Non c’è mica un lieto fine nella vita di Giordano Bruno. Intendiamoci: non c’è un lieto fine nella vita di nessuno. I due estremi – incipit e conclusione – tendono ad assomigliarsi. Veniamo al mondo strillando e coperti di sangue e ne usciamo silenziosi e immoti. Eppure, se non fossimo morti, proprio come il signor de La Palice, saremmo ancora in vita.
A fare la differenza è tutto quello che si sviluppa tra quei due estremi. Nel caso di Giordano Bruno, ci sono cinquantadue anni, lo studio della filosofia, il convento, l’eresia, il vagare per l’Europa, la pubblicazione di opere fondanti, una vita erotica ardimentosa, l’inquisizione, il processo, il rogo. Fine. Un sacco di eventi, schiacciati in poco più di mezzo secolo di vita. Cinquantadue anni (esattamente l’età di entrambi i tangheri che firmano questo editoriale, nel momento in cui lo firmano).
Le ombre delle idee è un trattato mnemotecnico, scritto appunto da Giordano Bruno, composto da una parte teorica e da una pratica. Il suo titolo ci è rimasto dentro quando, una quindicina d’anni fa, uno tra noi continuava ad arrovellarsi intorno a un progetto assurdo e difficile che poi non si è realizzato. Lo chiamava “gnommero”. L’idea dell’inconcludente era quella di produrre delle guide turistiche – pensava proprio a volumi del formato delle Lonely Planet – riferiti a luoghi dell’immaginario. E i luoghi dell’immaginario mica erano le terre fantastiche in cui sono ambientate le storie (roba come Avalon, il mondodisco o il Maine di Stephen King). Quei luoghi erano dei nodi tematici. Posti come “padri e figli”, “i vizi capitali”, “lo specchio”, “il Doppelgänger”, “la caccia al tesoro”, sarebbero stati cartografati e corredati da itinerari e suggerimenti per vivere al meglio quella località: dove mangiare, quale architettura visitare, i parchi a tema, sei passeggiate boschive…
Delle ossessioni ci si libera solo quando si scopre che non porteranno da nessuna parte. Una sera, alla terza bottiglia, abbiamo scelto un luogo e abbiamo iniziato a stilare l’indice della guida. Il tema è stato Le ombre delle idee e nessuno di noi due ricordava di cosa parlasse quel testo sicuramente fondamentale di Giordano Bruno. E allora abbiamo iniziato a buttarci dentro, alla rinfusa, le cose che ci venivano in mente: l’ombra delle piramidi e Napoleone che grida: «Soldati, da lassù quaranta secoli vi guardano!»; l’ombra di vino e il giro della piazza a Venezia in cerca di frescura; le ombre proiettate nella caverna di Platone; la lanterna magica e il cinema come proiezione di ombre sullo schermo; «Che male striscia nel cuore degli uomini? L’ombra lo sa!», Ombretta Colli…
Giunti a Ombretta Colli, le bottiglie vuote appoggiate sul tavolo di legno dell’osteria erano difficili da contare. Il potere salvifico della sbronza ha graziato la nostra amicizia e ha evitato a uno di noi due una pessima figura.
Però l’idea di parlare dell’ombra delle idee c’è rimasta. E una settimana è un periodo abbastanza lungo per divertircisi e abbastanza breve per allontanarsene prima che il terreno melmoso diventi una trappola.
È bastato guardarsi rapidamente negli occhi per avere la conferma che nessuno dei due avesse sopperito, nel frattempo, alla propria mancanza: non abbiamo letto il testo di Giordano Bruno; lo sforzo di comprensione che abbiamo fatto non si è spinto oltre un’occhiata alla pagina che wikipedia dedica a quel libro sicuramente fondamentale. Per non farci sentire dalle amiche e dagli amici che fanno QUASI con noi, ci siamo raccontati questo segreto bisbigliando. Non lo sanno. Lo scopriranno solo quando leggeranno questo editoriale (e, se sono stati puntuali, sarà troppo tardi per dileggiarci nei loro interventi).
Per quel minimo di pudore che, ancora, ci imporpora, in rare occasioni, le guance, solo, abbiamo scelto di usare il singolare: L’ombra delle idee. Ma il riferimento – sia chiaro – è a quel testo sicuramente fondamentale scritto Giordano Bruno e, come ci spiega Wikipedia, pubblicato nel 1582 a Parigi.
Buona settimana!