto meno tempo a disposizione e si deve fare attenzione a non divagare troppo, anche se è così che nascono le idee.
Salvo Imprevisti è anche il primo fumetto con pagine interamente digitali. Quelle in cui parla Rocìo, l’intelligenza artificiale, sono disegnate interamente a computer- anche se poi mi sono disegnata i retini a mano. Non solo la texture a pallini nelle pagine di Rocìo è un mix di disegno manuale e digitale, ho disegnato a mano anche quella aggiunta alle tavole di Marzia (il colore viola che ho aggiunto sulla pagina e poi cancellato con la gomma a computer). È stata una scelta impulsiva, mi è sembrata la migliore per ottenere quello che avevo in mente.
Spero che queste informazioni sulla lavorazione di Salvo Imprevisti possano essere una chiave di lettura in più al fumetto, come quando si assiste ad un concerto dal vivo e si scopre che quella sonorità che ci ha incuriosito nasce dalla preparazione di uno strumento acustico oppure dall’uso di un oggetto o strumento di cui, ascoltando solamente, non si era intuita la natura. Però sono convinta che l’ascolto “alla cieca” offra all’ascoltatore impressioni preziosissime e in quelle, credo, stia la nostra empatia con la musica, il nostro trovare là dentro qualcosa che ci appartiene.