(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)
L’essere umano non è fatto per la solitudine. Ha il sistematico bisogno di convivialità. Deve proiettare i propri desideri su un altro e verificare di continuo di essere ancora umano.
Rimanere da soli è doloroso, perché costringe al monologo. Sapere, sempre e con esattezza, quali saranno le risposte del tuo interlocutore è frustrante. All’inizio ti convinci di essere onnipotente, di non ammettere eccezioni, di poter prevedere tutto e di avere il controllo sul tuo destino. Poi, ma non troppo tempo dopo, ti rendi conto che sei proprio tu, con la tua fallibilità, colui che rende infernale il presente mentre era convinto di conoscere il futuro.
Essere solo significa essere uno. E uno è troppo poco.
E allora cerchi l’equilibrio negli altri. Il conforto del loro sguardo che suggerisca l’interessamento, l’amore, la passione, l’approvazione, l’ammirazione o, in assenza di tutto, almeno il rispetto. Per evitare assembramenti, costruisci il tuo nucleo di esistenza, un pezzo alla volta. Ti rifletti in una altro individuo, aspettando forse di estendere la tua famiglia ad altri, per filiazione o arruolamento. Proprio come noi, che siamo in due e viviamo nelle immagini di una terza persona che non abbiamo mai incontrato. La convivenza vive di un equilibrio delicato, anche quando è resa possibile da sensi come l’amicizia, l’amore, la passione, il desiderio, la voluttà, il gusto, l’olfatto, il tatto, l’udito e anche la vista.
Non potremmo vivere l’uno senza l’altro, anche se sappiamo che la passione tra di noi si è spenta da decenni e cerchiamo altrove luoghi in cui il corpo possa esultare. Eppure, spesso sentiamo il bisogno di allontanarci, di rimanere da soli. Perché, se è vero che uno è troppo poco, spesso succede che due siano troppi.
La vita di coppia, anche di una coppia come la nostra, produce un paradosso. Ti costringe continuamente a rifletterti in un individuo che ormai conosci come te stesso. E a chi, come noi, ha rinunciato a un’idea di sessualità che si esaurisca in una fedeltà non richiesta e insopportabile, non può che tornare in mente una frase di Borges: «Los espejos y la cópula son abominables porque multiplican el número de los hombres».
La coppia è abominevole. Deve essere infranta. Continuamente. Lasciando frantumi taglienti sul pavimento. E caricando l’animo del presagio di sette lunghissimi anni di sventura, tristezza, dolore, follia.
Nessuna relazione finisce bene. Le lacrime solcano guance che credevamo aride e incapaci di bagnarsi. E il distacco stesso si allontana, mentre, nudi nel letto avvinghiati e scossi dai singhiozzi, ci diciamo che la riconquista della solitudine può attendere. Almeno un altro po’.