[Versione riveduta, tagliata e corretta, di un pezzo originariamente apparso su Lo Spazio Bianco].
1. Depistaggi
Trarre in inganno con le parole, confondere, deviare l’attenzione, indicare la luna col dito, dire il nome ma non riferirsi all’oggetto che quel nome dovrebbe rappresentare. Un gioco, un’illusione, prerogativa di molti narratori, grandi e non: in fondo, nel nostro pensiero automatico, il nome e la cosa nominata diventano un tutt’uno con facilità. Ma il fiore chiamato rosa è qualcosa che abita questo mondo, mentre la parola “rosa” è un’invenzione umana per definirlo, una convenzione che nell’uso frequente e comune diventa la rosa stessa.
Che Alessandro Bilotta con Mercurio Loi volesse giocare con la rappresentazione, è stato chiaro fin da subito.
2. Apparizioni
A partire dalla copertina de La morte di Mercurio Loi, albo conclusivo della serie, abbiamo a che fare con l’idea di icona, concetto astratto di cui ognuno ha una definizione istintiva in sé, in quanto non si tratta di un oggetto ma di qualcosa che definisce un oggetto. In questa copertina, sempre di Manuele Fior, non compare il protagonista del fumetto, ma una sorta di strano idolo d’oro fluttuante con le sue fattezze, attorniato da una marea di uomini e donne della nostra epoca (e non della Roma ottocentesca della serie) che, armati di smartphone, lo fotografano.
Potremmo dire che la rappresentazione di Mercurio Loi in questa copertina è un’ottima resa grafica del concetto di icona, nella sua accezione di «figura o personaggio emblematico di un’epoca», come da definizione della Treccani.
Addentrandoci nella lettura poi, questo concetto viene ampiamente messo in gioco grazie alla trama: Mercurio è scomparso da qualche mese, alcuni lo credono morto ma ci sono in giro almeno quattro personaggi che dicono di essere lui. La situazione si chiarirà per noi lettori quando verremo messi di fronte al personaggio la cui immagine disegnata siamo stati abituati per 16 numeri a identificare con Mercurio Loi; non sarà lo stesso per i personaggi del racconto che continueranno a non capire quale sia il vero Mercurio, anzi ognuno riconoscerà o meno il suo.
Solo coloro i quali conoscono veramente il nostro eroe, ossia il barbiere Adelchi e Dante Fusco, il bambino che vuole imitarne le gesta, sembrano capire qual è il Mercurio originale. Ma nessuno di loro lo chiama nemmeno una volta con il nome che figura sulla copertina dell’albo.
3. Scomparse
Mercurio Loi dunque non è più Mercurio Loi (tanto da mettersi a cercare un altro nome durante la storia). Ciò che ne rimane sono la sua intelligenza unita all’attitudine per le indagini, il piacere delle camminate senza meta e quello di correre di notte sopra i tetti: rimangono insomma le peculiarità del personaggio, gli aggettivi per descriverlo, che in mano a chiunque però possono venir facilmente banalizzati e trasformarsi in cliché (che sia una riflessione sulla fine che possono fare i character in mano ad autori differenti dai creatori?).
Ormai solo le azioni che definiscono Mercurio Loi sono vere, ma non più il volto che per molto tempo è stato abbinato al suo nome. Nessuno lo riconoscerà più e addirittura ci sarà chi registrerà il nome all’anagrafe per appropriarsene e essere Mercurio Loi. Nulla è definitivo o immutabile qui. Tantomeno la morte.
4. Ritorni
A ben pensarci, la mistificazione del significato è alla base di tutta la scrittura di Bilotta sulla serie. L’uso di immagini ripetute e speculari (non solo all’interno di una singola storia ma lungo tutta la narrazione orizzontale) insieme all’evocazione di situazioni simili fra loro ma per nulla collegate, ha contribuito in grandissima misura al grande gioco di prestigio che è in realtà questo fumetto. Sembra quasi che Bilotta e i disegnatori abbiano disseminato la serie di falsi indizi e vicoli ciechi che non portano alla soluzione degli enigmi del racconto, ma che invece contribuiscono a crearne l’immagine illusoria che ogni lettore crede di vedere.
Mercurio e Tarcisio Spada, il suo acerrimo nemico, ammettono più volte, soprattutto nei primi numeri, di essere preda di allucinazioni dovute ai gas con i quali si sono spesso combattuti. Allo stesso modo gli autori contrappongono continuamente situazioni reali con altre solo supposte tali. Quante volte abbiamo già visto il protagonista morire durante i vari episodi? Non c’è da stupirsi che succeda ancora e che ancora sia (forse) soltanto un’allucinazione, un punto di vista, un errore dello sguardo, distratto in quel momento da altro. Una somiglianza fra due volti, un po’ di sangue per terra, un nome invece che la rosa.
5. Trapassi
Il gioco delle illusioni e delle somiglianze si esprime all’ennesima potenza nel trattamento dei tre “allievi” di Mercurio: Tarcisio Spada, ex spalla e poi nemesi, Ottone De Angelis, che abbiamo conosciuto come sidekick del nostro e che durante la serie si è abbandonato al suo lato oscuro e Dante Fusco, bambino salvato dall’investigatore nel numero “zero” pubblicato su “Le Storie” e attualmente successore di Ottone.
I tre hanno molte cose in comune: basterebbe parlare del fatto che Tarcisio e Dante vestono con abiti simili e con gli stessi colori e che hanno un particolare (e inquietante) rapporto con le lucertole, o che Ottone e Dante sono entrambi biondi (hanno cioè i capelli di colore giallo, tono molto importante per l’intera vicenda). In un vortice di autocitazioni e rimandi al primo numero, Roma dei pazzi, il finale della serie mette in scena questi tre personaggi fondamentali, molto più di quanto faccia con il protagonista. La sensazione che si ha alla fine è che Mercurio non sia per nulla un buon maestro.
Proprio il piccolo Dante gli dirà che il vero problema fra lui e Ottone (e forse anche fra lui e Tarcisio, potremmo supporre) è sempre stato il parlare, «tanti insegnamenti fraintesi che hanno portato Ottone su una cattiva strada». Ma se Ottone si è fatto traviare dalle sue interpretazioni, scegliendo, come si vede alla fine del quinto numero, L’infelice, la strada buia, il piccolo Dante afferma invece di essere molto più sveglio e di sapere quali insegnamenti seguire. Il fatto che lui sia un piccolo genio, un enfant prodige, con un’intelligenza simile o addirittura superiore a quella di Mercurio, è però un’altra pericolosa somiglianza con Tarcisio.
6. Rappresentazioni
Con personalità sempre ben definite e riconoscibili, i disegnatori che si sono succeduti (Matteo Mosca, Giampiero Casertano, Onofrio Catacchio, Sergio Gerasi, Andrea Borgioli, Sergio Ponchione, Massimiliano Bergamo e Francesco Cattani), supportati da coloristi e letteristi, hanno aiutato il lettore a perdersi nel labirinto immaginato da Bilotta, contribuendo a quel senso di smarrimento che acuisce la sensibilità e che scatena la meraviglia. Mercurio Loi, con il suo camminare senza meta e il suo ragionare instancabile sulle sfumature della vita, non ha fatto altro che confondere sempre più i lettori che lo hanno seguito, rapiti dagli abbagli di un intreccio o di un discorso all’apparenza intricati, o da falsi indizi, immagini speculari e somiglianze sibilline. Ma d’altra parte, anche Ovidio ne Le metamorfosi suggeriva: «chiama ritrovare il perdere con più certezza».
7. Rinascite
Nei suoi due anni di pubblicazione “Mercurio Loi” è diventato una leggenda per una piccola élite, un miracolo del fumetto seriale italiano. E questo ci riporta direttamente all’immagine di copertina con l’icona d’oro attorniata dai fan. Dietro quel simulacro Mercurio si è perso, smarrendo il suo nome, e forse così si è ritrovato. E nel frattempo potremmo esserci smarriti anche noi, proprio come Ottone, fuorviati dalle nostre interpretazioni.
Fa riflettere pensare che nel racconto di Bilotta e compagni, tutti coloro che hanno seguito Mercurio o che hanno voluto chiamarsi come lui (figli adottivi, assistenti e emuli), sono finiti per impazzire o sembrano essere su quella strada.
Qualcuno, addirittura, è morto.
Scrive fumetti e scrive di fumetti, poi scrive anche canzoni e le canta, insieme a quelle degli altri che gli piacciono. Il suo sito è www.francescopelosi.it.