Per cui la quale ci cale

Boris Battaglia | Pantomime del Calisota |

– Nuit et jour à tout venant / Je chantais, ne vous déplaise.
– Vous chantiez? j’en suis fort aise. / Eh bien! dansez maintenant.

Non credo proprio di averne avuto la consapevolezza: sono cose di cui a undici anni mica te ne rendi conto. Le senti, a un livello superficiale, ma non le capisci. Che poi cosa ci sarà stato mai da capire. Erano sempre e comunque pulsioni. Anche se, dovendo credere a Freud, sublimate verso scopi assolutamente non sessuali.
Avevo undici anni e, per restare in campo freudiano, mi trovavo in quella fase di latenza in cui la libido è dormiente e le pulsioni, libere dall’implicazione sessuale, servono sostanzialmente alla costruzione del proprio io sociale. In particolare a definire reti di rapporti intergenere che in quella precisa fase della vita si limitano all’amicizia.

«Disco disco dove io
sono veramente io
è fantastico superfantastico …
E la dimensione che
mi fa vivere con te
l’avventura che c’è dentro di me.»

Era il 1979, come ti ho detto avevo undici anni e avrei tanto voluto che Heather Parisi fosse mia amica.

L’avevo incontrata la prima volta a Luna Park, una trasmissione di Rai1 condotta da Pippo Baudo in prima serata. Non sapevo nemmeno come si chiamava, ma quella ragazzina bionda dalla bocca così larga, che muoveva passi di danza assolutamente nuovi sulle note di una brutta canzone dei New Trolls, mi aveva stregato al punto che la sigla di quella trasmissione, che altrimenti non avrei mai degnato di uno sguardo, diventò, tra marzo e maggio, un appuntamento fisso. Giuro, non avevo mai visto uno stile simile nelle coreografie della Rai, e come me penso tutti gli altri spettatori. È infatti proprio tra il 1979 e il 1983 che in Rai, grazie alle regie di Enzo Trapani e alle intuizioni coreografiche di Franco Miseria, viene svecchiato il vecchio stile di ballo, quello ancora legato alla rivista e all’avanspettacolo, introducendo, proprio attraverso il corpo della Parisi, un erotismo (il ballo, quello televisivo in particolare, è la sublimazione del discorso erotico) più consono alla sensibilità degli sguardi dell’epoca.

Per questo il successo di Heather e della sua incredibile spaccata verticale fu immediato.

Oltre a questo, nella sigla di Luna Park c’era un dettaglio che mi ipnotizzava. Quando la voce quasi in falsetto stile Bee Gees di non so chi dei New Trolls, cantava questo verso abbastanza scemo: «fumi grazie no puoi offrirmi un caffelatte», la bocca di Heather si muoveva ripetendone le parole ma senza emettere suono, e la vastità che occupava su quel volto luminoso nel momento in cui pronunciava la parola “caffelatte”, incrinava quello che credevo di avere imparato dalla morale di storielle come quella della rana dalla bocca larga.
Figurati quella della cicala.

Non lo nascondo, sono stato tra quel qualche milione di persone che contribuirono a mandare prime in classifica canzoni come Discobambina e Cicale. Solo che nel 1982 avevo quattordici anni, ed ero – sempre secondo la teoria freudiana – in pieno nel passaggio dalla mia fase latente a quella genitale. Adesso cominciavo a intuire la vera natura di quella pulsione. Altro che amicizia, il mio per Heater Parisi era ardente desiderio erotico.

«Se ti spunta fuori una spina ah-ah
Io sarò la tua medicina
Quando il tempo per sognare non c’è
Cerchi il filo che ti porta da me
Ti rockerò, ti shockerò.»

Un desiderio che traeva origine da un evidente cambio paradigmatico, dovuto al mutamento dei tempi, all’interno della manifestazione dei corpi televisivi (la TV, quella scatola del mondo di cui cantava Heather in Cicale), nel quale quei segni simbolici che prima venivano usati per neutralizzare il disvelamento del corpo delle ballerine, neutralizzandone l’esuberanza sessuale, si caricano di un valore contrario che quei corpi comincia a esaltare: non tanto nella loro fisicità (le Tinì Cansino e le Carmen Russo sono ancora lontane, il corpo della Parisi non è più un corpo da avanspettacolo, non è ancora un corpo da Mediaset, ma è un corpo le cui origini stanno con forza nella danza classica) quanto in un’imprevedibile (e sessualizzata) cinetica.

Il corpo “svestito” dal costume di scena di Heather, non è più, come quello di ballerine quali le Gemelle Kessler, un mero commento a un discorso che si tiene altrove, ma è esso stesso un discorso sul mondo e costruisce senso, interagendo con il mio sguardo; creando così un aumento della mia conoscenza attraverso la libertà della sua azione.

Nei balletti delle sigle dei Fantastico di quella manciata d’anni, i costumi che vestono Haether sono studiati per dissimulare la propria esistenza, è come se l’idea stessa di costume fosse messa in crisi, abolita e nell’economia della scenografia, che si compone e struttura narrativamente sulle posizioni dei corpi, risalta sempre un particolare che rimanda all’idea del nudo, non importa se per evocarla si vanno a sfidare le regole dell’anatomia: ai miei occhi di adolescente, i luoghi dello spazio in cui Heather riusciva  a portare le proprie gambe, mi sembrava ai limiti delle possibilità anatomiche.
Ogni gesto di Heather, ogni sequenza scenica dei suoi balletti, chiedevano al mio sguardo di attribuirgli un programma narrativo (come ci hanno spiegato Greimas & Courtés nel loro Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, guarda un po’, pubblicato proprio nel 1979)), cioè una direzione che tendesse verso la realizzazione di un significato stabilito dal contratto iniziale che Heather e io avevamo stabilito, si lo so, solo a livello simbolico purtroppo, proprio a partire da quella sigla di Luna Park.
Quello che, guardando Heather fare il movimento della cicala quando frinisce, il mio sguardo aveva imparato è che le mie pulsioni, le mie passioni, non si applicavano solo alla dimensione narrativa di un racconto danzato, ma agli effetti fisici e materiali (sto parlando di sesso, hai capito bene) di quella danza sul mondo.

«sole rosso fa l’arancia / di lassù
luna gialla fa il limone / di quaggiù
per cui la quale / ci cale ci cale ci cale»

È un momento felicissimo questo, che non durerà molto, la normalizzazione comincerà già con l’arrivo di Lorella Cuccarini, che nel 1985 sostituisce Heather a Fantastico. Esaurita la spinta degli anni Settanta, ormai metabolizzata la novità rivoluzionaria del postmoderno, l’industria dello spettacolo televisivo torna a disarmare il corpo,  rendendolo, attraverso la Cuccarini, oggetto di un discorso scontato e normalizzante come quello che si sta iniziando sui canali Mediaset.
Per una manciata di anni, la sovrastruttura dei paludamenti morali, che serve alla società per negare il corpo, per proteggerne le certezze borghesi, erano stati spazzati via. Nel ballo di Heather l’atto del mostrare (il racconto dei balletti di un tempo) passava in secondo piano, mentre si evidenziava la struttura che serviva  a mostrare quel racconto: il corpo di Heather. Su quel corpo si è formato il mio sguardo. E quando ne ho avuto consapevolezza, su quel corpo ho costruito la mia critica.


Sì? Come dici? Che in questa pantomima non ho parlato di fumetti? Forse non ci siamo capiti. Di solito ti parlo di fumetti ma per parlare di tutt’altro. Stavolta ho parlato d’altro, ma, cazzo se stavo parlando di fumetti!

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