Parole e disegni di Paolo Castaldi
Qualche tempo fa, un amico che campa anche lui con i fumetti, mi disse: «i fumettisti si suddividono in due categorie: i mentalisti e i paesaggisti.»
I primi sono quelli che raccontano il mondo che hanno dentro, che inventano di sana pianta, che ti portano in universi a cui non potevi avere accesso altrimenti. Nei casi migliori.
Nei casi peggiori ti annoiano con girotondi attorno al loro ombelico, che poi è uguale al mio e al tuo.
I secondi, i paesaggisti, sono quelli che raccontano il mondo che c’è fuori di loro. Il mondo che li circonda. Ecco, io appartengo a questa categoria. Amo racconto le storie degli altri.
Non che non mi diverta a disegnarne di mie, semplicemente le trovo meno interessanti rispetto a quelle che la vita mi offre quando cammino per strada, o mi infilo in un vicolo sconosciuto di una città sconosciuta, o quando me ne sto più comodamente seduto al tavolino di un bar.
Ci vuole talento anche per questo eh, intendiamoci.
Bisogna avere le orecchie tese sulla strada, le antenne dritte fra la gente e un ego non così invadente da nascondere la bellezza altrui (o la disperazione, a seconda dei casi) quando ci capita sotto mano.
Tutte qualità che fanno di un rapper un bravo rapper, se ci pensate bene.
Cronache d’asfalto le chiamava Ensi. E noi paesaggisti siamo un po’ i rapper del fumetto, se me lo concedete.
Ma non divaghiamo.
I soggetti, gli incipit, i proposal migliori, sono tutti lì fuori, basta saperli scovare e trasformare in pagine disegnate.
E state pur certi, tutti passeranno almeno una volta dal bancone di un bar.
Perché in un bar puoi decidere di essere amico di tutti o di nessuno, essere il protagonista o una comparsa appena abbozzata sullo sfondo d’una vignetta in terz’ultima pagina.
Il bar è un crocevia di casini vari, come piazzale Lotto, a Milano. Come il porto di Genova.
Solo più in piccolo.
Ci trovi le gioie di chi ha da festeggiare qualcosa e la rabbia e lo sconforto di chi ha qualcosa da lasciarsi alle spalle. Dove non sai bene chi fa cosa, tra quelli che stanno bevendo al tuo fianco, ma tutti stanno bevendo quell’ottimo bianco che ha consigliato Franco, che dal rialzo dietro al bancone pare il direttore d’orchestra e l’arbitro di tutti quei casini lì.
Lo scorrere imbolsito e faticoso della giornata lavorativa attende fuori dalla porta. Ed ecco che le storie si liberano, iniziano a mescolarsi tra loro. Ogni bar si trascina dietro le sue.
Ed è per questo che cerco sempre di frequentarne diversi e di diverse tipologie.
Ve ne elenco solo alcune, generalizzando un poco giusto per chiarezza. Ognuna di queste è in realtà un dipinto composto da centinaia di tonalità e sfumature diverse ma elencarle tutte sarebbe impossibile.
Casa tua
Ogni fumettista che si rispetti deve avere il bar in cui è habitué.
Deve essere, a mio giudizio, un bar che rispecchi un po’ il suo modo di essere, come un paio di scarpe o un abito. Se sei un tipo da sneaker e jeans è inutile che tenti di andare a comprare il pane vestito in doppio petto. Sembrerai goffo e a disagio come al matrimonio di tua cugina. Le storie che passano da qui le conosci già tutte e da tutte hai rubato qualche didascalia, qualche personaggio. E su quelle nuove che ogni tanto fanno capolino, ti senti in diritto di esercitare la prelazione.
È il punto di partenza; se non hai ancora esordito nel mondo del fumetto, mio giovane paesaggista, ti consiglio di partire da quel che trovi qui e solo dopo andare alla ricerca di altro.
La casa al mare
Il bar dove vai ogni tanto, né troppo spesso da essere considerato un habitué, né troppo di rado da non essere riconosciuto dal proprietario.
Ci vai quando hai voglia di una zona di comfort che però ti lasci respirare. Perché al bar di casa gli si vuol bene ma ci sarà sempre qualcuno che ti conosce e che ti attaccherà qualche pezza sulla notizia appena sentita al Tg e tu invece volevi solo berti il tuo Prosecco in santa pace. Per questo motivo ti consiglio di cercare tra i bar della media borghesia, quelli da “centro storico” ma non fighetti, quelli in cui ci trovi l’avvocato che fa l’aperitivo lì da trent’anni chiedendo il “solito”, l’architetto che ha lo studio in zona, la signora ottantenne vedova che gira ancora in pelliccia e non è mai stanca di gin tonic.
Il barista sa esattamente chi sei, cosa fai nella vita. Sei quello che scrive storie a fumetti, “tipo il Tex? Quanti ne ho letti da ragazzo”, ti prende in simpatia perché sei uno che saluta, a modo, non come la maggior parte dei suoi clienti che entrano, chiedono, pagano e stop.
Inoltre ci sa fare quanto basta anche coi cocktail base e le tartine non sono mai troppo vecchie.
Qui ci trovi storie molto interessanti. Storie da società borghese in declino. La decadenza, quella vera, e tu ci sguazzerai dentro sentendoti solo uno spettatore interessato perché comunque «io sono diverso, io sono libero, non diventerò mai così, come questi». (illuso!).
Business&Comics
I bar degli hotel business.
Asettici e uguali in tutto il mondo, che tu sia a Lisbona o a Stoccolma non fa differenza. Sono appositamente progettati per essere dei non-luoghi creando nel cliente la sensazione di “esserci già stato”. In assoluto uno dei miei terreni di caccia preferiti.
Costosi, senza ombra di dubbio, ma ogni tanto una capatina è d’obbligo.
Chiariamo subito un aspetto che molti ignorano: non c’è bisogno di pernottare in un albergo 4 stelle per usufruire del suo bar. È sempre aperto al pubblico.
Sono ambienti silenziosi e placidamente vivi allo stesso tempo. Sono comodi, con le loro poltrone comode, i loro tavolini comodi, i loro sgabelli comodi e i loro bagni pulitissimi, profumatissimi e comodi.
Nessuno ti romperà mai le palle. Puoi startene sprofondato sul tuo divanetto per ore ed ore senza essere mai disturbato. (e infatti c’è sempre qualcuno che di giorno ci lavora in smart working).
I barman sono di altissimo livello, servono cocktail fatti come Cristo comanda (allo stesso prezzo di un feccioso locale modaiolo sui navigli) e sono sempre pronti a una chiacchierata garbata e divertente all’occorrenza. La carta dei vini è almeno discreta e se hai 15 euro da scialacquare stai pur tranquillo che un calice di champagne in mescita salta fuori.
Le storie che regala un hotel business sono meravigliose. Un po’ Lost in Translation, un po’ Gomorra. Da un lato c’è il manager da “zona grigia”, dall’altro c’è il musicista ospitato da un’organizzazione fin troppo generosa in un hotel che lui non si potrebbe mai permettere e in cui tenta di sembrare a suo agio bevendo birrette a nastro. A quel tavolo c’è una colloquio dove due tizi di una società piramidale stanno cercando di intortare lo studente (che per l’occasione ha messo la giacca) con un lavoro-truffa, in quello affianco il turista di Singapore che sta guardando sulla tv al plasma una partita di calcio spagnolo col commento in inglese.
Roba da rubare e sceneggiare a piene mani.
Sublime.
Il bar dei cinesi in periferia
Altro posto che spesso regala sorprese.
Il baretto in zona anonima e periferica, quello con le insegne brandizzate da qualche marchio di caffè. Di solito si chiamano Jolly o qualcosa del genere.
Devi farci un aperitivo solo se ne sei realmente convinto. Non tanto per la qualità, che potrebbe anche colpirti positivamente (quello che frequento vicino a casa ha il Girlan 448 a due euro e mezzo al calice), quanto per l’attitudine.
Se ci capiti con l’aria da “figlio di papà però amico dei poveri” vieni sgamato subito. Non dai proprietari, a cui non frega nulla di te, quanto dagli altri clienti per cui quello è il bar di casa, gente che abita lì sopra e scende fin dal primo pomeriggio per il bianchino e per buttare qualche euro nelle slot-machine.
Ti squadrano dalla testa ai piedi, notando subito una sbavatura nei tuoi modi fintodisinvolti quando appoggi d’istinto la mano sul portafogli che tieni nella tasca dietro dei pantaloni appena un tizio con la faccia da clan Spada ti passa affianco per uscire a fumare.
Ti squadrano, e gli stai già sul cazzo.
Non che ti succeda nulla, solo non caverai un ragno dal buco. Le loro storie, come lumache, si rinchiuderanno nei gusci. E sarebbe un peccato perché qui più d’uno ha sicuramente una storia che, a metterla giù, viene un libro che è una bomba.
Storie di fabbriche e di lotte antiche, di disperazione e di emarginazione, storie di pezzi di merda di prim’ordine ma anche di gente in gamba che ha avuto tutto contro e la forza di resistere. Storie di gente che ha vissuto tre vite in una. Chi è morto in Libia, a Tunisi, a San Vittore, per poi rinascere.
In uno di questi bar ho conosciuto Etenesh, una ragazza etiope che mi ha raccontato della sua fuga da Addis Abeba che l’ha condotta a Lampedusa, quasi due anni dopo, dando inizio al mio peregrinare nel mondo dei fumetti.
Vino mon amour
Bar per chi ama bere bene senza spendere un capitale.
Se sei un amante dell’alimento (sì, il vino è un alimento, non una bevanda) come il sottoscritto, ti troverai a frequentarli spessissimo, quasi quanto il bar in cui sei habitué.
E infatti le due categorie spesso coincidono. Posti amichevoli e, ancor più importante, con una carta dei vini di livello, originale e sempre varia.
Cerco di trovare il mio Vino Mon Amour un po’ ovunque mi trovi a passare, magari per qualche fiera di fumetto o qualche presentazione. A Milano ne frequento più d’uno (il Secco e il Vinoir sono quelli a me più cari) ma ho i miei punti fermi anche a Lucca, a Napoli, a Cagliari, a Padova, a Parigi, ad Angoulême o a Barcelona.
Perché se anche manchi da qualche mese o da qualche anno, appena varchi la soglia ti senti accolto come se non te ne fossi mai andato.
Qui, ti dico la verità, solitamente dei fumetti non mi frega nulla, a meno che non esca qualche soggetto interessante per caso, dopo l’ennesima bollicina svuotata.
Qui cerco solo facce amiche, rifermentati in bottiglia, un cremant se gira bene e un attimo di sollievo da tutte queste storie degli altri che non mi mollano un secondo e continuano a implorarmi di essere raccontate.