ci si trova esposti a tutta una serie di risposte fulminanti sulla nostra realtà. Risposte che probabilmente altro non sono che domande;
colpiscono al cuore le splendide idee di Chris Claremont, lo sceneggiatore che creò questi giovani mutanti a inizio anni ’80: Sam Guthrie, Cannonball, il proiettile umano, il campagnolo del Kentucky, figlio di un minatore; Roberto Da Costa, Sunspot, il ricco rampollo brasiliano che assorbe energia solare e diventa incandescente; Rahne Sinclaire, Wolfsbane, la scozzese cattolica e lesbica che si trasforma in un lupo; Illyana Rapsutin, chiamata Magik per i suoi non meglio specificati poteri che le permettono di avere un’armatura magica e una spada fiammeggiante, oltre al draghetto Lockheed al suo fianco; e infine Mirage, la Cheyenne Danielle Moonstar, la cui capacità è quella di creare illusioni profondamente reali partendo dalle paure di chi le sta intorno. In definitiva, un gruppo di adolescenti dolenti e incasinati, alle prese con le forme della diversità che si affacciano dal loro corpo e li mettono in conflitto con il mondo;
si ha la conferma, se ce ne fosse stato bisogno, che gli X-Men sono sempre stati soprattutto questo: un racconto sui diversi e sulla paura. Sull’integrazione, sul sogno di un mondo che comprende le differenze. Xavier è Martin Luther King e Magneto è Malcom X. E per decenni, scritti da Claremont, con uno stile ormai desueto ma pieno di idee, il loro fumetto è stato in cima alle classifiche di vendita americane e europee. Viene da pensare che per produrre un tale richiamo, questi argomenti interessassero e smuovessero le coscienze;
si ripensa allora alla prima volta che si è sentito qualcuno parlare del valore di un’opera artistica in base al suo impatto sul mercato. Meglio, la prima volta che si è sentito paragonare l’importanza artistica di un prodotto con il venduto delle sue copie. Come se le due cose fossero indiscutibilmente equivalenti (probabilmente è stato durante la visione annoiata di una puntata di X-Factor, tanto per restare in tema);
si pensa a Tony Stark e a come è successo che uno dei fumetti più brutti del mondo dei comics americani (The Avengers, I Vendicatori) sia diventato un fenomeno mondiale al di là del fumetto, entrando a far parte inesorabilmente dell’immaginario collettivo. Tony Stark, il ricco genio alcolizzato. Tony Stark, il creatore di armi di distruzione di massa che però, in fondo, ha il cuore buono. Il macho play boy incallito. Quello dalla battuta perennemente cinica e pronta. È lui l’idolo degli utenti dei cinecomics (anche di quelli che non hanno mai letto un solo numero di Iron Man in vita loro). Tony Stark, l’emblema del capitalismo e della tecnocrazia. Non il ragazzetto del Kentucky, né l’intrepida Cheyenne. No. Il multimiliardario con l’armatura. Quello che tutti vorrebbero diventare, uomini, donne e no binary compresǝ. Poiché lo scarto qui non è dato dal genere, ma dai modelli del potere;
ci si ricorda, quasi come in sogno, di quella volta che vedendo Totò in Signori si nasce, colti da folgorazione, si è compreso da dove è nato nell’immaginario italiano il mito di Berlusconi e il fascino che ha irretito questo paese per un ventennio e oltre;
si ripensa ancora una volta alle parole di Mark Fisher nel suo Realismo capitalista: “In Europa e negli Stati Uniti, per la maggior parte delle persone sotto i vent’anni l’assenza di alternative al capitalismo non è nemmeno più un problema: il capitalismo semplicemente occupa tutto l’orizzonte del pensabile.” Constatando però che la discriminante dell’età, da quel 2009 in cui Fisher scrisse, è venuta a mancare. Il capitalismo occupa tutto l’orizzonte del pensabile per tutti, 0-99. Mentre all’impensabile, quello che ha già colonizzato l’inconscio, ci sta pensando la dittatura tecnico-scientifica;
si rimane attoniti, infine, nel pensare a quei giovani mutanti (di cui quegli sgraziati attori non sono che l’immagine sbiadita, malcurata e orfana), per i quali la lotta per la vita passa attraverso l’integrazione, la comprensione di sé stessi e dell’altro e l’affermazione del proprio diritto all’esistenza, schiacciati, masticati e definitivamente cestinati dal multimiliardario di ferro con la faccia di Robert Downey Jr. Il figlio di puttana giusto al momento giusto;
appare nella memoria latente, non visto e non voluto, Licio Gelli che gongola in un’intervista alla tv dopo la realizzazione di tutti i punti del programma della P2, a suo dire, grazie ai governi Berlusconi. E il paragone con Walt Disney, altra eminenza grigia occidentale, e il suo immaginario infestante e colonizzatore risulta quasi osceno, pornografico, scontato;
si pensa alle occasioni perdute, continuamente perdute, per dare spazio nell’arte, dall’entertainment alla saggistica, alle molteplici forme della vita, piuttosto che all’unica mercificazione della morte.
È allora necessario scrivere le nostre storie mutanti, le storie vive dell’immaginario della vita, visto che quelle che scrivono al cinema sono brutte e non reggono il confronto con le narrazioni mortifere tecno-capitaliste. Così facendo potremmo accorgerci che Magneto, quello controverso che muove le forze dell’attrazione, è un modello molto più interessante e fertile di Iron Man, quello che ha tanti soldi e tante pistole.
Nota: The New Mutants di Josh Boone é lo spin-off della serie cinematografica dedicata agli X-Men prodotta da 20th Century Fox. È anche l’ultimo film della saga ora che Fox è stata inglobata da Disney.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.