Sbronza d’amore

Boris e Paolo | Strani anelli |

In un fulminante pamphlet, nel quale, attraverso il filtro della sua passata attività come attrice pornografica, Jessica Stoyadinovich decostruisce lo sguardo – di noi fruitori, ma anche di loro facitori – sulla pornografia, ci spiega questa cosa: lei e gli interpreti dei film pornografici, in realtà, sono più dei performer che degli attori. Perché la parte principale del loro lavoro di recitazione, non riguarda tanto l’esercizio fatico, quanto piuttosto quello fisico. Quindi, fosse anche per una mera questione ginnica, le professioniste e i professionisti del porno, sono molto più assimilabili ai ballerini che alle attrici e agli attori cinematografici. Ora, fatte salve le questioni di genere dei due sostantivi, che in italiano – come avrai notato – pesano un po’ ma in inglese, nel pamphlet di Stoya pesano molto meno, ci sembra che la definizione in sé sia molto azzeccata.

Quello di noi due (è solo retorica, Boris mica se ne vergogna) che è un gran fruitore di roba porno, e di film in particolare, dice che Stoya ha dannatamente ragione. Comunque. A parte il fatto che siamo convinti quel pamphlettino meriti una traduzione in italiano, ci sono questioni che riguardano tutto il resto.

Beulah Maude Durrant, una delle più grandi danzatrici classiche della prima metà del secolo scorso, che (come un’attrice porno) usava lo pseudonimo di Maud Allan diventò famosa, a livello mondiale, per la sua sensualissima interpretazione di un balletto scritto appositamente per lei dal critico e musicista e suo amante Marcel Remy. Musicalmente non era una roba originale, plagiava temi di Mendelssohn, Chopin, Rubinstein e Bach, ma era un centone pensato apposta per il corpo di Maud, ed era il suo corpo, che si muoveva praticamente nudo sulle assi del palco di ogni capitale europea in cui si esibiva con una frenesia che andava oltre l’erotismo sconfinando nella pornografia, a dare senso alla partitura. E soprattutto, provocando eccitazioni maschili e femminili, nel pubblico che vi assisteva, a dare a Maud un successo e una fama, all’epoca (stiamo parlando dei primi anni del Novecento), pari a quelli di un’altra grande ballerina come Isadora Duncan.

La lezione di Maud attraverserà tutto il Novecento fino ad arrivare alle coreografie di Cecilia Bengolea e François Chaignaud, nelle quali – pensiamo su tutte a Paquerette, in cui ballerini di ogni sesso danzano nudi con butt plug gonfiabili nell’ano su un miscuglio di musiche classiche e raggaeton- l’eccitazione dello spettatore diventa parte strutturalmente portante della narrazione.

Nella seconda metà degli anni Settanta, Reed Waller, ha un’idea geniale. Prendere la potenza erotica del balletto e trasformarlo in un fumetto. Così, attraverso la sua Omaha, la gatta ballerina il fumetto, anche se pornografico (anzi… proprio perché pornografico) diventa uno strumento di riflessione fondamentale sulla fruizione della cultura pop.

Dice Aristotele che, dato che a suscitare le nostre emozioni (πάθη) sono le cose che appaiono al nostro sguardo più al nostro sguardo prossime a noi (ἐγγὺςφαινόμενα): è quindi naturale che coloro che definiscono attraverso posture corporali, anche estreme – come i ballerini, le ballerine, tutti i tipi di ginnast* e sportiv* e soprattutto pornoattrici e pornoattori- la propria “recitazione”, suscitino in noi una maggiore pathe.

Il problema è che la pathe, cioè l’eccitazione cui le spettatrici e gli spettatori di un balletto di Maud Allan, ma anche delle performance di Bengolea erano e sono sottoposti, non può avere, come invece sarebbe richiesto, immediata e onanistica soddisfazione. C’è un problema logistico. Escludendo quei luoghi pubblici, oggi estinti, che erano i cinema a luci rosse, in cui la masturbazione era consentita, non è possibile nei teatri soddisfare la propria eccitazione. Come non è possibile alle mostre, ai concerti, insomma: in ogni manifestazione pubblica di un fenomeno culturale: sia una rappresentazione shakespeariana che un concerto di Beyoncé.

Polina Semionova ha dichiarato, una volta, che ogni volta che danza in pubblico è come se dovesse salvare un innamorato. Ci sembra che, in questo modo, abbia perfettamente definito la condizione della ballerina (e dei ballerini).

Leggermente diversa è la situazione di chi lavora nel mondo del porno. Che fosse la sala dei cinema a luci rosse negli anni Settanta, la propria stanza con il videoregistratore negli anni Ottanta e poi coi DVD nei Novanta, e un qualsiasi luogo dove isolarsi oggi con uno smartphone e il collegamento a Pornhub, la performance pornografica ha il sostanziale vantaggio, rispetto alle altre ugualmente eccitanti, di non solo consentirti, ma richiederti per la sua piena fruizione, una soddisfazione orgasmatica. Probabilmente è per questo che, di tutte le forme dell’espressione culturale, la pornografia è la più filosofica: da una risposta, quasi, immediata (l’orgasmo) alla  domanda che suscita (il desiderio).

Questo strano anello è formato da:

  • Stoya, Philosophy, pussycats and porn, LLC, 2018
  • Felix Cherniavsky, Maud Allan and her art, DCDP, 1998
  • Paquerette di Cecilia Bengolea, Centre National de la Danse
  • Reed Waller e Kate Warley, The complete Omaha The cat dancer, 6 volumi, NBM, 2005-2007
  • Beyoncé, Drunk in love, 2018
  • Polina Semionova, Il lago dei cigni, 2010

Per prenderti una sbronza d’amore, non serve nessun filtro, va bene quello che hai in frigo. Dipende in compagnia di chi lo bevi.

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