Le figure e le cose

Boris Battaglia | Una pietra sopra |

Uscito originariamente su “Scuola di Fumetto” nel gennaio 2014.

Quando nel Vangelo Gnostico secondo Filippo l’autore scrive che «la verità non è venuta nuda in questo mondo, ma in simboli e in immagini», anche se la preferiremmo nuda, si è quasi tentati di dargli ragione.

A guardarlo da dove siamo adesso il 1981 è stato un anno chiave. Ci sono accadute un sacco di cose di cui non so bene quanto mi rendessi conto mentre ci stavo dentro. Ronald Reagan diventa presidente degli Stati Uniti; Wojciech Jaruzelski instaura la legge marziale in Polonia contro il sindacato Solidarnosc; Giovanni Paolo II subisce un grave attentato; viene ucciso il presidente egiziano Sadat; IBM lancia sul mercato il primo PC; muore Bob Marley.

Di una cosa però mi resi conto molto bene. Di una ragazzina portoghese, nata in Mozambico e naturalizzata belga, che irruppe nei miei ascolti musicali d’adolescente con una canzonetta che mi faceva impazzire: Amoreux Solitaires. Il suo nome vero, quello portoghese, non finiva mai e allora si era scelta un nome d’arte e si faceva chiamare LIO. Raccontava di non portare mutandine sotto le corte gonne plissettate e di avere pescato quel nome in un fumetto, rubandolo a un personaggio che le somigliava molto. Diceva che quel fumetto era francese e si chiamava Barbarella.
Li amavo i fumetti. Ma questa Barbarella io non l’avevo mai sentita nominare.

Poi, l’anno dopo Lio esce con una canzoncina (che faceva: Je suis sage comme une image, brillante à la page mais pas pour ton usage),in cui ironizza sugli atteggiamenti adolescenziali, certo, ma anche su uno degli usi appropriati del fumetto: quello onanistico.

C’era in quegli anni a Milano, lì in Galleria Vittorio Emanuele sul lato sinistro dopo il bar Zucca, una libreria di usato: uno di quei buchi stretti e fetidi dove ammucchiavano e vendevano per poche millelire, volumi ingialliti di cui gli editori si sbarazzavano mettendoli fuori catalogo. Ci razzolavo ogni tanto quando facevo sega a scuola. Cercavo libri con le figure e le donne nude trovandoci sempre cose incredibili: dalla Vita mirabile dell’arcitruffatrice Coraggio di Vincenzo Jannuzzi alla Ghita di Alizarr di Frank Thorne. Proprio lì e proprio in quei giorni trovai un bel volume della Milano Libri tutto dedicato a Barbarella. Costava cinquemila lire. Spenderle avrebbe significato un bel po’ di ristrettezze per il mese a venire. Ma dovevo scoprire chi diavolo era questa Lio. Affrontai le ristrettezze.

Barbarella è un personaggio inventato da Jean Claude Forest nel 1962. Da qualche anno in Inghilterra un certo Sidney Jordan pubblicava Jeff Hawke, un fumetto di fantascienza che a Forest piaceva; pensò che magari bastava dargli le tette e fargli perdere spesso i vestiti come alla Jane di Hubbard… Anzi, magari non metterglieli neppure, i vestiti. Con i fumetti puoi fare quello che vuoi, se sei uno bravo. E Forest lo era, eccome. Al punto che di lì a dieci anni sarà il Jeff Hawke di Jordan ad accumulare debiti (soprattutto con una marcata eroticizzazione delle trame) con Forest.

Barbarella era questo: un’avventuriera spaziale con le fattezze di Brigitte Bardot e la stessa liberalità di pensiero e di comportamento.

Sono stati versati fiumi di inchiostro e di cazzate sociologiche sulla rilevanza rivoluzionaria di questo fumetto all’interno della storia dei costumi della nostra società. Ma non è qui, in questo mostrarsi della nudità e dell’atto sessuale che sta l’importanza di Forest. La questione è ben altra, e riguarda l’idea stessa di fumetto.

In altre parole la natura di Lio.

Lio è una ragazzina che Barbarella, nell’avventura intitolata Tempo Mangia Tempo salva da una caduta senza fine. Una caduta come quella dell’Alice di Carroll.

Lio è la figlia dell’Arcipresco di Ventusa, la città di ferro che sta insieme senza viti, ma che per una perdita di magnetismo rischia di crollare. Lio deve portare a suo padre un minerale che salverà la città. Ma non è questa la cosa importante. La cosa importante è che Lio è una ragazzina che (ancora come Alice, quella di Carroll) «ama molto le figure». Ne è sempre circondata. E quando non ha figure da guardare sta male e tenta il suicidio. Deve sempre comprarsene di nuove. Per questo si fa accompagnare da Barbarella su un pianeta dove le producono.

Per aiutarla però Barbarella ha perso la sua astronave e i suoi amici.
«Pensi che le figure possano servire anche a me, Lio?», le chiede allora Barbarella preoccupata di non trovare più l’astronave per continuare le sue avventure.
«Senza immagini», risponde la ragazzina, «si muore».

Quanta autoconsapevolezza. E quanta verità. E proprio grazie alla contemplazione di una figura che Barbarella ritroverà l’astronave e potrà condurci a nuove avventure. Perché in un fumetto le figure sono le cose, e se sai guardarle ti disvelano la realtà. Più delle parole.

Sono passati trentadue anni. Canzonette non ne ascolto più. I fumetti li guardo ancora. Ed è proprio per le figure.

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