Il protagonista: Oscar Wilde, 30 novembre 1900.
Ha detto (o si dice abbia detto):
«O se ne va quella carta da parati o me ne vado io!»
Voleva dire:
«Non è possibile! Rifiuto l’idea di dover morire subendo un simile affronto!»
L’ho già scritto a proposito di una frase attribuita a Frank Zappa, ma lo ribadisco ora: sugli aforismi c’è sempre da stare attenti. Spesso non sai se Tizio o Caio abbiano davvero pronunciato quella frase o almeno qualcosa del genere. Comunque sia, sembra che Oscar Wilde (ripeto, “sembra”: stiamo sul vago) sul letto di morte abbia fissato la tappezzeria della camera d’albergo che lo ospitava a Parigi. Quel tessuto gli sarebbe apparso orribile quanto l’arrivo della triste mietitrice. Stando ad altre fonti, Wilde nei suoi ultimi giorni aveva già perso l’uso della parola e l’aneddoto sarebbe solo una patacca, magari messa in giro proprio dal concierge. Però la frase, nel suo freddo enunciato, ha una sua rigorosa validità: la carta da parati non fu rimossa dall’esistenza, a differenza dell’autore irlandese.
Ora usciamo da quell’albergo. Seguimi, poi ci torniamo.
Tanti anni fa, mio padre mi raccontò la morte di mio zio Bruno, suo fratello. L’aveva portato via, dopo un anno di battaglie e sofferenze, un male incurabile, uno di quelli che si diverte prima a diventare una tortura per malati. Dall’ospedale lo portarono a casa la mattina, per fargli passare le ultime ore fra mura amiche. All’epoca si usava così. Fu mio padre ad assisterlo, fino alla fine. Tornò a casa a sera. Noi (io, mamma e le mie due sorelle) riconoscemmo il rumore dell’automobile e aspettammo che entrasse. «È morto», disse, poi buttò il giaccone su una sedia. Prese un’altra sedia, ci appoggiò un piede, i gomiti sul ginocchio, e ci raccontò.
Lo zio non aveva mai perso conoscenza, aveva rifiutato l’ossigeno. Prima di spirare, gli era sembrato volesse dire qualcosa, una frase, ma non era riuscito neppure a iniziarla. Già allora pensai che probabilmente non voleva dire proprio niente, ma restai in silenzio. Dovrei essere fiero del pudore e del rispetto mostrato nell’occasione.
Aggiunse un particolare ridicolo e atroce. A un certo punto il fratello aveva avuto bisogno di pisciare. Mio padre si era dato da fare per trovare qualcosa, un contenitore dove farlo urinare. Per prima cosa aveva preso una bottiglia d’acqua, messa subito da parte perché ritenuta (giustamente) inadatta. Alla fine aveva usato un vasetto di marmellata.
La cosa aveva dato molto fastidio a mio padre. A me aveva colpito non tanto l’episodio in sé, quanto il fastidio che lui aveva provato. Una cosa molto umana, l’ho capita più avanti e in parte mi è ancora sconosciuta.
In sostanza, può accadere che al termine del nostro «transito terrestre»(1) oltre che tirare le cuoia tocchi farlo subendo un ultimo affronto. All’autore del Ritratto di Dorian Gray come a mio zio. Questa verità è apparsa nitida a Oscar Wilde davanti alla tappezzeria del suo ultimo albergo a Parigi, stando allo sfogo a lui attribuito. Aveva invece torto chi ammoniva severamente i gestori degli alberghi («Odio sentirmi a casa quando sono via»(2)), perché gli spazi che occupiamo, case o alberghi che siano, sono indifferenti a noi stessi.
Adesso magari sarai triste. Capisco: il momento è quello che è, col suo bisogno (personale e collettivo) di fuggire da un’esistenza che, già complicata di suo, ora è diventata difficile da riconoscere. Magari vorresti uscire dalla tua casa, che magari è diventata lavoro o scuola (lo smart working, la didattica a distanza eccetera eccetera). Lo desideri in questi giorni, in cui non puoi neanche progettare di rifugiarti in un albergo, anche solo per “staccare la spina per un po’”, magari per goderti un amore che lì, in una stanza diversa, avrebbe il profumo di un’esperienza nuova.
Spiace, ma non era mia intenzione rattristarti. Anzi, mi hai male interpretato. Perché, figurati, io volevo portarti al pensiero minimalista di un cantautore italiano. Uno che, almeno sull’argomento in questione, ha colto un centro pieno, e alla moglie ha deciso di offrire «l’intelligenza degli elettricisti, cosi almeno un po’ di luce avrà la nostra stanza, negli alberghi tristi dove la notte calda ci scioglierà»(3). Un amore in una stanza d’albergo è questo: non la felicità, ma almeno una formula di cui ci si può fidare e, oggi, un obbiettivo da raggiungere.
Oltre a Oscar Wilde in questo pezzo sono citati, un po’ a cazzo:
(1) Franco Battiato: «Che cosa resterà di me, del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?» (da Mesopotamia)
(2) George Bernard Shaw: «Avviso per chi pensa le pubblicità degli alberghi: io odio sentirmi a casa quando sono via» (aforisma a lui attribuito)
(3) Paolo Conte: «E ti offro l’intelligenza degli elettricisti…» (da Un gelato al limon)
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.