Quando in libreria si inciampa nel settore musica, si trovano libri che aderiscono a un numero ristretto di tipi diversi: biografie di cantanti e gruppi che sfociano spesso nell’agiografia; raccolte di testi di canzoni (con traduzione a fronte, se è il caso) corredati da note che spiegano fatti privati dei musicisti; volumi che spiegano come comporre la discografia perfetta di un genere musicale; elenchi di 2.900 e passa canzoni legate solo dal gusto personale dell’estensore della lista; testi di sociologia o antropologia culturale.
Pur riconoscendo che in mezzo a questi libri ci sono anche oggetti belli buoni e utili, sentiamo spesso la mancanza di libri di storia della musica che ci facciano venire voglia di investirci tempo ed energia. Quando all’inizio dello scorso anno è uscito Storia culturale della canzone italiana di Jacopo Tomatis, ne abbiamo gioito un bel po’.
Il libro si apre con un’epigrafe di Umberto Eco che ci ha fatto subito sentire a casa: «Perché non è necessario che intrattenimento ed evasione, gioco, ristoro siano perciò stesso sinonimo di irresponsabilità, automatismo, qualunquismo, ghiottoneria sregolata.»
A un certo punto, in una conferenza stampa durante i giorni più bui del lockdown, Giuseppe Conte, incidentalmente e quasi noncurante, ha buttato lì questa frase: «Abbiamo un occhio di attenzione per i nostri artisti, che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare».
Apriti cielo!
Un coro di polemiche proveniente da un gruppo eterogeneo di individui che percepiscono il proprio mestiere come una missione e la chiamano arte. Abbiamo sentito voci insospettabili (comprese quelle di comici e buffoni di corte professionisti) dichiarare che il loro ruolo non è certo quello di divertire e appassionare. In molti casi (tutti quelli di cui QUASI non parla), non ne avevamo dubbi.
Non conosciamo le intenzioni di Conte quando ha detto quella frase, non sentiamo alcuna pulsione a giustificare e sostanziare le affermazioni di un presidente del consiglio dei ministri, e siamo abbastanza certi che non si sia interrogato più di tanto sulle implicazioni di quello che stava dicendo. Eppure a noi Divertimento e Passione sembrano due buoni motivi per stare al mondo, validi almeno quanto lo sono Amore e Morte. Dall’arte vorremmo proprio quello. Che ci divertisse e ci appassionasse, fino alle risate, alle lacrime, alla paura, al dubbio, all’inquietudine, all’ossessione, all’erezione, all’Aleph e all’Alph-Art.
Storia culturale della canzone italiana di Jacopo Tomatis, che si apre con quella citazione (e con i versi della canzone più famosa e famigerata di Toto Cutugno), è un libro necessario.
Però quest’articolo è un #quasiquasi, la rubrica che ospita tutte le cose che ci piacciono così tanto che, se avessimo potuto, le avremmo ospitate noi. Allora, ti segnaliamo che la Rete Due della Radio della Svizzera Italiana sta dedicando una trasmissione a quel libro. Si chiama “Tipitipitipso” e la trovi QUI. Mettila tra i preferiti e, quando hai tempo, lasciati cullare dall’intelligenza sapida di Jacopo Tomatis.
È divertente e appassionante.