Il fumetto ai tempi dell’amore

Paolo Interdonato | Una pietra sopra |

Questo articolo è stato pubblicato nel 2009 in forma di percorso di lettura su “Portaletture”, sito dedicato alla promozione editoriale della Fondazione Mondadori. Nei dodici anni trascorsi da quando è stato scritto, alcuni dei titoli sono spariti e altri sono usciti in nuove edizioni. In quello stesso intervallo di tempo, tu sei diventato bravissimo a usare i motori di ricerca e i siti di commercio elettronico. Quindi mi scuserai se non ho aggiornati i riferimenti bibliografici, confidando nella tua capacità di trovare informazioni in rete.

Descrivere le vastità dei racconti a fumetti che ruotano intorno all’amore non è semplicemente ambizioso. È impossibile. Il solo territorio altrettanto esteso è, ovviamente, quello della morte.
Non si può dimenticare, infatti,  che lo sviluppo del fumetto industriale è avvenuto, tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, sulla stampa periodica per attrarre, grazie al seducente potere delle immagini spesso colorate, masse sempre più vaste di lettori. La vocazione decisamente popolare di questa forma del racconto che mescola parole e immagini ha fatto sì che, negli anni delle origini e della formazione, le narrazioni ruotassero attorno a classi tipiche di protagonisti: i bambini, gli animali e – dal consolidarsi del fumetto avventuroso – gli eroi eternamente trentenni. Ed è stato proprio il “magnifico eroe”, con la sua prestanza fisica e il suo indomito coraggio, a divenire il ricettacolo principale  delle tensioni erotiche e delle avventure rischiosamente letali. Anche perché raccontare, in fumetti destinati al pubblico più vasto, animali e bambini carichi di pulsioni verso amore e morte sarebbe apparso, agli occhi dei lettori, osceno e, conseguentemente, censurabile.
Ed è interessante come, proprio mantenendo un saldo equilibrio tra candore e pudore, il fumetto popolare e di consumo (uso questa semplificazione, per distinguerlo dai prodotti di ricerca o più esplicitamente rivolti a un pubblico “adulto”) sia riuscito, nel tempo, a esprimere storie d’amore capaci di pungolare lettori diversissimi per età, estrazione sociale e formazione.
Dagli anni Sessanta, la presenza di avanguardie, ospitate da pubblicazioni meno visibili per le quali la sopravvivenza non dipendeva unicamente dal numero di copie vendute, ha consentito l’emergere di sesso e violenza su canali meno controllabili. I semi gettati da queste pubblicazioni, emerse con forme diverse (sotterranee, autoprodotte, distribuite usando canali alternativi a quelli della normale editoria), hanno poi investito anche le pubblicazioni mainstream, causando un’evoluzione delle forme e dei contenuti.
Se, appunto, non è possibile neanche ambire alla mappatura del vastissimo territorio del fumetto d’amore, si può forse tentare di tracciare un itinerario: una proposta semplice, da viaggio organizzato, capace di connettere il fumetto industriale degli esordi ad alcune proposte più recenti e più elitarie (spesso solo nel formato di pubblicazione). Evidentemente, il tour operator ha esigenze di massimizzazione degli investimenti e di contenimento dei costi, e forse i suoi obiettivi non sono sempre trasparenti: potrebbe aver preso precedenti accordi con venditori e negozianti. Ed è anche vero che con un po’ di fatica si potrebbe pianificare una sequenza di tappe più divertente (e molto più vicina alle esigenze individuali). Ma quanto è piacevole lasciarsi andare, assecondando le scelte altrui, senza perdere il gusto della critica distruttiva.

Krazy Kat di Herriman

Il gatto Krazy, il cane Offisa Pup e il topo Ignatz sono i protagonisti del primo triangolo amoroso del fumetto. La storia, ridotta ai minimi termini, è molto semplice: il cane ama il gatto che ama il topo; il cane odia (ricambiato) il topo, che, forse, non ama il gatto, ma lo colpisce, ogni volta che riesce, con il suo mattone (la cui durezza è forse una metafora). Ma non basta il rapporto anomalo tra attrattori strani a raccontare questa striscia. Perché il lavoro di George Herriman, serializzato per trent’anni sui quotidiani statunitensi senza cadute di tono, esprime benissimo la natura del fumetto: un rapporto fortissimo e complice, quasi vero amore, tra parole e immagini. Un equilibrio fragile che tradisce la propria stabilità ogni volta che si tenta una traduzione: passando dalla lingua originaria a un’altra, le parole iniziano a cascare male sui disegni e tutto quello che era perfezione formale suona più rigido. Già, perché la giustapposizione complice di segni iconici e verbali funziona in Krazy Kat anche grazie alle storpiature linguistiche e ortografiche e al lettering (la scrittura nei balloon) acuminato e sghembo che fioriscono dalla bocca dei personaggi. E questa trasposizione sgrammaticata del parlato è una delle ragioni dell’amore che i lettori muovevano verso la striscia. Un linguaggio fatto apposta per suonare come la trascrizione fonetica di quella lingua aliena con cui si era venuti a contatto non appena sbarcati, pieni di speranza, a Ellis Island, tra ispanici, irlandesi, tedeschi, cinesi e italiani. E, da quel porto d’approdo, si giungeva in un mondo nuovo e sconosciuto e lo spaesamento era continuo. Proprio come avveniva (e avviene ancora oggi) guardando gli sfondi delle vignette di Krazy Kat, dove i vasti paesaggi di Coconino County vengono raccontati senza nessun vincolo di consistenza. Ogni inquadratura, ogni sguardo, è una sorpresa. La stessa sorpresa che colpiva l’immigrato disambientato. Rocce, deserti e cactus interrompono il loro flusso, fluido e inconsistente, solo per lasciare spazio al cubo di cemento della prigione, dove il cane rinchiude – immancabilmente – il gatto col suo duro mattone. La gatta innamorata, sotto, sospira.

La casa editrice statunitense Fantagraphics ha terminato la pubblicazione di un’ottima edizione completa della striscia, dal titolo Krazy and Ignatz. Ogni volume raccoglie 2 anni completi del fumetto. Free Books sta curandone una non eccelsa edizione italiana (al momento sono usciti i primi 5 voll.). Un libro molto bello su Krazy Kat è McDonnell, Patrick, O’Connell, Karen, de Havenon, Georgia Riley, Krazy Kat: The Comic Art of George Herriman, Harry N. Abrams, New York, 2004.

Zio Paperone e la stella del Polo di Carl Barks

Anche Zio Paperone è un emigrante: viene dall’Irlanda come denuncia chiaramente il suo cognome in originale (De Paperoni è la traduzione McDuck). Ed è anche un animale antropomorfo, proprio come Krazy, Ignatz e Offisa Pup. Un papero che rappresenta un terribile difetto umano – un peccato capitale, addirittura: l’avarizia – e che accumula instancabilmente denaro, dal 1947. Il più anziano dei paperi disneyani  è  stato infatti inventato, in quell’anno, da Carl Barks per Natale sul Monte Orso, una storia in cui mescolare influenze diverse. Un personaggio usa e getta di quelli che gli autori di prodotti seriali abbozzano rapidamente, accumulando e sperperando idee. Un vecchio papero ispirato tanto a Ebenezer Scrooge, protagonista del Canto di Natale di Dickens, quanto al cittadino Kane di Quarto potere (e, indirettamente, al miliardario Howard Hugues, arroccato nella sua inviolabile fortezza della solitudine, tra cumuli di kleenex usati). Un animo duro e poroso come pomice che, dopo la prima apparizione,  si rifiuta di abbandonare i nipoti ritrovati e diventa il beniamino del suo pubblico e del suo autore.
È subito evidente che l’aridità del miliardario non conceda spazio agli affetti. A stento riescono a stargli vicini i nipoti e compagni di avventura, figurarsi quanto spazio e tempo il vecchio papero possa dedicare all’amore.
Stupisce, allora, Zio Paperone e la stella del Polo, episodio datato marzo 1953. Una storia in cui il ricco papero, il “self made duck”, mostra una fallibilità inspiegabilmente umana. La memoria cede, vittima di un morbo di Alzheimer disneyzzato in “svitatorum rotellorum”. Una cura magica e infallibile permette al miliardario di recuperare ricordi persi nei recessi del tempo. E durante questa riconquista del passato, col pensiero, zio Paperone torna a quando, cinquant’anni prima, cercava oro nel Klondike e ricorda che Doretta Doremi ha un debito con lui.
Ed è la voglia di riscuotere denaro a spingere il miliardario sulle tracce di questa figura femminile cancellata dalla memoria. Ma le vite dei paperi non sono mai semplici e Paperone e Doretta hanno sulle piume le ferite del tempo e di un amore che non ha mai trovato soddisfazione. Una storia meravigliosa, tra le più grandi di Carl Barks, il più grande autore disneyano, che è stata mutilata per molti anni. I direttori della Western, casa editrice che aveva la concessione dei personaggi Disney per gli albi a fumetti, decisero di non accollarsi rischi e censurarono la sequenza che chiariva le motivazioni dei personaggi. Sono occorsi oltre trent’anni perché quelle pagine fossero ripristinate. Oggi sappiamo che Doretta era una poco di buono, una ballerina da saloon, probabilmente una prostituta, capace di derubare il cercatore d’oro Paperone dei frutti del suo lavoro. Sappiamo anche che le reazioni del futuro miliardario potevano essere assai violente. Abbiamo scoperto che Paperone, per farsi ripagare dei danni prodottigli dal furto, aveva rapito Doretta e l’aveva costretta, per un mese, a lavori forzati presso il proprio accampamento. Una convivenza coatta che ha lasciato tracce.
Sono cose che, nonostante l’attacco di “svitatorum rotellorum”, si possono depositare sul fondo di un cuore d’oro.

Questo fumetto, nella versione in cui sono state ripristinate le pagine censurate, compare in Carl Barks, La grande dinastia dei paperi: Zio Paperone e la stella del Polo, Corriere della Sera, Milano, 2008. Alcuni retroscena del rapporto tra Paperone e Doretta Doremi vengono svelati da Don Rosa nel fumetto Zio Paperone e l’ultima slitta per Dawson, pubblicato in Don Rosa, Paper Dinastia, Disney, Milano, 2000.

Corto Maltese: Concerto in o’ minore per arpa e nitroglicerina di Hugo Pratt

Il carattere antieroico di Corto Maltese è pienamente evidente nella sua prima apparizione sulle pagine di Una ballata del mare salato: completamente indifeso eppure beffardo e impavido, legato a una croce di legno alla deriva, sulle acque dell’Oceano.
Corto è proprio così un personaggio distaccato, cinico e seducente, capace di incredibili atti di coraggio e di eroismo, ma anche di codardia se il caso lo richiede. Circondato da donne meravigliose innamorate di lui e il cui amore – con ogni evidenza – ricambia. Col suo sguardo disincantato e con il suo rifiuto, almeno apparente, di aderire a qualsiasi parte (politica, militare, sentimentale) e di schierarsi dà la stura a una nuova forma di eroismo. Prima, l’immutabile protagonista, trentenne o poco più, che non assisterà mai al decadimento fisico delle proprie carni di carta, controllava il mondo e la società, proteggendola in virtù della propria superiorità. Con Corto Maltese si assiste a una clamorosa trasformazione e l’eroe, pur restando intangibile agli insulti del tempo, si lascia avvolgere da un anarchismo individualista: l’oltre uomo, vagamente nietzschiano, diventa un Unico consapevolmente stirneriano.
Hugo Pratt, l’autore di Corto Maltese, è un uomo vorace, goloso di tutto. Muove un amore incontenibile verso il mondo (che, nella sua vita, finita nel 1995, ha attraversato in lungo e in largo), i romanzi (di cui è stato lettore incontinente e rinarratore sfrontato), il fumetto (che chiamava, in modo quasi insultante, “letteratura disegnata”), le donne, …  Corto Maltese è un canto d’amore, in cui tutte le passioni dell’autore sono evidenti. Una ballata del mare salato e le altre storie lunghe del marinaio sono sempre citate tra le opere che hanno reso fertile il terreno su cui si è sviluppato il mercato della classe merceologica graphic novel, narrazioni di ampio respiro che, pur non negando la propria natura di fumetti, possono essere vendute in forma di libro.
Ma non solo di storie lunghe si compone la saga di Corto Maltese. A partire dal 1970 Pratt realizza uno straordinario ciclo di racconti brevi. Là in mezzo c’è Concerto in o’ minore per arpa e nitroglicerina, un fumetto liberamente ispirato al Tema del traditore e dell’eroe di Jorge Luis Borges, breve nota in forma di racconto raccolta nelle Finzioni.
La bellissima Banshee è una rivoluzionaria irlandese che si innamora di uomini da odiare. Infatti i suoi amori, infelici e strazianti, sono commisti a una carica d’odio che non trova pacificazione. Lo stessa miscela di sentimenti estremi che irrora le terre irlandesi che, quando Corto le attraversa nel 1917, sono prese nella morsa dello scontro per la liberazione repubblicana.
Corto, dopo aver contribuito a dipanare una misteriosa rete di appartenenze e tradimenti, per una volta, cederebbe all’amore: chiede a Banshee di seguirlo. Ma la donna esprime pienamente il dedalo di pulsioni, passioni e desideri che sembra caratterizzare tutta la vita di Pratt, addirittura meglio di quanto faccia il marinaio con l’orecchino. Sa di avere una maledizione addosso e sa di non poter abbandonare la sua terra, perché «l’Irlanda ha ancora bisogno di tutti i suoi».

Il fumetto Concerto in ò minore è contenuto in Hugo Pratt, Corto Maltese: le celtiche, Lizard, 2003. Il gruppo editoriale l’Espresso ha recentemente distribuito, in allegato al settimanale,  un’edizione in 10 voll., dal costo decisamente contenuto, che è un’ottima opportunità per leggere tutto Corto Maltese. Una biografia di Pratt laterale (e particolarmente attenta alle passioni, agli amori e ai difetti dell’autore) è quella recentemente scritta dalla figlia: Silvina Pratt, Con Hugo – il creatore di Corto Maltese raccontato dalla figlia, Marsilio, Venezia, 2008.

Ken Parker: Adah di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo

Nel 1977, lo sceneggiatore Giancarlo Berardi e il disegnatore Ivo Milazzo realizzano Lungo fucile, il primo episodio di Ken Parker. Chi legge quelle pagine percepisce immediatamente quanto la serie sia diversa da tutte le altre pubblicate dalle case editrici che afferiscono alla famiglia Bonelli (che in quel momento ha scelto di differenziare i marchi e di agire sotto più etichette).
Certo, dopo la nascita del Tex di Gianluigi Bonelli (1948), c’erano state un paio di piccole rivoluzioni volute dal figlio Sergio: l’avventura intrisa di fantastico di Zagor (1961) e la rottura dei dogmi dell’eroismo – principalmente alcol e sesso – di Mister No (1975). Ma Ken Parker è proprio un’altra cosa.
I due autori sono cresciuti e si sono formati, in una città come Genova, particolarmente sensibile agli equilibri sociali più delicati, respirando lo spirito dei tempi. Il loro personaggio, Ken Parker, pur essendo ambientato nella seconda metà del XIX secolo, vive da contemporaneo dei suoi lettori ed è capace di offrire le stesse chiavi di rilettura della storia dalla parte degli oppressi che trasudano da film western coevi, quali Un uomo chiamato cavallo di Elliott Silverstein (1970), Soldato blu di Ralph Nelson (1970), Il piccolo grande uomo di Arthur Penn (1970) e Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Sydney Pollack (1972).
Nel febbraio del 1982 esce Adah, quarantaduesimo episodio di Ken Parker. Berardi e Milazzo, che stanno mantenendo la serie a un livello qualitativo straordinario nonostante le scadenze rese pressanti dalla periodicità mensile, hanno ormai reso evidente ai lettori la diversità del loro personaggio: Ken invecchia, cambia e matura. Solo per fare un esempio, tra il primo e il secondo numero si è addirittura tagliato la barba, rendendosi irriconoscibile in un mondo di narrazioni semplificate e consolatorie in cui è impensabile che il protagonista si cambi la camicia.
In Adah, Ken – il personaggio il cui nome campeggia a chiare lettere in testata – quasi non c’è: appare nelle ultime venti pagine di un albo che ne conta un centinaio. Si racconta una vita di schiavitù e liberazione, politica reale e violenza, amori traditi e prostituzione. Dovendo dichiarare le fonti, Berardi cita, tra gli altri, Storia popolare degli Stati Uniti di Leo Huberman e Storie di soldati di Ambrose Bierce, Pelle nera di Donatella Ziliotto e Memorie di una maitresse americana di Nell Kimball.
Adah è una storia complessa in cui si parla con coraggio e sfrontatezza di amore. E in cui il protagonista interviene, come deus ex machina, per risolvere il racconto e per catalizzare una trasformazione. Una reazione dovuta principalmente alla profonda umanità di Ken. Usando le parole di Adah, unica e vera protagonista dell’albo: «[…]Non c’era arroganza nel suo sguardo. Se mai, la dolorosa partecipazione di chi ha vissuto i momenti drammatici della vita e riesce ancora ad amarla».

Giancarlo Berardi – Ivo Milazzo, Ken Parker 30° anniversario, Panini comics, 2007

Pillole blu di Frederik Peeters

Lo svizzero Frederik Peeters è un autore consapevole, capace di affermare che il racconto a fumetti debba essere realizzato «il più velocemente possibile rimanendo attento e teso, così da far uscire il giusto e l’essenziale». E ancora: «Una vignetta è un segno emozionale e informativo nel mezzo di un groviglio concatenato di segni, non un quadro autonomo. Cerco di lavorare il fumetto come una scrittura unica, non come un mix di generi scomposti».
E in questa sua ricerca del giusto e dell’essenziale, Peeters ci travolge con un’onestà spudorata. Prendiamo, per esempio, Pillole blu un lungo racconto che, sebbene l’autore dichiari che il fumetto è un composto di bugie che seleziona ed elabora gli eventi perché diventino interessanti, è scopertamente autobiografico.
Si tratta della semplice storia del rafforzarsi dell’amore tra Frederik, Cati e il bambino che lei ha avuto da una relazione precedente. A rendere tutto più dannatamente complesso c’è la sieropositività di madre e figlio. Un viluppo complesso di emozioni che si annodano attorno alla tranquillità dei ritmi del quotidiano. Una tempesta di sentimenti, «passione pietà desiderio fuga rigetto possesso disgusto punizione tristezza abuso», rimbomba in tutto il libro, travolgendo il lettore, e si rende evidente in una pagina indimenticabile. Ed è proprio questo vortice emotivo, annodato a una cascata di quotidianità diversa, a scandire la vita di Peeters in una narrazione che procede con grande spontaneità. Lasciamo che sia l’autore a dircelo: «Ho deciso di affrontare le Pillole blu dopo un libro […] lungo e pesante, e alla fine il mio disegno si era ‘raffreddato’ perché avevo dimenticato di disegnare con le mie emozioni interne. Per ritrovare queste sensazioni ho quindi deciso di divertirmi a raccontare qualcosa di più vicino a me, obbligandomi a lavorare senza sceneggiatura e senza matite. All’inizio era giusto per fare un’esperienza nuova. Ma la mia vita affettiva era abbastanza complessa, e mi sono reso conto che questo esercizio sollevava diverse domande e voglie… […]Ogni pagina e ogni pensiero assomigliavano ai gradini di una enorme scala. Senza che nemmeno me ne rendessi conto».

Frederik Peeters, Pillole Blu, Kappa Edizioni, Bologna, 2004

Love Stores di Elfo

Giancarlo Ascari, da oltre trent’anni, realizza fumetti e illustrazioni firmandosi Elfo. Ai suoi esordi, nel 1977, ha disegnato un libro, Lo statuto dei lavoratori illustrato. Poi, ha preferito la forma frammentaria, distribuendo fumetti, vignette e illustrazioni su diverse riviste (tra queste “Linus”, “Alter alter”, “Il corriere dei piccoli”, “Tic” che ha anche fondato e “Diario” sulle cui pagini da anni occupa uno spazio importante).
La pubblicazione di un nuovo libro a fumetti di Elfo, nel 2005, è stata quindi una sorpresa, anche per i lettori più attenti. Love Stores è un grande mosaico costituito di frammenti, di un’unica pagina, nella cui gestione l’autore è diventato un maestro negli anni. Si tratta di una miriade di storie d’amore, in cupi tempi in cui una guerra globale e spesso distante fa sentire la sua presenza. Il libro è profondamente ispirata a La vita istruzioni per l’uso di Georges Perec, ma laddove lo sperimentatore francese costruiva un racconto spostandosi negli appartamenti di un condominio, qua Elfo si muove libero, inventando connessioni mai banali, seguendo personaggi sullo sfondo, assecondando i piccoli spostamenti del cuore.
Ogni pagina, ogni racconto, combina una scrittura essenziale e uno stile grafico proprio, che cita, studia e analizza la storia dell’immaginario visivo del Ventesimo secolo. E anche gli stili di disegno sono tra loro connessi in modo da evidenziare il contrasto tra le parole e le immagini e mettere a nudo la loro relazione complice.
Sono storie intrise di un amore mai pacificato: di volta in volta distante, oppressivo, malato, rancido, negato, soffocante, sofferto, desiderato… Storie che trasudano la passione politica dell’autore, che è da sempre un attento cronista delle mutazioni sociali. Il senso profondo del libro, in fondo, sta tutto in una sentenza che Elfo ha inserito nella prefazione: «Mi sembra che da un po’ di tempo una santa alleanza di vari fondamentalismi ideologici e religiosi stia cercando di sostituire il vecchio slogan fate l’amore, non la guerra con uno ancora più antico spacciato per nuovo, fate la guerra, non l’amore. Dato che il cambio non mi sembra molto vantaggioso, ho cercato di parlarne in queste pagine».

Elfo, Love Stores, Coconino press, Bologna, 2005. Il libro si trova, a metà prezzo, in alcune librerie della catena remainders “il libraccio”. Di Elfo, nel 2008, è uscito Tutta colpa del 68, cronache degli anni ribelli (Garzanti).

Come conigli di Ralph König

Il tedesco Ralph König è un vero esperto di amore e passione. Il fumetto è per lui lo strumento per raccontare la quotidianità. A dimostrarlo dovrebbero bastare il nome dell’autrice che maggiormente lo ha influenzato (Claire Bretécher che con i suoi frustrati ha masso in pagina le normali ossessioni di una generazione) e il fatto che il 1971 sia stato tanto l’anno del suo esordio al fumetto quanto quello del suo coming out.
La serie più interessante di König racconta, da oltre quindici anni, la relazione tra Paul e Conrad, personaggi che hanno – entrambi – diverse caratteristiche del proprio autore. Paul è un assiduo frequentatore di feste e locali, in cerca di rapporti occasionali che gli permettano di assecondare tutte le proprie pulsioni. Conrad passa la maggior parte del tempo in casa, impartendo lezioni di pianoforte e tollerando l’intensa vita sessuale di Paul. La relazione tra i due è stabilissima e in ciascuno dei volumi che costituiscono la saga, vengono analizzati, con sensibilità e comicità non comuni, temi socialmente rilevanti, e non solo per la comunità gay: AIDS e repressione sessuale in Super Paradise; i patti civili di solidarietà in Lo sposo baci la sposa; gli innamoramenti fuori dalla coppia in Palle di toro
In Come conigli Paul e Conrad lasciano il centro della scena all’eterosessuale Horst e al suo vicino di casa gay Sigi. Horst ha visto la propria vita abitudinaria, oscillante tra una relazione ormai routinaria con Vera e un lavoro come contrabbassista nell’orchestra di Monaco, andare in frantumi quando la fidanzata ha scoperto una sua videocassetta porno e lo ha cacciato di casa. L’incontro con Sigi sconvolge Horst perché scopre l’esistenza di una comunità capace di vivere passioni e sessualità con intensità maggiore e con meno remore e vincoli. Una scoperta di sé stesso che condurrà Horst a liberarsi da preconcetti, a saldare una profonda amicizia con Sigi e a prepararsi a vivere una vita sentimentale e sessuale decisamente più intensa.

Ralph König, Come conigli, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano, 2007. Super Paradise, Lo sposo baci la sposa e Palle di toro sono editi da Kappa edizioni di Bologna.

Pascin di Joann Sfar

Joann Sfar è un incontinente. È nato a Nizza il 28 agosto 1971 e ha esordito nel fumetto ventitré anni dopo. Da allora ha firmato oltre 120 libri. Un narratore impetuoso e irrefrenabile di quelli che la lingua francese sa donare a noi lettori seriali. Una sorta di Georges Simenon del fumetto, capace di affiancare alla impressionante mole di pagine una qualità media altissima, con vette che hanno spesso segnato il fumetto degli ultimi dieci anni.
Nonostante le narrazioni di Sfar siano perennemente in equilibrio tra istinto e mestiere, l’autore vive il racconto a fumetti come una forma di scrittura che può (e deve) procedere per accumulo di improvvisazioni e in assenza di quella strutturazione del racconto resa obbligatoria dai formati standard. È infatti impossibile affrontare un racconto che soddisfi autore e lettori e si esaurisca in un numero di pagine dato (e magari con una gabbia della pagina fissata dall’editore) senza aver predisposto prima un’accurata sceneggiatura, una minuziosa scaletta degli eventi e dei dialoghi che devono svilupparsi in ogni vignetta e in ciascuna pagina.
Sfar però, come dicevo, è un incontinente. Un affabulatore, spesso istintivo, capace di affastellare racconti in caduta libera, inchiodando il suo lettore alla pagina. E una gabbia così rigida rischia di andargli stretta. Il suo amore per il racconto e per il disegno lo induce a non posare mai la penna. Infatti, tiene sempre con sé dei taccuini su cui appuntare gli eventi della propria vita. E questo disegno-scrittura intimo, che prima era una palestra del racconto, un allenamento del disegno e un esercizio di resistenza umana, si è trasformato, negli anni, in un’impresa editoriale che ha portato l’autore alla pubblicazione di numerosi carnet con un numero di pagine variabile (da poco più di 100 a quasi 900).
Altra palestra in cui pubblicare i suoi lavori più personali (e, proprio per questo, più istintivi) è stata, per molti anni, l’Association, casa editrice nata nel 1990, dall’associazione cooperativa di un nucleo di fumettisti con molto da dire e poco spazio – soprattutto commerciale – per farlo. Proprio per questa etichetta in odor di autoproduzione, Sfar ha realizzato una serie di albi sottili per raccontare una biografia inventata del pittore Julius Pinkas, detto Pascin. E questa invenzione narrativa, che abusa di dati storici e biografici, dice tantissimo del lavoro di Sfar, trasformandosi in una spericolata dichiarazione d’amore per i corpi, per la vita e per il disegno, come strumento di possesso fisico e sessuato.

Joann Sfar, Pascin, 001 edizioni, Torino, 2008.

Al tempo di papà di Jiro Taniguchi

Il fumetto ha sempre assunto caratteristiche – di formato, di meccanismi di produzione, di forme di consumo – differenti a seconda della regione geografica che lo ha generato. L’ultima scuola nazionale ad aver attecchito in maniera dirompente sul mercato europeo è stata quella nipponica. Il successo del manga in occidente (in Francia, in Spagna, negli Stati Uniti e anche in Italia) è sicuramente legato alla capacità degli autori e degli editori giapponesi di toccare una gamma vastissima di temi e di parlare ai pubblici delle età più disparate, usando un linguaggio capace di non apparire artefatto. Questa segmentazione dei generi e dei pubblici, che non ha uguali in nessuna altra nazione, è profondamente connessa alla modernizzazione del manga, avvenuta al termine del secondo conflitto mondiale, grazie soprattutto alla presenza di Osamu Tezuka. Questo autore, infatti, è stato capace di definire le caratteristiche di almeno un paio di segmenti dell’industria culturale (il fumetto e l’animazione), con quarant’anni di produzioni di altissimo livello.
Descrivere l’importanza di Tezuka raccontando gli effetti del suo passaggio sull’immaginario nipponico è impresa titanica. Ai fini di questa bibliografia, basta sottolineare la direttiva centrale della sua produzione: il manga deve essere “omoshiroi”, interessante. Può essere di qualsiasi genere e rivolgersi a qualsiasi pubblico, ma non deve mai tradire il tacito accordo col lettore: deve mantenerlo incollato alla pagina, raccontando fatti strani e straordinari.
Se, da un lato, l’urgenza di costruire racconti “omoshiroi” ha prodotto un immediato diffondersi del manga presso i pubblici più diversi, rivolgendo narrazioni a quelle che potevano sembrare nicchie miratissime (scatenando talvolta successi di pubblico difficili da spiegare), dall’altro essa si è tradotta in una dittatura che, per quanto benevola, ha rischiato di bandire il fumetto più realistico e mimetico. La nascita di un’opposizione alla forma di manga voluta da Tezuka, e sviluppatasi col nome di gegika attorno alla rivista “Garo”, ha reso possibile l’emergere di autori capaci di costruire racconti improntati al realismo più spinto e svincolati dai generi canonici o dalla loro commistione.
Tra tutti gli autori realistici del nuovo fumetto giapponese, Jiro Taniguchi segna il più forte punto di contatto tra Giappone ed Europa, non nascondendo mai il proprio amore per autori francesi, come Moebius, o italiani come Attilio Micheluzzi.
Al tempo di papà è la storia di Youichi e della distanza insanabile che lo ha separato dal padre fino alla morte di quest’ultimo. Incomprensioni stratificate che hanno soffocato per quindici anni l’affetto di un figlio nei confronti di un padre su cui aveva fatto ricadere tutte le colpe del disgregarsi della propria famiglia d’origine. Assistiamo al ritorno a casa e al recupero di una memoria negata e forse fraintesa attraverso l’affetto e i racconti di amici e parenti. La riconquista dell’amore paterno passa attraverso un doloroso processo di ridefinizione dei propri debiti, non solo biologici.

Jiro Taniguchi, Al tempo di papà, Planet Manga, Modena, 2000

S. di Gipi

Gianni Pacinotti si firma Gipi ed è l’autore più incisivo che il fumetto italiano abbia espresso nell’ultimo decennio. Dopo aver accumulato diversi fumetti, pubblicati negli spazi più disparati (dal settimanale satirico “Cuore”, ai volumi orizzontali della collana “Ossigeno” pubblicati da Feltrinelli sotto il coordinamento di Stefano Benni, a “Blue” mensile da edicola dedicato al fumetto erotico), nel 2003 ha raggiunto la forma libro, pubblicando con l’editore Coconino Press la raccolta di racconti a fumetti Esterno Notte. Da quel momento Gipi, ha iniziato a produrre libri, mostrando una predilezione per il racconto lungo e raggiungendo un pubblico sempre più vasto, costituito – anche e principalmente – da lettori che solitamente non frequentano il fumetto. Nel 2006, dopo aver vinto, con Appunti per una storia di guerra, il premio più prestigioso che possa essere riservato a un fumetto europeo – il grand prix del festival di Angoulême – Gipi ha dato alle stampe il libro S., un lungo e affettuoso ricordo del padre appena scomparso, nel quale, data la natura autobiografica del racconto, l’autore ha dato spazio a una narrazione più immediata  e istintiva.
La realizzazione di un fumetto passa, di solito, per un processo, più o meno minuzioso, in cui la definizione di una pagina attraversa una serie di approssimazioni successive del racconto definitivo: idea, soggetto, sceneggiatura, matite, inchiostri. Certo, ci sono autori che hanno mostrato indifferenza a questo processo, decidendo di realizzare fumetti partendo direttamente dal disegno: dalle sperimentazioni «in forma di farfalla e di fiamma di cerino» del francese Moebius, al racconto istintivo di certo Andrea Pazienza, alla comicità di getto di Sergio Aragones, al metodo di lavoro infallibile di Benito Jacovitti.
Anche Gipi realizza i propri fumetti seguendo gli approcci più diversi e a volta il racconto nasce direttamente sulla pagina a fumetti (è il caso di S. e del recente LMVD, La mia vita disegnata male). Ma, nei suoi lavori, la scrittura istintiva non è un metodo, così come non lo è la scelta di “disegnare male” (la dichiarazione, evidentemente risibile, si riferisce alla volontà di realizzare pagine in cui la tecnica sia in secondo piano rispetto all’istinto, in modo da garantire un enorme impatto comunicativo).
Gipi, raccontando S., ha molto sottolineato la spontaneità del racconto, spiegando come il canovaccio di lavorazione fosse un quadernetto in cui c’erano pagine con la scritta «pioggia», altre con descrizioni poco più articolate e altre ancora con un solo rapido disegno. Ha insistito così tanto sulla natura di esorcismo di questo racconto, che doveva liberarlo rapidamente di ricordi che non riusciva più a sopportare, da suscitare sospetti sulla sua buona fede. Il libro è solido e compatto e mostra una narrazione in cui i ricordi (e le menzogne) del padre vengono messi progressivamente a fuoco con un gioco di strani anelli (quasi fossimo di fronte al complemento fumettistico del film Big Fish di Tim Burton).
Gipi è però anche molto attento a incontrare il proprio pubblico. Fa reading dei sui libri, rilascia interviste televisive, partecipa a incontri col pubblico. E quando lo si ascolta, ipnotizzati dai movimenti circolare delle sue lunghe mani, si capisce che questo autore capace di realizzare una pubblica dichiarazione d’amore per il padre, è proprio così: immediatezza e repertorio, amore e rabbia, onestà e menzogne. Il lettore può decidere di fidarsi ciecamente, oppure può leggere i suoi ottimi fumetti come fossero le finzioni costruite da un grande autore di fumetti: il godimento resta inalterato.

Gipi, S., Coconino press, Bologna, 2006
Una bibliografia essenziale di Gipi non può prescindere da Esterno Notte (2003, Coconino Press), Appunti per una storia di guerra (2004, Coconino Press) e LMVDM La mia vita disegnata male (2008, Coconino Press / Internazionale).

Quando soffia il vento di Raymond Briggs

Anche l’ultimo libro presente in questa breve bibliografia dedicata al rapporto tra amore e fumetti è una intensa dichiarazione di affetto nei confronti dei genitori. Ma è anche la strenua (e definitiva) storia d’amore tra James e Hilda, attempata coppia inglese investita dal flusso di informazioni, incomprensibile e inarrestabile, che descrive una guerra fredda che i due non hanno gli strumenti per comprendere.
E, a proposito di strumenti, Raymond Briggs è un autore che in Italia sembra impossibile decodificare. Egli è uno dei giganti del racconto per immagini, un autore di libri illustrati (spesso tradotti nel nostro paese) che, all’inizio della sua carriera, ha trovato inadeguato il formato “picture book”, con le sue poche pagine (tipicamente 32) ognuna delle quali  caratterizzata da un’illustrazione e da un paio di righe di testo. Allora Briggs, che aveva bisogno di raccontare, ai bambini e agli adulti, storie con una densità e un ritmo diversi, ha dovuto impossessarsi di un codice del racconto che non gli era proprio. Un codice verso cui non aveva montato alcun affetto durante gli anni dell’infanzia e della formazione. Per sopperire a questa necessità, ha iniziato a realizzare storie con tanti disegni giustapposti e con il testo iscritto in nuvolette che fuoriescono dalla bocca dei personaggi: fumetti, insomma.
La stranezza dovuta all’uso di un linguaggio incongruo ha fatto sì che in Italia (ma non solo: il problema esiste anche in paesi con un mercato del fumetto e del libro con immagini molto più sviluppato del nostro, come la Francia) non si riuscisse a classificare questo autore stravagante. Briggs non viene censito né tra gli autori di libri illustrati né tra i grandi autori di fumetto, e il suo unico libro destinato a un pubblico adulto, tradotto in italiano resta Quando soffia il vento, apparso in libreria più di vent’anni fa. Nonostante Ethel and Ernest, del 1998, sia – con ogni evidenza – uno dei lavori a fumetti più importanti degli ultimi vent’anni: un graphic novel da mettere sulla stessa mensola su cui riponiamo Maus di Art Spiegelman, Palestina di Joe Sacco o Jimmy Corrigan: Smartest Kid on Earth di Chris Ware (altro capolavoro, insensatamente inedito nel nostro paese).
Quando soffia il vento è un libro bello e terribile: una cascata di minuscole vignette, rese amabili da tenui colori pastello, in cui due anziani coniugi inglesi (che sono una trasfigurazione dei genitori dell’autore) affrontano le insidie di un mondo dominato da USA e URSS, due colossi, economici e militari, che si fronteggiano. In questo racconto morbido, tutto annuncia la fine del mondo che, immancabile, arriverà sotto forma di esplosione nucleare.
Dopo l’esplosione, il mondo perde colore e le già tenui tinte pastello si stemperano in un bianco che racconta solo morte e distruzione. Ai due personaggini di Briggs non resta che l’amore e l’ingenuità, mentre i loro vecchi corpi, già colpiti dalle insidie del tempo, deperiscono e si consumano sempre più in fretta, irradiati da un calore che non ha nulla di umano.

Briggs Raymond, Quando soffia il vento, Orient Express, Milano, 1984.
Briggs è un autore che merita di essere letto con attenzione. Oltre a Quando soffia il vento, reputo fondamentali, tra i suoi libri editi in Italia, Babbo Natale (1995, Einaudi) e Il pupazzo di neve, (2002, EL).
Opportuno, qualora la lingua inglese non costituisse un impedimento, recuperare Raymond Briggs Blooming Books (Jonathan Cape, 2003), Ethel & Ernest, a true story (Jonathan Cape, 1998), e Gentleman Jim (Drawn & Quarterly, 2008).

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