Recensione pubblicata qualcosa come sette anni fa sul blog Ippoghigno nella bruma
Non sapevo che Sironi Editore pubblicasse Graphic Novel. Così almeno dicono loro – quelli della casa editrice –, con la dovuta cautela (ché lo strillo che dichiara appartenenza al genere è proprio piccolo) sulla prima di copertina di Un pensiero abbagliante, biografia a fumetti di Niels Bohr, prima scritta da Jim Ottaviani e poi disegnata da Leland Purvis.
Dài!, non guardarmi così, non sto prendendo per il culo nessuno, è il redattore della Sironi che, sospetto non traducendo pedissequamente dall’originale – visto che non ha rispettato nemmeno il titolo inglese, Suspended in language, ché rispettarlo avrebbe voluto dire capire anche la portata teorica che questo volume ha per la riflessione sui fumetti – scrive nel frontespizio: testi del tale, illustrazioni di quell’altro.
Illustrazioni! Scrive proprio così. Perché chi cura la collana Galápagos dell’editore Sironi ha le idee molto chiare: il fumetto è un testo illustrato. Chiusa la discussione.
Mi dirai: chi cura la collana Galápagos probabilmente ne capisce di scienza, non necessariamente di fumetti, non può essere una colpa prendere per buono un concetto veicolato anche purtroppo da chi i fumetti li fa e li pubblica. Ti risponderò che hai torto; che invece ha una responsabilità che si è dato da solo, con la scelta del sottotitolo della sua collana: “un arcipelago di rappresentazioni della scienza”. Bene, se la Sua preoccupazione è come la scienza viene rappresentata e come si rappresenta, è tenuto a conoscere, e bene, tutti i mezzi di rappresentazione con cui la scienza viene divulgata. Ora: il fumetto è probabilmente il miglior modo per rappresentare la meccanica quantistica, e viceversa. Anche sì, le teorie quantistiche possono aiutarci a capire che cosa è il fumetto; poi se questo importa a pochi e mai darà vita a qualcosa come la bomba atomica, tanto meglio. I due autori di questo libro questa cosa la sanno, e bene; i curatori no. Resta quindi per me un mistero perché Sironi abbia pubblicato quel libro, visto che oltre a quanto già detto anche la pessima stampa dei neri e l’assurda leggerezza della carta che fa vedere in trasparenza la pagina successiva sono un indicatore della considerazione in cui questo editore tiene il fumetto.
Il libro però e fondamentale. Ecco perché.
Riassuntino: nel 1900 Max Karl Ernst Ludwig Planck dimostra che l’energia (cioè la capacità di un corpo di compiere lavoro) e la quantità di moto (cioè la capacità di un corpo di modificare il movimento di altri corpi con cui agisce dinamicamente) delle particelle elementari (cioè degli elementi della materia allo stato microscopico) si presentano solo in quantità multiple di una quantità fissa, una costante che chiamò h.
Secondo l’equazione E=hv, dice Einstein spiegandoci la scoperta di Planck a pag. 30 del libro di Ottaviani e Purvis, l’energia si ha in tocchetti discreti piccolissimi, i quanti appunto, perché h ha un valore incredibilmente piccolo. In mezzo a questi tocchetti non si può guardare. Dunque la costante di Planck stabilisce un limite inferiore alla nostra capacità di osservare.
«Non possiamo, neppure in linea di principio, conoscere il presente in tutti i suoi dettagli. Per questa ragione, ogni cosa che osserviamo è una selezione da una globalità di possibilità e una limitazione su ciò che è possibile in futuro», così Heisenberg nel saggio fondamentale in cui nel 1927 formulava il principio di indeterminazione.
Il quanto di Plank rappresenta “l’azione minima” che possa esistere. Non siamo in grado di guardare in mezzo a un quanto e all’altro. Qual è l’unità d’azione minima del fumetto? La vignetta. Non siamo in grado di vedere cosa succede tra una vignetta e l’altra. La questione non è di cosa non conosciamo, ma di cosa non possiamo conoscere. Il salto quantico che avviene tra una vignetta e l’altra. Cioè: quello che avviene tra quei maledetti spazi bianchi è TUTTO IL POSSIBILE. Ma noi ne possiamo conoscere solo il risultato nella vignetta. Come Bohr poteva vedere solo i risultati dei salti quantici degli elettroni nei rivelatori a scintillazione. Per questo ha torto Eisner quando parla di arte sequenziale. È come dire che il tempo nel fumetto può andare solo avanti o indietro. Via! Buttiamola in mezzo al pattume teorico questa definizione arrugginita.
Se fosse vera fumetti come quelli di Kevin Huizenga (per dirti: soprattutto il primo episodio di Ganges), di Chris Ware (per farti un esempio: “Acme Novelty Library” vol.16), di Richard McGuire (tutto), nei quali il tempo si sovrappone (in fondo il fumetto è semplicemente un oggetto quantistico: pensa per un momento alle teorie dei computer quantistici) fisicamente, confondendosi – anzi diventando – lo spazio, non sarebbero possibili.
Solo il fumetto, la più indeterminata delle forme di rappresentazione, poteva riuscire a rappresentare una teoria, la meccanica quantistica, che rifiuta rappresentazioni concrete. La meccanica quantistica, dal suo canto invece, può fornirci utili strumenti per capire come funziona il fumetto.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.