Capita sempre… anzi, scusa, capitava in quell’altro spensierato tempo della nostra vita, ma facciamo finta che questo sia un intervallo che presto dimenticheremo. Dicevamo…
Quando siamo in un locale e ordiniamo una bottiglia del nostro champagne preferito perché abbiamo un motivo per berlo, capita sempre che qualcuno che si crede particolarmente originale attacchi a canticchiare quella insulsa canzonetta di Peppino di Capri: «…per brindare a un incontroooo».
Quando succede, tutte le volte, ci monta una gran voglia di guardarlo dritto negli occhi e dirgli: «No, nessun cazzo d’incontro, a questo tavolo pensiamo abbia ragione Emis Killa quando canta che la vita è fatta di spine e l’unico motivo per brindare con lo champagne è lo scontro quotidiano.»
Invece no. Siamo educati. O forse solo pavidi. Abbozziamo un sorriso indecifrabile che lui possa interpretare come complicità. In realtà è il giusto compatimento che ci permette di ripristinare il guscio amorevole per goderci in silenzio il nostro Pol Roger.
È necessario, quando si ha in mano il bicchiere di champagne, osservare un religioso silenzio. Bere champagne è un’esperienza che non riguarda soltanto i tre classici sensi coinvolti dalle altre esperienze enologiche: la vista, l’olfatto e il gusto. Lo champagne impegna anche l’udito. È stato Maurice Holland, presidente dell’Accademia nazionale di Reims, in una serie di lezioni tenute agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso, a spiegare bene questa cosa. L’udito viene sollecitato prima di quanto lo siano gusto e olfatto. Già dall’atto della stappatura. Ed è questo il motivo per cui si deve sempre ordinare una bottiglia di champagne e mai un singolo bicchiere. Quella bottiglia richiede la nostra attenzione uditiva: il botto del tappo, che può essere festoso o malinconico, poi il sibilo che il vino fa, spiccando il salto dal collo della bottiglia a una velocità che – non lo diresti eh? – varia tra i 40 e 60 Km/h, dandoti informazioni imprescindibili sulla tenuta della CO2 e quindi sul sapore che sentirai poi in bocca. E la conclusione, momento quasi filosofico come l’inchino con cui Isadora Duncan alla fine di ogni suo ballo lasciava le assi del palcoscenico, il suono della danza delle bollicine di cui il vetro del bicchiere diventa diffusore. Ecco, perché devi stare in silenzio, per avvicinare la flûte all’orecchio e ascoltare quella sinfonia.
Non si beve champagne per dissetarsi. Bere champagne è sempre un atto critico.
QUASI ha più di un mese. È nato il 25 aprile, giorno della festa più bella del mondo, quella in cui si festeggia la sconfitta del nazifascismo e in cui bisogna stappare champagne. Qualche mese dopo quel 25 aprile di 75 anni fa Elio Vittorini fondava “il Politecnico”, e se abbiamo scelto questo giorno preciso per cominciare QUASI è perché di quell’esperienza critica vogliamo sentirci, in qualche modo, eredi.
Sir Winston Churchill, e non è una leggenda, beveva due bottiglie al giorno di Pol Roger. Una a pranzo e una a cena. Poi ovviamente c’erano gli altri vini e i single malt, ma se la sua passione per il vino è passata alla storia è per le 42.000 bottiglie di champagne che ha bevuto negli ultimi 65 anni della sua vita (ne campò 91). Noi di QUASI arriviamo alla grandezza (intesa come stazza) di Sir Winston forse se ci pesiamo tutti insieme ma, anche se uniamo tutti i nostri redditi, mai potremo permetterci due bottiglie al giorno di quel nettare divino.
Però una bottiglia, magari proprio riserva Winston Churchill 2008, per questo complemese vogliamo stapparla.
Il botto è festoso, versiamo e il flusso è energico. Alziamo le flûte e lasciamo che le bolle eseguano la loro musica. È la stessa musica su cui cerchiamo di far ballare le parole che infiliamo tra le colonne di QUASI.
Mentre la ascoltiamo, nitida e distinta, quella musica, pretendiamo silenzio assoluto (è impossibile, lo sai, ce lo ha spiegato con chiarezza John Cage). E mentre godiamo, riusciamo finalmente a capire l’assenza di suoni che viene dal mondo ufficiale degli addetti ai lavori: stanno ascoltando, in ecumenico silenzio, le nostre bollicine.
Facciamo tintinnare i calici, in uno SCONTRO simbolico, e beviamo.