Siamo alle solite. Qualcuno ha dimenticato di pagare la bolletta della luce e ci siamo ritrovati a lume di candela a rovistare tra le scartoffie accatastate per trovare uno dei solleciti in giacenza nel dimenticatoio delle cose da fare.
Purtroppo con l’avanzare dell’età sono tante le cose che dimentico e che vorrei poter dimenticare meglio. Nell’attesa mi affaccio al balcone e respiro. È un bel vedere da qui. Il porto, le navi che danzano nel loro viavai e la luce intermittente arancione che gira sul molo accedendosi e spegnendosi come in un vortice ipnotico.
Durante questo lungo periodo in casa mi sono affacciata spesso e credo di aver capito cosa provasse Gatsby nel guardare la luce verde in lontananza. La luce sul mio molo però lampeggia e sembra quasi un incontro sessuale intenso, di quelli che ti lasciano addosso l’adrenalina e ti fanno pensare che la vita è un attimo e che tutto, alla fine, resta dove noi vogliamo sia.
Te le immagini. Riesci quasi a vederle, le cose che accadono al di là di quel molo. Oltre la distesa che si apre all’orizzonte.
C’è la nonna col neonato che aspetta il rientro dei genitori dal lavoro; c’è la signora con l’ombrellino che si ripara dall’acquazzone improvviso; ci sono le piazze con la gente stretta nei pensieri del giorno; c’è il lavoratore stanco che impreca contro il carovita; c’è la casalinga che, tra un pasto da preparare e una telefonata inattesa, magari sogna una vita diversa, magari no, ma spera comunque nel giorno che verrà; ci sono i ragazzi attorno al falò delle macerie che gli abbiamo lasciato, tutti lì riuniti in una schitarrata che sente di gioia; ci sono gli amanti fedifraghi, sazi e paghi delle loro avventure, in cerca di nuove esperienze; ci sono gli innamorati, quelli che basta una carezza e si sciolgono nel romanticismo affettato, o che programmano il futuro; ci sono i solitari, per scelta loro o altrui, felici o meno che guardano l’orizzonte e immaginano vite di là del mare…
Il lento movimento delle onde ricorda quasi le nenie cantate dalle vecchie signore nei borghi di paese, quelli dimenticati, incastonati nella memoria corrosa dal sale e dai pensieri, con i veli neri che coprono capo e tristezza.
Un gatto attraversa la strada e mi riporta alla realtà, con le bollette da pagare e la perenne sensazione di aver dimenticato qualcosa. Provo, innanzitutto, a riordinare i miei pensieri; mi aiuta la signora che abita al piano di sopra e che stende i panni a cascata, quasi a volermi oscurare la visuale per una macchinazione contorta di chissà quale complotto. Le sue lenzuola sono così lunghe che, spesso, ho pensato avesse un letto adatto ai giganti.
Potrebbe anche darsi. Chi lo dice che le storie raccontate nei fumetti altro non siano che verità celate?
Del resto stiamo vivendo un anno strano, particolare, quasi apocalittico. Per cui, ad majora. Se domani dovessimo svegliarci in Craven Road 7 ad accompagnare Dylan Dog e Groucho nell’indagine contro il “solito” mostro.
A dirla tutta mi piacerebbe. Non solo perché penso che Dylan sia un figo da paura, ma anche perché vivere in un fumetto sembra quasi più reale che vegetare in una realtà che non ci appartiene poi così tanto. Ritorno in me per un momento al grido di battaglia «2020 non ti temo!» e, all’insegna di questi miei 42 anni di vita, torno a cercare la mia bolletta, certa che, dopo una boccata di ossigeno, il cervello possa riattivarsi e, chissà, magari dimenticare il peggio.