Álvaro Mutis, romanziere e poeta colombiano, il 22 settembre 2013, all’età di novant’anni, attuava la sua fuga dal mondo, come tutti noi abbiamo fatto o avremo modo di fare.
In gioventù era già fuggito, dalla Colombia al Messico, con un’accusa di peculato ai danni della Esso. Lo avevano poi fatto fuggire da quella fuga, rinchiudendolo per quindici mesi nel carcere panόptico di Lecumberri. Uscito da lì (per questioni legate alla fortuna e non alla fuga), visse fino a sette anni fa, scrivendo e viaggiando continuamente nel nostro mondo globalizzato, dove ogni fuga risulta impossibile.
Qui, dove l’escapismo è soltanto parola, lettera morta di secolo dimenticato, tutto il mondo è stato ridotto a un punto. Non più distanze, non più raggiungersi né cercarsi, non più fughe. Al seguito del proprio corpo si può arrivare ovunque in meno di un giorno, e attraverso gli occhi anche in una sola frazione di secondo. Un carcere panόptico, appunto, costruito in maniera tale per cui tutto l’interno è visibile da un solo punto. O meglio, tutto l’esterno.
Mutis scrisse molti libri e poesie su Maqroll il Gabbiere, un uomo perennemente in fuga, che porta il nome del marinaio che dal pennone più alto della nave scruta l’orizzonte alla ricerca di nuove terre. Un marinaio che in nessuna delle sue avventure vedrà mai il mare, esattamente come il suo amico e socio Abdul Bashur, perennemente in cerca della nave perfetta, che morirà in un incidente aereo. Punti di fuga interrotti. Prospettive del sogno che il corpo tradisce.
Sembra scontato che questo Maqroll e il suo biografo (così si presenta Mutis nei romanzi), dovessero incrociare il cammino, per molti versi speculare, di due grandi flâneurs della fuga: Corto Maltese e Hugo Pratt. Nel libro di Dominique Petitfaux, Il desiderio di essere inutile, Pratt accenna di aver incontrato Mutis a Saint-Malo, dove il mare e la terra sembrano rincorrersi continuamente, notando come Corto e Maqroll avessero caratteristiche molto simili.
In realtà, il furbo Maltese, ha sempre vissuto in un tempo romantico, un perenne orizzonte immaginifico già scomparso quando le sue avventure cominciarono, mentre il dolente Gabbiere è stato costretto ad immedesimarsi nel suo tempo e nelle prigioni contemporanee, senza possibilità di eluderle. Ma sappiamo bene che Corto la sua fortuna se l’è fatta da sé, mentre Maqroll, al massimo, l’ha subita.
Entrambi comunque, Mutis e Pratt, avevano l’abitudine di alloggiare all’Hotel Esmeralda, a due passi da Notre-Dame, ogni qual volta visitassero Parigi (qualunque cosa significhi questa splendida sincronicità di fughe).
Anche un altro grande flâneur italiano, Fabrizio De Andrè, conobbe Mutis e la sua opera, utilizzandola per scrivere quella che fu l’ultima canzone del suo ultimo disco, la Smisurata Preghiera che chiude Anime Salve.
In quell’inno disperato alla protezione delle anime “contrarie”, l’anarchico borghese De Andrè prende le parole dell’altrettanto borghese ma monarchico Mutis, tessendole fra loro con la maestria che sempre lo contraddistinse, e aggiungendo solamente una sentenza di suo pugno: «la maggioranza sta».
De André che fuggiva il mondo spiandolo da una finestra o dal suo letto colmo di libri, sigarette e fogli sparsi, e Mutis che lo inseguiva continuamente, per evaderlo.
Chi volesse prendersi il piacere di leggere tutti i sette romanzi di Mutis editi in Italia, le due raccolte di racconti e l’antologia poetica, Summa di Maqroll il Gabbiere, rintraccerà, una per una, le parole diamantine cantate da De André, fuggite fra le pagine.
Ma l’attestazione più grande del mirabolante fuggire di Mutis, si trova, a mio parere, nelle sue Note per un improbabile curriculum vitae, in calce alla Summa edita da Einaudi. Lì, l’escapista afferma di non aver mai partecipato alla vita politica, di non avere mai votato, e che l’ultimo fatto che lo interessi pienamente in quel campo è «la caduta di Costantinopoli per mano degli infedeli, il 29 maggio 1453».
Prosegue poi dicendo di non riuscire a risollevarsi dal viaggio a Canossa di Enrico IV, nel 1077, «per rendere omaggio di vassallaggio al caparbio Pontefice Gregorio VII», e conclude definendosi, «di conseguenza», ghibellino, monarchico e legittimista.
L’interno dunque è l’unica cosa che ci appartiene, il carcere è illusorio. Un moto impetuoso verso le interiora dell’essere ci sorregge, la grande fuga che gli oligarchi temono, i razionalisti irridono e il mito del denaro elude. Dal punto più intimo e vicino fino al grande lontano universale, la fuga dentro di noi ci sostiene e accompagna nel silenzio segreto dove esistiamo.
Álvaro Mutis, uno dei più grandi scrittori del ‘900, da ragazzo non finì mai il liceo perché «il biliardo e la poesia furono più potenti».
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.