Una stella da sceriffo
Marcel ha quasi otto anni. Li deve compiere da lì a poco più di un mese, quando le autorità naziste di occupazione decidono di estendere anche alla Francia, la legge già applicata negli altri paesi occupati: ogni ebreo maggiore di 6 anni, per poter uscire di casa, dovrà portare sugli abiti, e bene in vista, una stella gialla a 6 punte con la scritta “Juif”.
Marcel non sa ancora di essere ebreo. Ne ha sentito parlare a scuola, con disprezzo, di questi ebrei che sembrano incarnare tutti i mali del mondo, ma li immagina come dei mostri pericolosi: non pensa proprio che possano avere l’aspetto di suo padre Ervin e di sua madre Régine e, men che meno, crede di farne parte.
Lo scopre quel pomeriggio del 29 maggio 1942, quando, tornando a casa da scuola, sua mamma gli chiede di darle la giacchetta perché deve cucirci sopra una stella gialla. «E a cosa serve?», le chiede. Lei gli risponde che serve a far sapere agli altri che lui è ebreo, e Marcel cade dalle nuvole.
I Gottlieb erano arrivati a Parigi dalla Transilvania nel 1934. Marcel era nato il 14 luglio – sì, proprio il giorno della presa della Bastiglia – dello stesso anno. Ebrei di lingua magiara, erano assolutamente indifferenti a qualsiasi pratica religiosa, al punto che i loro figli ignoravano la loro origine. Nemmeno il fatto di chiamarsi, di secondo nome, Mordekhai, aveva mai insospettito il bambino.
Lui la racconta così:
«Avevo otto anni, e non sapevo di essere ebreo. A scuola, i miei compagni li descrivevano come la peggior feccia, probabilmente ripetendo quello che sentivano dai genitori. Dato che io nemmeno sapevo chi fossero quegli schifosi, assentivo per non sembrare proprio un coglione. Un bel giorno, quando mia madre mi ha cucito la stella gialla, la stella da sceriffo come l’ha definita Gainsbourg, ho scoperto di essere io quella feccia schifosa. Per usare un eufemismo… è stato uno choc.»
Marcel Mordekhai Gottlieb e Lucien Ginsburg non si conoscevano. Marcel era cresciuto nel 18° arrondissement, mentre Lucien nel 20°. Poi, Lucien era più grande, aveva già 14 anni quando fu costretto a indossare quella maledetta stella “da sceriffo”. Scampato alla deportazione, che dal luglio del ’42 verrà applicata in modo sistematico anche in Francia, cambierà il proprio nome in Serge Gainsbourg, diventando uno dei più importanti e seminali musicisti francofoni. Nel 1975 pubblicherà Rock Around the Bunker, un album rock nel quale, attraverso un impietoso umorismo nero, farà i conti con il suo passato e con l’esperienza della persecuzione. Nell’ottava traccia dell’album, intitolata Yellow Star, c’è il verso cui fa riferimento Marcel nei suoi ricordi.
«J’ai gagné la (Yellow Star)
Et sur cette (Yellow Star)
Y a peut-être marqué shérif
…
Je porte la (Yellow Star)
Difficile pour un juif
La loi du Struggle for life
Quand il y a la (Yellow Star)»
Anche Marcel scamperà ai rastrellamenti, cambierà il nome, abbreviandolo in Marcel Gotlib, diventando uno dei più importanti autori di fumetto francesi, e sviluppando nella sua opera un crudelissimo umorismo nero che troverà il massimo coronamento in quello stesso 1975 con la fondazione di una rivista imprescindibile. Ma non precorriamo i tempi.
Notti e nebbie
Nel settembre del 1942 il padre di Marcel viene prelevato dalla polizia e portato nel campo di Blechammer. Sopravvivrà fino all’inizio del 1945, quando verrà trasferito al campo di Buchenwald da cui non farà ritorno. Nel gennaio del 1943 sarebbe toccato anche a Marcel, ma sua madre riesce a sotrarre lui e sua sorella Liliane al rastrellamento nazista, grazie all’aiuto dei loro vicini, gli Swoboda, e rifugiandosi poi in una fattoria a Eure-et-Loire dove resteranno nascosti fino all’estate del 1944.
Il 25 agosto 1944 l’esercito di liberazione francese, con a capo il generale Leclerc entra a Parigi, seguito a breve delle forze USA. Di lì a poco Régine e i suoi figli tornano a casa loro, al 38 di rue Ramey. Non sarà una vita facile, ma grazie al suo lavoro da sarta, Régine riesce a garantire ai figli un’esistenza decorosa. Trascorrono anni che, tutto sommato, Gotlib considererà tra i più sereni della sua vita, durante i quali scopre tre cose fondamentali: la letteratura, attraverso Victor Hugo e Alexandre Dumas; i fumetti americani, attraverso vecchi numeri dei settimanali “Hop-là” e “Robinson”; i primi turbamenti amorosi, grazie a una compagna di classe di nome Judith.
Poi cominciarono gli anni ’50.
Cena tra amici
Trent’anni dopo la liberazione di Parigi.
È una domenica sera del 1974. Gotlib e Claudie, sua moglie, sono a cena da un caro amico, Jacques Diament. Marcel e Jacques sono amici fin dall’inizio degli anni ’50, quando frequentavano la scuola superiore. A parte una brevissima collaborazione con un editore svedese di libri per l’infanzia, trovatagli da Gotlib nel 1958 per racimolare qualche soldo dopo il servizio militare, Jacques non ha mai avuto niente a che fare con l’editoria. Si occupa di gestioni economiche e ha un posto di responsabilità nell’amministrazione di un grande gruppo di distribuzione al dettaglio.
Quella sera, dopo la seconda bottiglia di rosso di Borgogna, Gotlib comincia a lamentarsi con Jacques delle difficoltà finanziarie in cui si trova “l’Echo des Savanes”, la rivista che lui, Claire Bretécher e Mandryka hanno fondato due anni prima, dopo aver lasciato “Pilote”. Sono autori di talento, ma non hanno nessuna capacità gestionale: “l’Echo” va bene, ma i conti non tornano. Non è che Jacques avrebbe voglia di dargli un’occhiata?
Ma certo. Jacques non si fa pregare. Studia il bilancio delle Edition du Fromage, così i tre transfughi da “Pilote” hanno voluto chiamare la nuova casa editrice, e glielo dice a brutto muso.
«Marcel, chi ha tenuto questi conti o è un incompetente o è in malafede. Siete sull’orlo del fallimento e rischiate l’accusa di frode fiscale. Se non ti sganci da questa situazione mi sa che la prossima volta che ci vediamo sarà nella sala colloqui in carcere.»
«Ma se mollo “l’Echo”, tu ci stai con me a fondare una nuova rivista?»
«Mmmh, ho una figlia da mantenere. Il mio lavoro mi annoia, è vero, ma lo stipendio a fine mese è sicuro. Mi dispiace, Marcel, ma non ho un temperamento da avventuriero, non me la sento di rinunciarci e correre un simile rischio.»
E tutte quelle cose lì
La sera dopo, appena arrivato a casa smontato dal lavoro, Jacques riceve una telefonata: «Ciao, sono Marcel. Allora, ci hai pensato? Sai che anche Claire molla “l’Echo”?»
E la sera dopo, ancora. DRIINN. «Ciao, sono Marcel. Allora? Mandryka mi ha detto che lui vuole continuare con “l’Echo”, lui non lo molla. Pazienza, noi andiamo avanti. Tu ci hai pensato? Ci stai?»
Per i sei mesi successivi Gotlib chiamerà l’amico al telefono tutti i giorni, per convincerlo a lanciarsi con lui nell’avventura della fondazione di una nuova rivista. Lo prenderà per stanchezza. Entro gli inizi del 1975 Diament lascerà il suo posto sicuro, per dar vita davanti al notaio, insieme a Gotlib, il primo aprile (e poteva una data essere più azzeccata?), alle Editions A.U.D.I.E.
Ma che diavolo vuol dire A.U.D.I.E? La scelta del nome della casa editrice sembra che sia andata così. Gotlib propone a Diament di chiamarla AUDI, per due motivi: il primo è che il suono gli ricorda il nome di sua moglie come lo pronunciava lei da piccola, Claudie, Audi; il secondo è che è l’acronimo di Amusement Umour Dérision Ilarité, che suona più o meno Allegria Umorismo Dileggio Ilarità. Diament però gli fa notare che non si può. Audi è un marchio automobilistico tedesco, gli farebbe sicuramente causa. Ma Gotlib ha pronta la soluzione.
«Che palle! Allora aggiungiamoci una E. A.U.D.I.E.»
«Non male, ma la E per cosa starebbe?»
«E tutte quelle cose lì. Allegria Umorismo Dileggio Ilarità E tutte quelle cose lì.»
«Andata.»
Manca ancora la testata del periodico. È sempre Gotlib a fare la prima proposta. “La Voix du sang”. Ed è Diament a salvarci da una simile tragedia, a convincerlo che un titolo così, anche se nella sua testa di umorista sta a significare il collegamento tra padre e figli, tra le riviste in cui lui è cresciuto, da “Pilote” a “l’Echo”, e questa cosa nuova, allo sguardo del lettore comune suona come una roba nazionalista, fascista, robaccia evoliana alla Drieu de la Rochelle. Invece il titolo deve evocare lo sberleffo, la risata fragorosa, lo scherzo. Tipo quando da ragazzini rompevamo le fialette puzzolenti in classe. Una cosa così. Non so, la polverina che ti fa grattare. Ecco, una cosa così. Come il liquido refrigerante che mi hanno messo sulla sedia il giorno del mio matrimonio. Si ammazzavano dal ridere, gli stronzi.
Così, nel 1975 esce il primo numero di “Fluide Glacial”. E va anche bene. Riescono persino a farlo diventare mensile. Però per viverci non è ancora abbastanza. Diament non ha più uno stipendio fisso, va da se che deve farsi venire delle belle idee. Ci tornerò, è lunga 40 anni la storia che ti sto raccontando, su quello che combinarono con questo giornale. Ma adesso te ne voglio raccontare una in particolare.
Prima ridere, sempre
Questa è la cronaca di una delle idee di Diament. Quella che preferisco. Ha contato un bel po’ anche la fortuna, ma mica siamo contrari alle botte di culo, no?
Nel dicembre del 1978 tutti i chioschi di Francia vengono tappezzati da una locandina pubblicitaria disegnata da Gotlib. Uno di quei suoi personaggi tra il demente e il perverso, in pedi su uno sgabello, con una corda attorno al collo è evidentemente in procinto di suicidarsi. Solo un piccolo particolare: tiene tra le mani un numero di Fluide Glacial e sta ridendo come un bamba. Una scritta a caratteri cubitali recita: PRIMA RIDERE, POI AGIRE.
Non ti dico lo scandalo e il conseguente numero di copie vendute.
Ma il vero colpo di genio Diament ce l’ha il mese dopo.
Nel gennaio del 1979 Tintin compie 50 anni. L’editore Casterman dispiega tutta la sua potenza di fuoco per la celebrazione, convincendo Bernard Pivot a dedicare un’intera puntata della sua seguitissima trasmissione “Apostrophes” al cinquantennale di Tintin, invitando l’autore, George Remi, meglio conosciuto come Hergé.
Hergè è stanco e malato. Vivrà ancora più o meno quattro anni, ma è già alla fine del cammino. Ci va in trasmissione, ma è riluttante, appannato, provato.
“Fluide Glacial” aveva pubblicato, mesi prima, una storia di Goossens intitolata L’inferno della droga con una copertina che rappresentava un giovane biondo, con la testa tonda e i pantaloni alla zuava, seduto su una branda di metallo in una stanza squallida mentre si faceva una pera di eroina. Il personaggio era con tutta evidenza Tintin. Nel numero in edicola a gennaio ’79 invece c’era una storia di Gibrat in cui si raccontava di come un ormai ricco e annoiato Tintin scopra di aver disseminato il mondo di figli illegittimi durante ogni sua avventura, dal Congo alla Cina.
Non so cosa passa nella testa di Diament, come gli venga l’idea. Il fatto è che una manciata di giorni prima della trasmissione di “Apostrophes” spedisce a Pivot i due numeri con una lettera d’accompagnamento che dice: «sono sicuro che saprà fare l’uso più appropriato di questo supplemento di informazione per il suo dossier su Tintin».
La sera della trasmissione Diament e Gotlib si siedono davanti alla tv e aspettano. Non sanno nemmeno loro cosa. E forse non ci credono nemmeno tanto.
Pivot comincia con il suo stile affabile a ripercorrere con Hergé la storia di Tintin. Poi, a un certo punto, tira fuori il “Fluide” con la copertina di Goossens, mostrandola in primo piano, e dice a Hergé che c’è questo giornale che parla in questo modo irriverente del suo personaggio, e a questo punto ci infila anche la storia di Gibrat, quella dei figli illegittimi, per poi chiudere con una domanda a bruciapelo: «Lei li conosce questi di “Fluide Glacial”?»
Hergè, esterrefatto, balbetta soltanto un: no. Pivot gli passa i due numeri della rivista: guardi qua allora.
Hergé resta come ammutolito, non sa dove metterli e se li tiene in mano per tutto il resto della durata della puntata. Hergé non tollerava la minima forma di parodia o di lettura irrispettosa del suo personaggio, e conosceva benissimo, se non “Fluide Glacial”, di certo Gotlib, con il quale aveva anche discusso proprio di quelle parodie.
Me li immagino Diament e Gotlib che ridono bastardissimi fino a cappottarsi come il Perverse Pépère di Gotlib nell’ultima vignetta di ogni storia.
Comunque, quello che conta è che il giorno dopo il numero in edicola di “Fluide” andò esaurito. E che nel giro di pochi mesi arrivò a un venduto di 100.000 copie per numero.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.