Nel 1964 Claude Perdriel, imprenditore completamente dedito al proprio lavoro, poteva dirsi un uomo ricco e professionalmente realizzato. Ingegnere geniale, una decina di anni prima aveva progettato un sistema per il trattamento delle acque reflue che era stato un vero successo commerciale, che aveva gestito fondando, nel 1958, una società per la produzione in serie del suo brevetto. Poteva proprio considerarsi un tipo soddisfatto. Invece c’era una cosa che lo tormentava, un desiderio che lo perseguitava fin da ragazzo: fondare un giornale.
Nel 1960 aveva cercato di convincere il suo amico Jean Daniel, giornalista a “L’Express”, a creare una nuova rivista. Allora Daniel aveva rifiutato, ma quattro anni dopo sarà lui – dato che i suoi rapporti con la direzione de “L’Express” si erano incrinati – a bussare alla porta di Perdriel per proporgli di rilevare e rilanciare “France Observateur”, uno storico settimanale di opposizione ai vari governi gollisti, in serie difficoltà economiche.
Servono 1.200.000 franchi. Perdriel come liquidità immediata riesce a metterne insieme solo la metà. Allora vende tutto quello che ha, compresa la sua ditta e la sua casa, e con il ricavato diventa uno dei principali azionisti della società che possiede “France Observateur”, che – d’accordo con Daniel – ribattezza “Le Nouvel Observateur”.
Alle volte andare in all-in dà i suoi frutti. Giocatosi tutto, Claude Perdriel vincerà quella mano e grazie al successo del “Nouvel Observateur” costruirà un gruppo editoriale tra i più grandi di Francia, di cui nel 1984 diventerà azionista di maggioranza e del quale, a 95 anni suonati è ancora, in qualche modo, a capo. Jean Daniel invece è morto l’anno scorso – a 99 anni – e fino a poco più di dieci anni fa dell’Obs è stato il direttore responsabile. È stato lui, da subito, ad avere un’idea geniale: pubblicare dei fumetti su un periodico generalista. È vero, i quotidiani francesi e belgi pubblicavano da sempre fumetti, ma in supplementi a se stanti dedicati all’infanzia, come a tenere separati i due mondi: la serietà dell’informazione adulta da una parte e le letture per i bambini e per gli sciocchi con la stessa età mentale dall’altra. L’idea di Daniel è scandalosa: proporre i fumetti ai lettori adulti, colti, seriosi e politicamente schierati del suo settimanale. Serge Lafaurie, che è stato scelto come capo redattore, gli presenta Copi che per quasi dieci anni pubblicherà sul settimanale la sua donna seduta. Poi però Copi smette, e bisogna sostituirlo. C’è un mensile ecologista, “Le Sauvage”, uscito per la prima volta nel gennaio del ’73, che dal suo primo numero, propone ai propri lettori, insieme a serissimi reportage e inchieste ambientali, un fumetto umoristico: le vicende di George, un botolo bastardo, sempre infoiato che, con la sua compagna Guiguitte e i loro 152 cuccioli, cercano di essere ammessi in una riserva animale dedicata a esemplari in via d’estinzione. Tutte le volte, dopo una serie di vicende esilaranti, il loro tentativo è frustrato. Lo firmava una certa Claire Bretécher. Ed è a lei che Daniel chiede una serie, da una tavola settimanale, che faccia divertire i suoi lettori e con cui sostituire Copi. Una responsabilità mica da poco. Claire comunque accetta.
Circa un anno prima che Perdriel rilevasse la testata che diventerà l’Obs, ed esattamente nel settembre del 1963, Goscinny e Charlier sono diventati, per volontà di Dargaud, i caporedattori di “Pilote”. Possiamo dire che, nel mondo del fumetto francese sono attualmente due delle persone più importanti e potenti e che se decidono di pubblicarti, probabilmente la tua vita ha svoltato. In questo stesso anno Goscinny sta creando, per la rivista “Record”, il suo Iznogud. Per questo ha spesso per le mani quella rivista, sulla quale nota le illustrazioni di questa autrice ventitreenne. Quando André Isaac, in arte Pierre Dac, gli chiede di collaborare con una serie a fumetti alla rinascita della sua gloriosa rivista rabelaisiana “l’Os a moelle”, Goscinny gli dice: «Guarda, André ce l’ho già in testa la serie, si tratta delle avventure umoristiche di un simpatico postino… lo chiameremo Factéur Rhésus… [ridono, perché è un gioco di parole, in francese facteur significa sia postino sia fattore, mentre rhesus è il nome scientifico dei macachi ma è anche, proprio perché scoperto nel sangue dei macachi, il nome del fattore Rh. Il postino macaco/il fattore Rh… ah ah ah]… lo farei illustrare a questa ragazza, guarda questi suoi disegni umoristici [gli passa un numero di “Le Herisson” e uno di “Record”] secondo me funziona…»
«Hai carta bianca René.»
Erano tempi quelli, che sarebbero piaciuti a quelle prefiche e cassandre che stanno sempre a lamentarsi di quale danno abbiano fatto i social alla nostra compagine sociale e quale tremendo futuro ci aspetta: non c’erano i social e non c’erano i cellulari. Se volevi parlare o conoscere qualcuno, dovevi fare dei giri lunghi. Un po’ di telefonate nelle varie redazioni dove sicuramente passava a lasciare la sua liquette: «se passa quella ragazza che avete pubblicato sull’ultimo numero… si chiama Bretécher, mi sembra… potete dirle di chiamare in redazione a “Pilote” che Goscinny vorrebbe parlarle?»
Ci voleva un po’, ma prima o poi il messaggio veniva recapitato.
Ora. Immaginati di avere ventitré anni, di essere donna, biondissima e molto bella, in un mondo, quello del fumetto francese… di tutto il fumetto, esclusivamente maschile e conseguentemente maschilista, di non farti una doccia da settimane perché vivi in una casa occupata senza l’acqua, di non possedere un pettine, di essere vestita come una profuga e di tenere i disegni in una cartelletta che sta insieme con il nastro adesivo. Immaginatelo e poi immaginati di dovere andare a un appuntamento con uno degli uomini più eleganti, famosi e – diciamolo – potenti di quel mondo, in cui stai cercando di affermarti. Un po’ di strizza ce l’hai vero?
Bene, sai che faccio? Te lo lascio raccontare direttamente da Claire quell’incontro.
«Si capiva che mi trovava sporca, e a lui non piacevano le persone sporche. È vero, puzzavo, ma che ci potevo fare? A quel tempo vivevo ancora in quel palazzo occupato, senza acqua,,, ero una specie di squatter. Lui invece profumava di pulito ed era elegantissimo, vestito in tre pezzi, si capiva che era infastidito dalla mia trasandatezza. Comunque è stato di una cortesia unica, mi ha messo su un piano di assoluta parità. Ovviamente mi sentivo indegna di quella considerazione paritaria e in qualche modo paterna, ma ammetto che mi ha fatto piacere.
Mi ha chiesto se mi andava di illustrare delle storielle che gli avevano chiesto per “L’Os a moelle”, a parte che quella richiesta mi ha lusingato… sai, per me Goscinny era una star, leggevo i suoi fumetti da sempre… poi comunque non ero nella posizione di poter rifiutare, mi servivano soldi.
Così abbiamo fatto Le Facteur Rhésus. E lui purtroppo ha scoperto che non ero capace di disegnare sulle sceneggiature degli altri, poi mi chiedeva di disegnare robe impossibili… tipo la ristrutturazione di un appartamento… come cazzo si disegna una ristrutturazione? ancora adesso io non so mica come si fa. Goscinny non era per nulla contento del risultato. Con la sua estrema gentilezza me l’ha detto e la nostra collaborazione è finita, dopo pochi mesi.»
Sai cosa? Tutto sommato quell’errore di valutazione di Goscinny fu una fortuna, per Claire e per noi. Perché in realtà non è che la loro collaborazione cessò, semplicemente cambiò di natura.
In fondo René ci aveva giusto e Claire era una piena di talento. Passeranno più o meno cinque anni, trascorsi ad affinare su “Spirou” (con almeno tre serie, una delle quali, Les Gnangnan in cui dei bebè discorrono e hanno pulsioni come gli adulti, considero un gioiello assoluto) e su “Tintin” le proprie capacità narrative, e poi Claire torna, come autrice unica, su “Pilote”. Cellulite e dopo Salad de saison. Ecco. Questa serie è un punto di svolta. Siamo nel 1970, tra due anni Claire fonderà con Gotlib e Mandryka una rivista rivoluzionaria e seminale “L’Ècho des savanes” – di questo ti racconterò però, al momento opportuno, di là, nella rubrica Ce ne sarà per tutti – ma è in questo momento, in cui comincia a raccontare, ogni settimana (sì, “Pilote” in questo periodo vendeva così tanto da essere diventato settimanale) in un’unica tavola le contraddizioni della classe media progressista, socialista, di sinistra, parigina, che affina il suo talento di acuta osservatrice del reale. Cioè, io ancora non lo so, perché ho solo due anni e sto a Milano, ma Claire sta cominciando a raccontare proprio di me. Di quello che sarò tra vent’anni e per i trenta successivi.
Quando Daniel la chiama all’Obs, Claire praticamente ci trasferisce questa serie, che esordisce il 24 settembre del 1973. La tavola pubblicata il 15 ottobre, ha come titolo La page des frustès. Avrà un successo tale che dal 29 ottobre la serie assumerà come titolo Les Frustès. Il lettore medio dell’Obs si diverte un sacco a vedere stigmatizzati da Claire i propri comportamenti e le proprie ossessioni (non proprio sempre conseguenti al proprio essere di sinistra), e il suo fumetto diventa un vero e proprio fenomeno.
Ora ti racconto una cosa che lascerà senza parole un sacco di (cosiddetti) professionisti. Siamo nel 1975, Claire ha 35 anni, può considerarsi un’autrice affermata: pubblica sulle più importanti testate a fumetti e sul più diffuso settimanale generalista di Francia. Gli editori se la contendono. Eppure, la prima raccolta delle tavole dei Frustrés se la autoproduce. E poi lo fa anche per le altre quattro, fino al 1980. Come fai a non innamorarti di un’autrice che fa all’incontrario il percorso standardizzato di tanta gente che è diventata professionista partendo dall’autoproduzione?
Per il secondo volume Daniel le scrive una bellissima prefazione, nella quale si inventa una cosa, riportata come vera da tutti gli esperti farlocchi di fumetto, ma che non ha nessun riscontro se non nelle sue parole. Che Roland Barthes avrebbe definito Claire «la più importante sociologa di Francia». È vero che Barthes non ha mai smentito Daniel, ma aveva altro a cui pensare, il quel periodo (la malattia e poi al morte della mamma adorata). Una volta però, a uno di quei mediocri esperti di fumetto che scrivono proprio sui periodici generalisti, che le diceva «Roland Barthes ha detto che lei è il miglior sociologo di Francia», Claire rispondeva: «Sì, ma mica è vero, è una cazzata. L’ha inventata Jean. Io parlo sempre più o meno di me stessa, e i miei personaggi si prendono gioco continuamente di quello che succede a me. Mi capita di avere, a proposito di alcuni fatti, delle reazioni che ritengo assolutamente personali, e le metto sulla pagina.»
Anche se era solo una trovata di Daniel, la verità è che parlando di sé, Claire parlava di me. Non c’entra con la sociologia, per fortuna, ma con la profonda capacità di comprendere, narrare e criticare mostrandone i paradossi e le contraddizioni, gli esseri umani e i sistemi sociali che si costruiscono.
Più o meno dal 2009 questa donna fantastica (se non hai mai letto nulla di suo, non vantartene, vergognati e ponici rimedio) si è ammalata di Alzheimer. È morta lo scorso febbraio, pochi mesi prima di compiere gli ottant’anni. Ma è da un decennio che ci manca quella sua lucida intelligenza che ha cambiato, almeno per me, il significato più intimo di biondezza.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.