Ma portano guai

Paolo Interdonato | Bagatelle per un Alph-Art |

Nel 1996 ho ventotto anni. La mia vita è scandita da pochi riti: lavoro, leggo fumetti e tantissimi gialli ed esco la sera a sentire musica. Almeno un paio di volte la settimana, un centinaio di concerti l’anno, nei locali e nei campi sportivi in cui feste e festival hanno montato palchi non troppo grandi. Sono quasi sempre eventi gratuiti o che prevedono ingresso con sottoscrizione. Prezzi popolari. Per tutti gli anni Novanta del secolo scorso una pletora di gruppi e gruppetti si è donata senza sosta a un pubblico vorace: Almamegretta, Afterhours, Casino Royale, Yo Yo Mundi, Africa Unite, Kunsertu, Üstmamò, Fratelli di Soledad, Rosso Maltese, Gang, Bluebeaters, La Crus, Kani Pomisi, Mau Mau
Ecco, Mau Mau. Nel 1996 esce il loro terzo disco, Viva Mamanera. Fino a quel momento mi erano piaciucchiati, ma quel CD mi spinge a togliere dal lettore Sanacore degli Almamegretta che girava senza sosta sotto il laser da circa un anno. Viva Mamanera è un disco di storie e di musica e, facile all’ossessione come sono, mi riversa dentro nuove smanie. La traccia numero 5 è Corto Maltese ed è un chiodo fisso che, in quel momento, accudisco e lucido da tre lustri.

Corto Maltese, il personaggio di Hugo Pratt, l’ho incontrato per la prima volta da bambino sulle pagine dei “Linus” scovati sulle bancarelle. Usciva con episodi lunghi una o due pagine e, a quei ritmi, per capire che dietro quei cocci di storia c’era Corte Sconta detta Arcana ci voleva qualcuno più sveglio di me. Poi avevo visto La laguna dei bei sogni nella versione televisizzata da “Supergulp! I fumetti in TV” e, anche in quell’episodio che oggi amo, il ruolo marginale del personaggio non mi aveva colpito più di tanto. Quando, nell’ottobre del 1983, è uscita la rivista mensile dedicata da Milano Libri al fumetto d’avventura e al personaggio di Pratt, quindicenne, mi ci sono perso.
Corto Maltese, la canzone dei Mau Mau, racconta un personaggio frantumato, che si muove su un «mare spinato fermo come un petrolio» e che si allunga la vita con un rasoio. A un certo punto, si leva la preghiera del lettore: «Regalami un sogno di ventreviolenza / come eroe di carta sai / che gli spari di inchiostro / non piangono morti ma portano guai». Quella frase, in musica , non mi abbandona più. Inizio a pensare a cosa mi fanno i fumetti.

Mi interessa poco o niente: il completismo dei collezionisti; la conoscenza mirata delle opere minori; la disamina delle eccezioni nella continuity degli universi autoconsistenti del fumetto statunitense; il modo di distinguere il numero uno originale da una copia contraffatta; l’affiancamento di autori giganteschi capaci di farmi godere ad artigiani onestissimi solo perché hanno lavorato sullo stesso personaggio; la volontà di risolvere il discorso sul fumetto solo nel fumetto.
Mi interessano, invece: le storie cartografate sulla pagina, in modo da fornire al lettore una mappa per orientarsi e muoversi a suo piacimento; gli strani anelli che fanno sì che quelle storie, dopo aver fatto mezzo giro, si richiudano su loro stesse, consentendo un percorso infinito; lo gnommero di riferimenti interni ed esterni, alcuni cercati e altri involontari perché la vita degli autori preme incontrollata, che fa vibrare rumorosamente la testa del lettore; la ridda selvaggia di sensazioni che mi urlano dentro quando il Marsupilami fa «Houba».

So che parlare di concerti in un momento in cui la musica dal vivo ci è quasi completamente negata è espressione di cattivo gusto, ma sappi che non è mia intenzione offenderti o ferirti. In quegli anni Novanta di musica gratis suonata tanto in centro quanto in periferia, Passavi l’ingresso senza troppi controlli e ti muovevi sicuro sull’erba verso lo stand del bar. Prendevi una birra e poi, con il bicchiere di plastica difficilmente smaltibile o riciclabile, ti muovevi in mezzo agli altri, sorseggiando e scambiando quattro chiacchiere con gli amici, in attesa che la festa avesse inizio. La frequentazione assidua dei concerti ti garantiva la capacità di ballare con tranquillità, scegliere lo spazio in cui muoverti e ascoltare senza essere schiacciato dagli altri, capire quando era il momento di spostarsi perché stava per partire il pogo e la tua birra non ne sarebbe stata felice. Frequentare tutti quei concerti ti dava anche consapevolezza della presenza del tuo corpo tra gli altrui: lo sentivi muoversi e cercavi di essere armonico e anche sensuale. Ecco, perché la musica dal vivo è proprio quello: esplosione dei sensi. La musica fa vibrare l’aria e il terreno e ti entra dentro e, se hai il bicchiere colmo appoggiato al petto, senti un misto di paura e speranza che il cuore ti esploda all’unisono con Peppe Barra che canta Cicerenella.

Gli anni Novanta volgono al termine. Parlo con gli amici dicendo loro che sento il bisogno che il discorso intorno ai fumetti non sia autocentrato e tocchi la mia vita. Un discorso che parli di come i fumetti mi muovono il corpo e mi mettono dentro la paura e la voglia che mi si spezzi il cuore. Sono anni in cui la timidezza che mi affligge è quasi paralizzante e non riesco a farmi capire. Col tempo supererò la paralisi indotta dalla timidezza (che sarà sostituita da un’aggressività facilmente confondibile con antipatia); la mia capacità di farmi capire invece ancora non è migliorata.
Mentre dico dell’esigenza di parlare di fumetti con uno sguardo aperto al mondo e capace di fregarsene dei fumetti, cito spesso il verso della canzone dei Mau Mau ch’entro mi rugge. Ma è un’ossessione tutta mia che non aiuta i miei amici a capire. Anzi, nella maggior parte dei casi, mi rispondono con domande spiazzanti. «Ma che vuol dire?»; «Ventreviolenza?»; «Ma alla fine non ti pare che sia tutto un girare intorno al proprio ombelico?»; «Portano guai? Anche tua madre si arrabbiava quando ti beccava i fumetti porno?»…

Il 26 agosto 2004 sono a Furci Siculo. Sono tornato dalla spiaggia. È quasi ora di cena. Sullo schermo del televisore compare il viso di Enzo G. Baldoni. È stato rapito in Iraq qualche giorno prima dall’esercito islamico e ora lo hanno ammazzato. Enzo G. Baldoni. Lo presentano come giornalista freelance, ma io quel nome lo conosco bene. Ho letto Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller sulle pagine di “Corto Maltese” e leggo con attenzione Doonesbury di Garry B. Trudeau, tutti i mesi, su “Linus”. È il traduttore di entrambi i fumetti e scrive articoli che spiegano come godere al meglio delle strisce di Trudeau.
Non ricordo che foto di Baldoni mostrassero sullo schermo televisivo. In rete, oggi, trovo solo foto di un tipo con l’aria simpatica che ha la mia età attuale.
In quel momento, i fumetti che alimentano il mio immaginario irrompono selvaggi nella mia realtà materiale. Le paure e i desideri instillatimi dalle storie entrano in risonanza con quelle vere, che misuro in strada, nella vita, in ufficio, nel conto in banca, nelle notizie del telegiornale della sera…
Meno di un mese dopo, usando la stessa piattaforma di cui si serviva Enzo G. Baldoni, apro il mio blog. Per parlare di fumetti e vita e per scriverne tutti i giorni.

Il nome? Spari d’inchiostro.

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