Giappone oggi

Boris e Paolo | Strani anelli |

Tutti presi dal binge watching, dimentichiamo spesso alcuni capisaldi della serialità televisiva. Tra il 1959 e il 1973, furono trasmesse le quattordici stagioni, per un totale di 430 episodi, della serie western più longeva di tutti i tempi, Bonanza. La si poteva vedere anche in Italia e, quando ne parliamo tra di noi, ci accorgiamo di non ricordarla e di non avere alcun desiderio di rivederla. Allora, forse, il fatto che ce la siamo dimenticata non è così grave.

In ogni caso, tra il 1960 e il 1961, a dirigere quella serie c’è un regista trentacinquenne che, da qualche anno, sta cercando di cambiare il modo di girare per la TV. Si chiama Robert Altman e ha già scatenato l’interesse di Alfred Hitchcock, che gli ha commissionato la direzione di alcuni episodi della sua serie televisiva (il connubio è durato poco perché il regista ha le idee chiare e tollera poco le ingerenze della produzione).
Gli episodi di Bonanza diretti da Altman sono strani. Una serie corale, con la forma di epopea del west e ambientata in larghi spazi, quando la devi schiacciare nello schermo molto piccolo delle televisioni domestiche, richiede alcuni accorgimenti. I piani da usare sono pochi: primissimo, primo, piano americano ed eventualmente campo intero. I personaggi in scena devono essere pochi. Si deve capire chiaramente chi parla. Il pubblico è un bambino: lo si deve accompagnare per la storia, tenendogli la mano e togliendo tutti gli ingombri su cui potrebbe eventualmente inciampare.

Robert Altman costruisce scene con molti personaggi. E pare essere indifferente alla buona creanza: lascia che questi discutano, incalzandosi, parlandosi sopra, interrompendosi. Insomma, un po’ come succede nella vita. «Che casino!», dice il produttore. Lo spettatore, abituato com’è a scendere in strada e a interagire con il mondo, se la gode.

Passa una trentina d’anni, che il regista usa per invecchiare, imparare, maturare, diventare un gigante. Durante gli anni Novanta dirige i suoi film corali più belli e intricati: I protagonisti (1992), America oggi (1993) e Prêt-à-Porter (1994). In questi tre gioielli, le vicende narrate si avviluppano, formando strani anelli.
Ci sembra che questo sia evidente soprattutto in America Oggi (Short Cuts). Altman prende una manciata di racconti di Raymond Carver e, intrecciandoli e confondendoli, ne tira fuori uno straordinario ritratto della contemporaneità. Carver è il maestro del minimalismo: uno scrittore capace di alleggerire, cancellare, rimuovere. Non perde tempo con avverbi e aggettivi, ma non sente neanche il bisogno di costruire narrazioni che partano dall’inizio e si concludano alla fine. Si sa che Gordon Lish, l’editor di Carver, è stato responsabile dell’asciuttezza di quei racconti, dell’assenza di moralismi e giustificazioni. Per qualcuno, il lavoro di cucina editoriale operato sugli scritti di Carver ha ripulito quei racconti non solo delle parole in eccesso, ma anche dell’umanità necessaria. Se avesse una qualche rilevanza e servisse a modificare l’importanza dell’opera dello scrittore statunitense, ci permetteremmo di dissentire. Fortunatamente non serve: i racconti di Carver rimangono belli buoni e necessari, indipendentemente dalle opinioni di chiunque sulle ingerenze dell’editor.

Ci sono tornati in mente i racconti di Carver e il film di Altman quando, pochi giorni fa, abbiamo letto un’antologia di fumetti brevi di Inio Asano, Short Stories. Si tratta di un infilata di storie minime, sottili, a volte addirittura esili, in cui può entrare un elemento strano o perturbante (addirittura mostruoso). L’eccezione, in Asano, viene normalizzata ed entra a far parte della vita e delle sue piccolezze e meschinità. Da anni il fumetto giapponese, anche nelle sue espressioni più seriali, dimostra un’onestà e una trasparenza che spesso manca a quello proveniente dagli altri paesi. Sembra che, alla ricerca di un punto di equilibrio tra industria, pubblico e necessità espressive, i mangaka aprano brecce nella loro pelle e invitino i lettori ad addentrarsi nelle aree che fanno più male.

In Short Stories c’è un esercizio di stile. Uno di quei fumetti che, facendo il verso a Queneau, un altro Raymond, raccontano la stessa vicenda con registri linguisti differenti o da diversi punti di vista (lo abbiamo visto, per esempio, in un libro di Matt Madden di cui QUASI non parla, in una trilogia sul 31/12/1999 di Roberto Baldazzini, e in un meraviglioso trittico di volumi all’interno della serie Donjon di Lewis Trondheim e Joann Sfar). Questo esercizio è nascosto nel libro e assume la forma di tre episodi posti all’inizio, a metà e alla fine dell’antologia, a scandire il ritmo della lettura.
L’episodio “Un uomo gentile” racconta di una schermaglia tra una ragazza appena uscita dall’ufficio e un ragazzo che ha preso troppo seriamente alcune cose dette la sera prima. Tra i due si sviluppa un dialogo in equilibrio tra gentilezza, timidezza, paura e malintesi. Il racconto si chiude con una nota di dolcezza e speranza.
Lo stesso fumetto, corredato di didascalie diverse, compare per altre due volte all’interno del volume. La prima con il titolo “Cosa pensa una donna dolce davanti a un uomo gentile?” e la seconda “Cosa pensa un uomo gentile davanti a se stesso?”. I pensieri, i fraintendimenti, le paure, la timidezza, la necessità di capire, che nella prima versione della storia erano solo accennati, assumono nei pensieri dei due protagonisti sfumature diverse. La storia non perde potenza: la speranza che emerge forte nel finale non si attenua;e, in ogni caso, non sappiamo nulla di quello che succederà dietro la porta chiusa.

Lo strano fumetto a tre teste di Inio Asano è stato commissionato da un’azienda di liquori. Gli era stato chiesto di realizzare una storia a scelte multiple per il sito internet. Il fumettista, dopo averci pensato, ha deciso di non avere né il tempo né la voglia di disegnare tutte quelle pagine. Allora ha realizzato un fumetto breve, costruendo tre punti di vista con le sole didascalie. Ed è incredibile come questa scelta, necessariamente eccessiva dal punto di vita della narrazione, non violi le regole di semplicità e disumanizzazione di Gordon Lish.

Questo strano anello si compone di:

  • Robert Altman, Bonanza, 8 episodi tra il 1960 e il 1961 (l’elenco completo su imdb.com).
  • Robert Altman, Short Cuts (America oggi), 1993.
  • Raymond Carver, Tutti i racconti, Meridiani Mondadori, 2005 (ma se devi limitare la scelta le due raccolte di racconti che più amiamo sono Di cosa parliamo quando parliamo d’amore e Cattedrale).
  • Raymond Queneau, Esercizi di stile (con traduzione di Umberto Eco), Einaudi, 1983.
  • Inio asano, Short Stories, Panini, 2020.

L’azienda che ha commissionato il fumetto ad Asano è Suntory. Ci è subito tornato in mente anche Lost in translation e allora abbiamo innaffiato il tutto di whisky.

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