Eccoci qua, davanti al civico numero 2 di via Monte Napoleone. Davanti a questo palazzo tardo-neoclassico, che adesso ospita un lussuoso negozio di Luis Vuitton, ma che allora era una villa privata chiamata Palazzo Taverna dove aveva vissuto Carlo Porta, nella tarda mattinata – diciamo verso l’ora di pranzo – del 18 marzo 1848, un trafelato Cesare Correnti incrocia Carlo Cattaneo.
Correnti si sta recando verso il luogo degli scontri, in San Babila, dove un corteo di giovani milanesi è stato preso a fucilate dagli austriaci e ora le cose stanno degenerando. Cattaneo sta tornando a passi spediti verso casa: abita al 23 di Monte Napoleone. Non capendo perché il suo amico se ne sta andando in direzione contraria agli avvenimenti, Cesare glielo chiede in volata: «Carlo, dove vai?» «Dove vuoi che vada? A casa, a pranzare. Quando i ragazzi hanno il sopravvento con la loro irresponsabilità, gli adulti se ne vanno a casa.»
Così più o meno la racconta Luciano Bianciardi (un altro anarchico passato da Milano) nel suo Daghela avanti un passo. Ma di quanto si sbagliava il Cattaneo! Come commenta giustamente Bianciardi: «tutte le rivoluzioni del mondo non prenderebbero mai l’avvio se i primi a muoversi non fossero i ragazzi. Sta agli uomini andargli dietro, poi.»
E infatti il 20 marzo ritroveremo Cattaneo quale membro del Consiglio di guerra che prese sede in un altro palazzo Taverna, in via Bigli al 9.
Ma non è per le 5 giornate di Milano che siamo venuti qui. Ma perché in questa manciata di giorni, per Milano (te l’ho detto che è un crocevia, no?) passa lo spirito che sta spazzando l’Europa intera. A febbraio è insorta Parigi, ha cacciato il re e dato vita alla seconda repubblica (poi a giugno la capitale francese sarà scossa da un’insurrezione operaia); a marzo insorgono Vienna e Berlino (a maggio dell’anno dopo sarà la volta di Dresda) e non si tratta di insurrezioni indipendentiste, ma di rivoluzioni sociali. Certo: ancora confuse e pregne di tensioni nazionalista, ma già gravide di idee di riscatto.
Le motivazioni profonde dei giovani milanesi che costruivano le barricate per le vie della città, non erano certo quelle di servire la città su un piatto d’argento ai piemontesi, ma erano le stesse di tutti i giovani che infiammavano le vie delle capitali d’Europa. Idee di eguaglianza, solidarietà, giustizia sociale soffiavano ovunque. Diffuse dalle pagine dei libri, (non è un caso che Marx ed Engels scrivano il loro Manifesto proprio tra il ‘47 e il ‘48), delle riviste, ma soprattutto dalle parole di uomini che avevano messo in gioco tutto, continuamente. Alcuni di loro erano anarchici. Come Michail Bakunin.
Mentre corre su è giù per l’Europa in fiamme, deciso a portare il suo aiuto ovunque ci sia una rivolta o addirittura per farla nascere, Bakunin non è certo un ragazzino. È di tredici anni più giovane di Cattaneo, ma la sua vita fin qui ha avuto un’intensità dieci volte superiore ai 47 anni dell’intellettuale milanese, trascorsi tra via Monte Napoleone e il lago di Lugano.
Intanto che ti dico qualcosa di questa vita incredibile e usurante (sta bruciando in fretta Bakunin, e morirà presto, a soli 62 anni, ma conta che ognuno dei suoi giorni è valso almeno per due), incamminiamoci verso la prossima tappa della nostra camminata. Dobbiamo scendere per Monte Napoleone, verso via Pietro Verri.
Come ti dicevo, quando lo incontriamo sulle barricate di Dresda, con il suo amico Richard Wagner, nel maggio 1849, Bakunin ha trentacinque anni. Non ha ancora maturato un vero e proprio pensiero anarchico. Figlio della nobiltà terriera russa, nei suoi lunghi soggiorni a Berlino e Parigi, ha incontrato e apprezzato pensatori come Marx e Prouhdon, ma il suo agire rivoluzionario è ancora intriso di nazionalismo panslavista. Dopo il fallimento dell’insurrezione di Dresda, verrà arrestato e consegnato alle autorità russe, che lo incarcerano per sei lunghi anni. In seguito alla pressione della sua famiglia presso lo Zar, viene scarcerato e mandato al confino, in Siberia a Irkutsk, uno dei luoghi più freddi della terra.
Guarda, siamo arrivati all’altezza con via Verri. Giriamo a destra e andiamo dritti fino in Via San Pietro all’Orto.
Da quel gelido buco di culo siberiano, Bakunin riesce a scappare. Una fuga rocambolesca che dura quasi per tutto il 1862, e che lo porta in Giappone, poi a San Francisco, da lì a Panama, New York, Londra e infine Parigi. Nel 1864 affronterà il primo viaggio in Italia, per incontrare Garibaldi. Torino, Genova, Caprera, Livorno, Firenze. L’anno dopo è a Napoli, dove resterà per due anni. È qui, durante questo insolitamente lungo soggiorno napoletano che giungerà a una teorizzazione piena e consapevole dell’anarchismo. Se per caso hai voglia si saperne di più, della vita di questo gigante rivoluzionario, ti consiglio la lettura di Bakunin. Il demone della rivolta, del mio carissimo amico Alessio Lega, edito da Eleuthera. Perché adesso siamo arrivati.
Lo vedi quel palazzo ad angolo proprio all’incrocio tra via Verri e via San Pietro all’Orto? Bene, lì nella seconda metà dell’Ottocento c’era la sede di un periodico politico che si chiamava “Il Gazzettino rosa”. Considerato dai conservatori «organo fazioso ed empio», era la voce del repubblicanesimo di ispirazione mazziniana e garibaldina. Diretto da Felice Cavallotti, era scritto e letto da quella generazione che al tempo delle Cinque Giornate era composta da bambini, ma che raggiunti i vent’anni, aveva preso parte alla terza guerra d’indipendenza. Qui, nella primavera del ’70, nella redazione di questo giornale, ci troviamo proprio Bakunin, venuto apposta ad incontrare Cavallotti, ma soprattutto Vincenzo Pezza, attivissimo collaboratore del giornale.
Te ne ho già accennato nello scorso capitolo. Nel 1864, esattamente il 28 settembre, a Londra viene fondata l’Associazione Internazionale dei lavoratori. Al congresso di Ginevra del settembre del 1867, partecipa una nutrita delegazione italiana. I mazziniani sono la maggioranza. C’è però un piccolo drappello di napoletani, che si è nutrito delle idee di Bakunin, e che si attesta sulle posizioni di un socialismo inteso in senso libertario, materialista e antireligioso. Comincia qui quello che diventerà il profondo dissenso delle correnti socialiste con il mazzinianesimo.
Per questo, nella primavera del ’70 Bakunin arriva a Milano, ma solo di passaggio, perché è una città che odia: motivi propagandistici. Mazzini in Italia ha ancora un fortissimo seguito, il prossimo congresso dell’Internazionale è alle porte, ed è necessario rinforzare le posizioni dei bakuniani e dei marxisti, per riuscire ad espellere i mazziniani. Cosa che puntualmente accadrà. Nel 1872, a seguito dello scontro tra le sue posizioni federaliste e quelle centraliste di Marx, toccherà a Bakunin esserne espulso, durante il congresso dell’Aia. Ma questa al momento non è storia che ci riguardi.
Torniamo a noi.
Il viaggio di Bakunin a Milano lascia i suoi semi, soprattutto in Vincenzo Pezza, che proprio grazie a quel loro breve incontro milanese nella redazione del Gazzettino, resta affascinato dalla figura del rivoluzionario russo, e maturerà posizioni libertarie allontanandosi dal mazzinianesimo. Ancora di più dopo i fatti della Comune di Parigi, di cui terrà una vivace cronaca proprio sulle colonne del “Gazzettino”.
Dopo il fallimento della Comune, Pezza, mantenendone la redazione in via San Pietro all’Orto 3, fonda “Il Martello”, che sarà l’organo ufficiale in Italia della Prima Internazionale. Nella battaglia ideologica che a questo punto divide marxisti e bakuniani, prende le parti di questi ultimi.
In un bel pomeriggio dei primi giorni di maggio di quello stesso anno, nel pieno dell’attività politica per la preparazione del congresso che si terrà all’Aia a settembre, e che si annuncia decisivo per il futuro dell’Internazionale, mentre esce dalla redazione del giornale con l’amico Carlo Cafiero (di passaggio a Milano dopo aver incontrato Bakunin a Zurigo, dove sta scrivendo il testo fondativo del pensiero libertario Stato e Anarchia), vengono entrambi arrestati e condannati a 5 mesi di reclusione per attività sovversiva.
Pezza soffre di tisi, ad agosto la malattia si aggrava e verrà scarcerato. Morirà a Napoli, pochi mesi dopo, a soli 32 anni.
Cafiero, originario di Barletta, dove era nato il 1° settembre 1846, ed erede di un ingente patrimonio agrario che “dilapiderà” per sostenere la causa dei lavoratori e degli oppressi, è un altro di quegli anarchici sempre di passaggio da Milano. Più volte attraverserà questo crocevia di libertà. Ma di lui ti dico meglio tra un po’, appena arriviamo al 4 di via Beccaria.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.