In quel gioco dell’oca modificato che è il Monopoli c’è un momento in cui, per un imprevisto, finisci in prigione senza passare dal via. In quel malaugurato evento ci abbiamo sempre visto una rappresentazione della vita che, per quanto ludica, ci pare caratterizzata da profondo realismo. Molto più che in tutte quelle teorie socio-giuridiche che camuffano la pena con intenti rieducativi. La pena non rieduca a nulla: è già nella condanna che ti viene negata la possibilità di tornare indietro, a un nuovo inizio. Non c’è bisogno di grandi studi di filosofia del diritto, basta aver giocato un po’ da ragazzi, per sapere che il problema non è la pena, ma la condanna.
La condanna, questo maledetto imprevisto, ci preclude la possibilità di ricominciare da capo. A meno che non ti trovi una via di fuga.
Per tutta la durata del processo, Henri Charrière, detto Papillon per via di una farfalla tatuata sul petto (retaggio del suo servizio militare), si dichiarò innocente. Era accusato dell’omicidio di un certo Roland Legrand, pappone che celava la sua vera fonte di profitto dietro la rispettabile insegna di una bottega di macelleria. Fu condannato al carcere a vita e alla deportazione alla “Cayenna”.
Dopo tredici anni di prigionia e otto tentativi di fuga, nel 1945 riuscì finalmente a portare a termine la nona evasione e a raggiungere Caracas, in Venezuela, paese che non aveva accordi di estradizione con la Francia. Si sistemò qui, dove aprì uno di quei lurfidi bar che danno pessima fama alla capitale venezuelana. Perse però tutto nel terremoto del 1967 che devastò la città, e dovette trovarsi un’altra via di fuga. Così accettò l’offerta dell’editore parigino Laffont di scrivere le sue memorie.
Uscito nel 1969, Papillon vendette più di 10 milioni di copie in tutto il mondo, facendo di Charrière un uomo ricco. Purtroppo non riuscirà mai a vedere il film che, nel 1973, Franklin James Schaffner trasse dal suo libro, facendone interpretare il ruolo a Steve McQueen. Un cancro alla gola se lo porterà via pochi giorni prima dell’uscita nelle sale.
Proprio in quell’anno (più o meno) l ‘argentino Guillermo Saccomanno comincia la sua carriera di sceneggiatore di fumetti, che lo porterà, nel 1978, a lavorare per l’italiana Editoriale Eura, per la quale creerà, con l’amico Domingo Roberto Mandrafina (anche lui argentino), il personaggio di Cayenna che verrà pubblicato sulle pagine di “Skorpio”. Inutile che ti sottolineiamo quanto fosse ispirato a Charrière.
Per tutta la durata del processo, Marcel Clouzot, che verrà soprannominato “Cayenna” per via del carcere dove sarà inviato a scontare la pena, non fa altro che dichiararsi innocente. È accusato dell’omicidio della moglie e sarà condannato all’ergastolo. Riuscirà a fuggire e finirà a gestire, da qualche parte nella Guyana francese, un locale malfamato.
Anche Richard Kimble, protagonista del film Il Fuggitivo, interpretato nel 1983 da Harrison Ford, come Clouzot, viene accusato dell’omicidio della moglie, e nonostante si dichiari innocente viene condannato alla pena capitale. Riuscirà a fuggire e a dimostrare la propria innocenza.
Nessuna via di fuga possibile c’è invece per Monica Hadler, la terrorista interpretata proprio nel 1978 – per dirti di un comune sentire di quell’epoca, in cui lo scappare dall’istituzione carceraria diventa un tema non secondario delle narrazioni per immagini – da Lilli Carati in Le Evase, che dopo un’evasione rocambolesca con relativa anabasi su un pulmino per la velenosa (avrebbe detto Battisti) provincia italiana, con la quale quella di Kimble ha molte somiglianze, troverà invece la morte in uno scontro a fuoco con la polizia. Inutile sottolineare come anche la vita di Lilli Carati fu, in certo qual modo, senza possibilità di ripassare dal via.
Se Le Evase resta l’unico film girato da Giovanni Brusatori, c’è un motivo (se vuoi scoprirlo, vedilo). Invece Andrew Davis ha una bella filmografia nutrita, e dieci anni dopo Il fuggitivo, girerà quello che per noi è il suo capolavoro: Buchi nel deserto, tratto dal bellissimo omonimo romanzo di Louis Sachar. In questo film Stanley Yelnats (interpretato da Shia LaBeouf), accusato ingiustamente di furto, sconta una condanna ai lavori forzati scavando buchi in un campo di concentramento in mezzo al deserto. Non ti facciamo spoiler, sappi solo che Stanley, durante lo scavo, trova qualcosa di inatteso che – in un certo senso – gli apre una via di fuga. Infatti fuggirà.
Se per finire in prigione non si passa dal via, uscirne costa sacrifici che ti segnano fino al traguardo. Lo impara nel suo lungo viaggio verso la libertà Doc McCoy, di nuovo interpretato da Steve Mc Queen (esattamente un anno prima di interpretare Papillon), in un film meraviglioso di Sam Peckinpah, Getaway (titolo non casuale!), che a differenza di Jim Thompson, che nel romanzo lo fa finire nel carcere dorato di El Rey (fai conto che lo strano anello si chiuda qui, da un carcere all’altro), concede al suo protagonista una speranza oltre la frontiera messicana (considera che ogni strano anello ha un punto critico in cui la struttura cede e permette la fuga verso altro: quello di questo strano anello è qui).
Questo strano anello è composto da:
- Henri Charrière, Papillon, Oscar Mondadori, 2020
- Papillon, regia di Franklin James Schaffner, 1973
- Saccomanno e Mandrafina, Cayenna, collana “I giganti dell’avventura”, Eura, 1997
- Il Fuggitivo, regia di Andrew Davis, 1983
- Le Evase, regia di Giovanni Brusatori, 1978
- Louis Sachar, I buchi nel deserto, Piemme, 1998
- I buchi nel deserto, regia di Andrew Davis, 2003
- Getaway, regia di Sam Peckinpah, 1972
- Jim Thompson, Getaway, Mondadori, 1972
Per idratarci durante la fuga ci siamo concessi una bottiglia di Heaven’s door, il bourbon preferito da Steve McQueen e Sam Peckinpah.