Berlino

Boris e Paolo | QUASI |

Berlino. Città di pietra, di fumo, di luce. Entrambi ci abbiamo trascorso un po’ di tempo. Uno di noi ci si è perso in derive senza approdo, godendone tantissimo; ama quella città e quando ne parla ha negli occhi la voglia di tornarci. L’altro c’è andato solo per lavoro e non l’ha mai capita troppo bene.

Quando abbiamo deciso che, per qualche tempo, avremmo provato a darci un tema settimanale, ci siamo comportati come al solito. Cena tranquilla di chiacchiere distese, qualche indicazione di letture interessanti, qualche consiglio per combattere gli acciacchi del tempo o l’insonnia, un po’ di pettegolezzi che non troveranno mai spazio in queste pagine… Poi, dopo aver consumato una cena che l’età consiglierebbe più frugale, stappando la terza bottiglia, abbiamo iniziato a snocciolare i nodi attorno ai quali avviluppare strani anelli, bagatelle e gnommeri. «Dovremmo metterci una città.», ha detto quasi subito il primo. «Parigi è troppo facile, Berlino!», ha risposto il secondo. «Giusto!», all’unisono.
Perché Berlino non è solo un luogo da frequentare, vivere, amare, odiare, capire, sentire, volere, dovere, ignorare, potere… Berlino è un luogo della mente. Con le sue notti, il suo muro che non c’è più, la sua musica, lo spazio delle sue idee, il racconto della sua storia…

Perché Berlino è soprattutto… meglio… è stata soprattutto, nel periodo della nostra formazione all’età adulta, un paradosso. Quando oggi ripensiamo a quel muro, ci commuoviamo per i poveri abitanti dell’allora DDR, chiusi in quel carcere tirannico. Ma non era così. I confini della DDR correvano lungo la Turingia, l’Alta Sassonia e la Renania. Berlino, piantata là, in mezzo al Brandeburgo era tutta dentro la Repubblica Democratica. Quelli chiusi dentro, circondati dal muro, erano gli altri, quelli che si consideravano “liberi”. Il luogo più “libero” di tutta l’Europa centrale era una gabbia.

Nessuno di noi due è stato a Los Angeles o Chicago. Non è una cosa di cui andiamo fieri. Semplicemente è andata così. Eppure quelle città sono stagliate nettamente nel nostro immaginario. Le abbiamo viste, lette, ascoltate e assaporate in centinaia di film, dischi, fumetti, romanzi, perfino videogiochi. Quelle città hanno una forma chiara nella nostra mente e siamo sicuri che, se mai le incontreremo, non saranno troppo diverse dal luogo ideale che ci figuriamo.
Berlino l’abbiamo vista e vissuta in altrettante storie e l’abbiamo sentita sotto le suole delle scarpe. Sapremmo indicarti qualche ristorante e un paio di librerie, eppure siamo coscienti che tra l’immagine che c’è stata raccontata di quella città e il mondo reale c’è solo qualche vaga somiglianza. Proprio per quella sua paradossalità, abbiamo imparato o scoperto che Berlino è un’ipotesi, come il futuro di Enrico Ruggeri. Sarà per l’assenza tangibile di quel muro, per il disperato grido novecentesco di quella caduta nelle spire del peggior futuro, per il rock della Neue Deutsche Welle, per l’esperienza della Kommune I fondata da Dieter Kunzelmann nell’appartamento di Hans Magnus Enzensberger, per il disegno preciso di Jason Lutes, per le note di Lou Reed, per l’assenza dolorosa di Erich Ohser, per il cinema di Herzog, di Schlondorff, di Fassbinder, di Wenders persino, perché tutto quello che è accaduto in quella città non ha paragoni.

Per sviluppare la nostra settimana attorno a Berlino abbiamo coinvolto tutta la cricca di QUASI. Li vedrai comparire uno alla volta per fare la propria magia. Arabella vestirà la duplice veste della lettrice delle macchie di Rorschach e della responsabile di uno strano strumento che è sempre bene avere nella cassetta degli attrezzi. Francesco Pelosi si impossesserà dello spazio in cui raccontiamo lo strano anello. Mabel Morri continuerà il suo racconto del gioco del calcio. Peppe Liberti ti accompagnerà tra quark e pinguini. Alessandra Falca ti farà entrare nella Wunderkammer di View-master. Paolo giocherà con le bagatelle e Boris con le pietre sopra. E ancora un Plat du jour che ti stupirà, una recensione, un #quasiquasi e la playlist a tema.

Noi ce l’abbiamo messa tutta.

Buona settimana.

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