Inversione a U
#1
Colpo di scena, un italiano, e mica uno qualunque: nessuno ha ancora proposto Franco Battiato, da Clic, 1974: No U turn? Se riesco a non sentire gli acuti sullo sfondo, che mi grattano i nervi, il resto mi manda in orbita. Le sequenze ripetute, le registrazioni al contrario, e un testo che non si risparmia niente, non cerca nemmeno di essere stemperato all’eleganza che sarà la cifra del Battiato successivo, sempre più autoironico, pop, postmoderno. Qui c’è un marasma di suoni sospesi in un’atmosfera sottilissima, così sottile che ti domandi come facciano a propagarsi. E poi entra la voce, tardi, quando quasi non la aspetti più, e dice: «Per conoscere / me e le mie verità / io ho combattuto / fantasmi di angosce / con perdite di io. / Per distruggere / vecchie realtà / ho galleggiato / su mari di irrazionalità. / Ho dormito per non morire / buttando i miei miti di carta / su cieli di schizofrenia». Se i cieli di schizofrenia sembrano usciti da un generatore automatico di frasi di disagio, altri pezzi del testo hanno il senso disarmante della verità, della confessione: soprattutto, per me: «Ho dormito per non morire». [AS]
#2
Sono sicuro che qualcuno abbia già fatto notare che i tredici dischi che compongono l’opera principale di Fabrizio De André si risolvano tra due preghiere. Parte da quella In gennaio, dedicata a Luigi Tenco, che apre Volume I, e approda a quella Smisurata che chiude Anime Salve. Per me De Andrè è un po’ come il calderone della pozione per Obelix: ci sono caduto dentro da piccolo e, ora, una dose normale mi risulterebbe dannosa. Però posso concedermi i pochi versi che ne aprono e chiudono l’intera opera, sintetizzandola. «Lascia che sia fiorito / Signore, il suo sentiero / Quando a te la sua anima / E al mondo la sua pelle / Dovrà riconsegnare / Quando verrà al tuo cielo / Là dove in pieno giorno / Risplendono le stelle». E infine. «Ricorda Signore questi servi disobbedienti / Alle leggi del branco / Non dimenticare il loro volto / Che dopo tanto sbandare / è appena giusto che la fortuna li aiuti / Come una svista / Come un’anomalia / Come una distrazione / Come un dovere». Perché è chiaro che, per viaggiare in direzione ostinata e contraria sono necessarie inversioni di marcia, continue e impreviste. [PI]
#3
C’è un’altra preghiera che racconta il viaggiare in direzione ostinata e contraria. È dedicata a una donna di 77 anni uccisa brutalmente a Lagos dai soldati del regime. Si chiamava Funmilayo Ransome-Kuti ed era un’insegnante e un’attivista per i diritti delle donne. Tra le prime donne nigeriane con un titolo di studio universitario e la prima a guidare un’automobile. Quando il 18 febbraio 1977 un migliaio di soldati sfonda le recinzioni del compound del clan Ransome-Kuti, un posto strano che si è autoproclamato libera repubblica di Kalakuta, lei è lì, in visita al figlio Fela. La casa viene distrutta, i presenti vengono massacrati di botte, le donne stuprate, Funmilayo viene gettata da una finestra del secondo piano. Muore in seguito alle ferite riportate, dopo essere stata a lungo in coma. Il figlio, Fela Kuti, le dedica una canzone straziante e bellissima. Si chiama Coffin For a Head of State e fa riferimento a quella bara vuota che viene portata come uno stendardo per le strade di Lagos durante le manifestazioni contro il dittatore. [PI]
#4
Non so se quando ti guardi indietro in preda alla rabbia poi fai l’inversione a U. A volte sì, ma quasi sempre te ne penti. Il pezzo marchiato Bowie & Eno comunque fila dritto come pochi, spedito, lo suonavo tutto a sedicesimi sul basso, a finirmi le dita, anche se non ero buono, e il batterista picchiava sul ride come un fabbro. Il testo galleggia in un’incertezza notturna che sembra decidere tutto, l’allocuzione è stentorea: «You know who I am, he said. The speaker was an angel». Irraggiungibile, chiudete i talent show, smontate i palchi, imballate tutto, buona notte.
#5
«Tornare a diciassette anni, dopo averne vissuti cento, è come decifrare segni senza essere un sapiente. Tornare improvvisamente fragile come un secondo, tornare a sentire nel profondo, come un bambino di fronte a Dio. è questo quello che sento, in questo istante fecondo». Così Violeta Parra nella sua Volver a los diecisiete, incisa appena quattro mesi prima di suicidarsi. Violeta Parra e la sua voce, Violeta Parra e le sue parole. Un amore che non concede inversioni di marcia. [FP]
#6
Chissà perché questa parola, tornare, si trova così spesso nei titoli delle canzoni sudamericane. Una nostalgia infinita che forse riguarda la cultura originaria di questi popoli, seppellita secoli fa dal colonialismo cattolico. Anche Corto Maltese torna sempre, durante le sue avventure, in luoghi che ha già visitato anni prima, e puntualmente si ritrova a esser tacciato di sentimentalismo. Glielo dice anche il suo amico Basco a Buenos Aires: «Arrivi dopo quindici anni di assenza e già te la fai con truffaldini, ruffiani e prosseneti. Sei un sentimentale!». Ma a quel punto Corto, dimostrando l’innegabile nostalgia di quelle latitudini, gli risponde: «Sì, sentimentale. Tra mezzani, biscazzieri, donne allegre e gommisti, vino scabio e ginger ale, mi sembra di essere caduto nella retorica del tango. Manca solamente la mamma.» [FP]
#5
Tra il ’71 e l’83 Lucio Dalla realizza otto album di bellezza unica e rara. L’album del 1971, Storie di casa mia, che a tutti gli effetti può essere considerato il vero inizio della sua carriera, si apre con una canzone dedicata al viaggio di ritorno che ha fondato la cultura occidentale. La più lunga virata della storia dell’umanità: dieci anni, tanto ci ha messo Ulisse per arrivare a Itaca. [BB]
#4
In seguito al suicidio della moglie, nel 1985, John Hiatt sprofonda in una depressione fatta di sensi di colpa, alcol e droghe pesanti. grazie all’aiuto di un fraterno amico come Ray Cooder, che lo trascina in studio e lo obbliga a confrontarsi con i suoi demoni, in quattro giorni (sì, ma il calvario è durato due anni, siamo nel 1987) registra uno degli album più importanti di quel decennio: Bring the family. È un’inversione di rotta molto lenta, ma alla fine John riprende la sua strada e ce lo racconta l’anno dopo nella title track di un altro album di rara bellezza: Slow Turning. [BB]
#3
Da quando ha perso i genitori in un incidente stradale, Baby soffre di un acufene fortissimo, che riesce a silenziare sparandosi la musica a volume altissimo nelle orecchie. Baby guida in modo incredibile e non perde mai il controllo dell’auto, nemmeno quando fa incredibili testacoda per cambiare direzione, per questo Doc lo vuole sempre con sé quando organizza una rapina. Baby Driver è il sesto film di quel geniaccio di Edgar Wright, e ha sequenze di testacoda spettacolari e una colonna sonora incredibile. Faccio fatica a scegliere una canzone, ma se proprio devo, questa. [BB]
#2
Il disco più recente di Caparezza si chiama Prisoner 709 ed è un concept album sul tema della prigionia, declinata in molte forme, e della conseguente fuga. Una delle gabbie da cui è scaturito il disco è quella dell’acufene, di cui Caparezza è affetto. La canzone che chiude l’album si chiama Autoipnotica (l’evasione) e comincia così: «La mia macchina è il cursore di una lampo sulla linea tratteggiata/ guardo nel retrovisore, dietro me si sta scucendo l’autostrada,/ dal finestrino taglio il vento con il braccio,/ non posso più tornare indietro come faccio?». Alla fine Capa ci dice che «Ho capito che arrivo alla meta solo se mi perdo/ Scosse dall’interno, sono l’epicentro/ sorrido sul volto, solco, un semicerchio e…». Fade out. Fade in. Inversione a U. [FP]
#1
Dalla colonna sonora di Tous les Matins du Monde quello che forse è il brano più famoso di Jean Baptiste Lully, nato fiorentino, assoldato (se non comprato) a quattordici anni dal figlio del duca di Guisa, un martedì grasso di metà ‘600, mentre suonava il violino per intrattenere i passanti. Se lo portò in Francia, per offrire a sua nipote, Madamoiselle de Montpensier, un compagno per conversare in italiano. Sappiamo come andò poi, divenne una delle persone più vicine a Luigi XIV, collaboratore di Molière e altro ancora, salvo morire di cancrena per una ferita che si procurò ferendosi un piede con la pesante mazza di metallo utilizzata all’epoca per condurre. La bacchetta è meno pericolosa… Il punto qui, però, è che l’inversione a U è impossibile, le cose viaggiano in una sola direzione ineluttabile, come ricorda il libro da cui è tratto il film di Alain Corneau: «tous le matins sons sans retour».