Te lo ricordi The Avengers? Sì, proprio il film del 2012 di Joss Whedon, campione di incassi, che faceva entrare nello stesso supergruppo tutti i supereroi messi in scena nelle prime cinque pellicole del Marvel Cinematic Universe. No? Non lo hai visto? Preferisco non crederti. È vero, siamo snob, ma non fino a quel punto. Ci siamo infilati in sala, con la confezione grande di popcorn, in uno di quei grandi magazzini dell’immaginario chiamati multiplex. E sai una cosa? Ce la siamo anche spassata.
A un certo punto, un gigantesco serpente corazzato sta inseguendo Iron Man nei cieli di New York e si sta lanciando sul supergruppo. Andrà sicuramente a finire male. Captain America, con quella sua faccina da bonazzo biondino patatonico, guarda Bruce Banner e gli dice: «Questo, professore, è un buon momento per arrabbiarsi.» Lo smilzo professore (smilzo mica tanto, solo nei fumetti, ché nel film ha la fisicità da torello di Mark Ruffalo) sorride al capitano e gli dice: «Il mio segreto, Cap: sono sempre arrabbiato.». Sorride, si trasforma in Hulk e ferma la corsa del mostrone con un solo poderoso cazzotto.
In quel film, Bruce Banner ha imparato a mantenere la calma trasformandosi in una specie di fricchettone incastonato: suona i bonghi e fuma marjuana, quasi a dire che “l’erba di Hulk è sempre più verde”. Questa storia della rabbia che trasforma in un incredibile macchina da guerra non è certo una novità. La mitologia norrena racconta dei “Berserkr”, guerrieri inarrestabili che incedono sul campo di battaglia col corpo nudo e scuro, strafatti di muscarina, mordendo gli scudi e indossando, a mo’ di copricapo, teste d’orso o di lupo. Anche Tacito, nella Germania, li descrive. E sono terribili. Ascolta:
«Quanto agli Arii, a parte la forza che li fa emergere fra i popoli or ora enumerati, con artifici e scelta di tempo esaltano la ferocia, già insita nel loro aspetto truce: hanno scudi neri e il corpo tinto di scuro; per combattere scelgono notti tenebrose, e la sola raccapricciante comparsa di questo esercito di fantasmi semina panico, poiché nessun nemico sa reggere a quella stupefacente e quasi infernale visione; infatti in ogni battaglia i primi a essere vinti sono appunto gli occhi.
Questa bestialità ferina, il capo coperto con una testa di animale ucciso, richiama la trasformazione notturna del licantropo. Amiamo in particolar modo il più archetipico tra loro, mr. Hyde. Una pozione distillata dal mite dottor Jekyll separa definitivamente il bene dal male e trasforma le carni – e la coscienza – di un uomo di scienza rendendole mostruose e voluttuose, e imprimendovi le stigmate di un peccato assolutamente visibile. Il licantropo è una delle figure predilette della cinematografia horror: Lon Chaney Jr, nel 1941, si sottoponeva a lunghissime sessioni di trucco perché il suo volto fosse coperto da uno strato di pelo folto capace di mettere in risalto gli occhi porcini naturale e le zanne fittizie.
Il nostro primo licantropo, però, non viene da un film, ma da un fumetto. Gli “Albi dei Super eroi” (ma noi li chiamavamo “A.S.E.”) dell’editoriale corno erano una collana antologica dedicata a una miscellanea di personaggi minori della Marvel, come “I difensori”, “Warlock”, “Dracula”, “Ka-zar”, “Luke”, “Red Wolf” e “Conan”. Il sesto numero era dedicato a un eroe strano: la testata gridava “Licantropus” e in copertina, racchiusa da un riquadro blu, c’era un’immagine incongrua: un lupo antropomorfo, a torso nudo e con pantaloni sbrindellati che parevano presi in prestito da Hulk, è in preda a incredibile ferocia e, al centro di un cerchio luminoso, strattona la catena che lo assicura al muro; una donna con la stessa pettinatura della moglie di Frankenstein e un abito rosso aderentissimo da femme fatale, a sua volta rabbiosa, indica l’individuo bestiale, incitando qualcuno ad attaccarlo; si rivolge al personaggio più vicino allo sguardo del lettore, di cui vediamo solo, di quinta, un terrificante artiglio d’acciaio. Quell’immagine è così fitta di citazioni e riferimenti all’immaginario horror da risultare quasi parodica. E probabilmente lo sarebbe, se non fosse stata disegnata dallo straordinario Mike Ploog.
La rabbia, una pozione o la luna possono trasformare in una creatura mostruosa, ma non sempre. Nel 1963, un professore di chimica, incapace di interazioni sociali e dileggiato dal pubblico muliebre, distilla n siero capace di liberare la parte migliore di sé. Dopo averlo bevuto, il chimico si trasforma in un uomo audace, determinato, disinibito e incredibilmente affascinante, Buddy Love, seduttore impenitente. The Nutty Professor, tradotto in italiano con un precisissimo Le folli notti del dottor Jerryll, è uno dei film di Jerry Lewis che amiamo di più. Ci ha anche fornito la ricetta dello scaldino dell’orso polare dell’Alaska, un cocktail da berserkr che abbiamo provato a prepararci:
«Due schizzi di vodka, un po’ di rum, un goccio di bitter, un goccio d’aceto, un goccio di vermouth, un goccio di gin, un po’ di scotch, un po’ di brandy, una scorza di limone, una scorza d’arancio, una ciliegina e, infine, dell’altro scotch.»
Quando lo abbiamo bevuto, ha sortito in noi lo stesso effetto che ha prodotto nel barman che lo preparava a Buddy Love nel film: ci siamo bloccati come statue e siamo stramazzati a terra. Ci abbiamo messo un bel po’ per riuscire a riprenderci, per elencare gli elementi di cui è composto questo strano anello:
- The Avengers, 2012, regia di Joss Whedon.
- Tacito, Germania, qualsiasi edizione (noi abbiamo cercato la traduzione in rete).
- L’uomo lupo, 1941, regia di George Waggner, volto peloso e zanne di Lon Chaney Jr.
- Jerry Conway e Mike Ploog, Werewolf by Night, 1972.
- Le folli notti del dottor Jerryll (The Nutty Professor), 1963, regia (e tutto il resto) di Jerry Lewis.