di Sualzo
“Mono” era una rivista monotematica – appunto – edita da Tunué dove, con cadenza periodica, una trentina di autori (non sempre gli stessi) affrontavano un tema dato e cercavano di raccontarlo avendo a disposizione una e solo una tavola. L’idea era carina e, quando riusciva, era anche un bell’esempio della potenza unica del fumetto: vedere quante cose si possono raccontare in una sola pagina. L’alternanza tra nomi affermati e giovani speranze rappresentava bene l’idea di vivaio che da sempre la Tunué ha portato avanti.
Nel numero 10, del novembre 2011, fui invitato anche io a cercare di dire qualcosa a fumetti sul tema “diverso”. Non era mica un tema facile, la paura della retorica era fortissima e ci misi un bel po’ prima di capire cosa fare. L’impulso di impartire la lezioncina, con certi temi viene quasi automatico e bisogna esser lucidi per respingerlo giù. Quando mi trovo in queste pastoie, io di solito ricorro a quel consiglio che sa tanto di scuola di scrittura creativa e che per il nobel Kazuo Ishiguro è il peggior consiglio che si possa dare: scrivi solo di ciò che conosci. Con me, però, ha sempre funzionato.
Quindi quella che vedete sotto è una paginetta nella quale ci sono io, il camper e il canotto di Big Jim, il super Tele e la mia adorata numero 8, macchina a pedali con la quale ho percorso centinaia di km nel mio giardino e il primo amico di cui abbia memoria.
È una tavola fatta interamente a grafite (ero appena uscito dalle 120 pagine di “Fiato sospeso”, fatte tutte a matita carboncino) con qualche grigio rinforzato da pennellate digitali, nella quale cerco di domandarmi da dove viene l’esigenza di riconoscere il diverso come tale.
Io che come tutti ho fantasticato di esser diverso, sapendo di esser ben protetto dal mio non essere affatto diverso.