Non è solo al povero Voltaire che viene attribuita una famosa stupida frase che non ha mai scritto né pronunciato. Anche a Charles Robert Darwin è toccata questa sorte. Da più di mezzo secolo c’è in giro gente convinta, senza ombra di dubbio, che questa frase sia sua: «Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento».
In realtà questa cazzata Darwin non si è mai sognato né di dirla né di scriverla. E non può nemmeno mai averla pensata, perché in questa frase è implicita l’idea che la volontà faccia parte del processo evolutivo, mentre se il grande naturalista ci ha insegnato una cosa è che i mutamenti/cambiamenti genetici che determinano l’adattamento, sono assolutamente casuali. In realtà la frase incriminata, con quella sua fastidiosa sfumatura motivazionale, è stata messa in giro negli anni Sessanta del secolo scorso, da Leon G. Megginson, noiosissimo professore di management, al quale serviva giustificare con le teorie darwiniane la base ideologica del suo insegnamento: sii pronto a cambiare se vuoi sopravvivere.
Non esiste in natura la volontà di cambiamento, è una sovrastruttura culturale, quindi squisitamente umana, che ci siamo inventati, appunto, per restare vivi. È una cosa che ci è indispensabile, perché prova a immaginarti se dovessimo ammettere a noi stessi che ha ragione Darwin e che tutto cambia, ma lo fa casualmente: finirebbero nella spazzatura sia ogni tentativo di conservatorismo sia ogni progetto di miglioramento progressista. Resteremmo senza speranza di un tempo e di un mondo migliori: «Cambiar el mundo, amigo Sancho, que no es locura ni utopia. Sino justicia!» diceva Don Chisciotte a un perplesso Sancho Panza. Sicuramente a questo doveva pensare il musicista cileno Julio Numhauser, quando nel 1982 – nel freddo del suo esilio svedese – compone quell’inno al cambiamento che sarà portato a fama mondiale da Mercedes Sosa: Todo Cambia.
«Cambia el rumbo el caminante
aunque esto le cause daño
y así como todo cambia
que yo cambie no es extraño.»
Infatti, niente di strano nel cambiare, anzi. Lo sapeva bene David Bowie, che dieci anni prima di Numhauser aveva inciso una canzone che diventerà irrinunciabile, al punto da essere l’ultima eseguita dal vivo dallo stesso Bowie prima del suo ritiro dalle scene il 9 novembre 2006: Changes. Canzone decisamente paradossale:
«Ch-ch-Changes
Just gonna have to be a different man
Time may change me
But I can’t trace time.»
Il tempo può cambiarmi, ma io non posso determinare il tempo. C’è quasi un richiamo alla casualità darwiniana in questi due versi del ritornello, che però viene come negata nella seconda strofa, quando parlando dei giovani dice:
«As they try to change their worlds
Are immune to your consultations
They’re quite aware of what they’re going through.»
Mentre cercano di cambiare i loro mondi, restano immuni ai tuoi consigli e sono perfettamente consapevoli di ciò che gli sta accadendo. Ecco, di nuovo la consapevolezza del cambiamento, quella che ti spinge a cambiare diventando adulto, come avviene al protagonista del più bel romanzo della letteratura italiana del secolo scorso, Il partigiano Johnny, che faticosamente si fa uomo attraverso il proprio quotidiano mutamento e quello del mondo, nel tragico scenario storico della caduta del fascismo e della guerra.
Non è una partigiana e non è per salvare il mondo che la psichiatra Harleen Frances Quinzel cambia radicalmente, ma per amore, un amore che la porterà alla follia, come nella follia vive Edgard Legard, chirurgo plastico protagonista di La pelle che abito, che sarà artefice di uno dei più radicali e involontari (per chi lo subisce) cambiamenti che mai siano stati raccontati dal cinema. Non te lo raccontiamo nel dettaglio per non rovinarti il piacere di scoprirlo guardando, se ancora non lo hai fatto, questo spiazzante film di Pedro Almodovar. Sappi solo che questo crudissimo lungometraggio chiude questo strano anello aprendo una questione, che la canzone di Numhauser solo accennava, di carattere etico sul cambiamento e sulla sua natura. Aldilà della sua volontarietà o meno, diamo sempre per scontato, come Don Chisciotte, che il cambiamento, sia una cosa positiva, una sorta di progresso, un atto di giustizia. Forse non è proprio così, forse conviene rifletterci.
Questo strano anello si compone di:
- Charles Robert Darwin, L’origine delle specie, Bollati e Boringhieri, 2011
- Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, Einaudi, 2015
- Mercedes Sosa, Todo Cambia, 1983
- David Bowie, Changes, 1972
- Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi, 2005
- Paul Dini, Bruce Timm, Batman: Amore folle, Playpress, 1994
- Pedro Almodovar, La pelle che abito, 2011
Quello delle stagioni è il cambio che forse più incide sulla nostra quotidianità, abbiamo quindi accompagnato l’ingresso, con questo strano anello, nel pieno del nostro autunno, con qualche bicchiere di uno dei nostri cocktail autunnali preferiti: il BrancaMilano.
Se vuoi provarlo fai così, versa in un bicchiere tipo da bibita pieno di ghiaccio, sei parti di Carpano Antica Formula, due parti di Fernet Branca e due parti di Stravecchio Branca. Mescola con delicatezza e guarnisci con qualche fogliolina di menta piperita.