“Il metodo di un cantastorie: conversazione con Francesco Guccini” di Daniela Massafra, PENS: Poesia Contemporanea e Nuove Scritture, 25 luglio 2018.
Se siamo presi da gnommeri e strani anelli, la colpa è anche sua. Non esiste un altro cantante capace di carambole lessicali tanto quanto Francesco Guccini. Per anni i suoi dischi hanno accompagnato le nostre vite.
Se, mentre parliamo – di tutto e di niente, di vino che muove i ricordi, di carità della gente, di dei e filosofi sordi – il nostro interlocutore attesta Guccini al lungo elenco dei cantautori rompicoglioni, ecco, a quel punto leviamo gli occhi al cielo per poi riportarli nei suoi, carichi di commiserazione.
Guccini è un gigante gigione, capace di incredibile ironia. Un narratore che si perde nelle strutture ritmiche dei suoi racconti, indipendentemente dalla musica che decide o meno di montare loro sopra. I suoi concerti sono delle feste con un grande standup comedian che, spesso, canta facendosi accompagnare da un gruppo di musicisti bravissimi.
Da qualche anno si è ritirato. Ha smesso di incidere e di fare concerti.
Rimane chiuso nella sua Pàvana a scrivere e ha regalarci filastrocche antifasciste per il 25 aprile. Ci manca la sua voce e, di tanto in tanto, cerchiamo le sue parole in rete.
Abbiamo trovato questa lunga intervista e ci è impossibile leggerla senza sentire la sua “R” che si arrotola e si nasconde, strappandoci risate.
«Io sono bilingue, nel senso che parlo il modenese di mia madre e il pavanese di mio padre, avessi avuto un padre inglese e una madre francese avrei risolto molte più cose nella vita, e invece mi devo accontentare di due dialetti.»
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