Un sorso dopo l’altro

Quasi | La grolla, Strani anelli |

Prima o poi doveva succedere. Lo strano anello è una consuetudine di QUASI fin dalle primissime uscite. È il nostro modo per avvicinare frantumi di immaginario apparentemente lontanissimi per mettere in gioco la nostra capacità di analisi. Ci sembra che dire perché un film debba stare accanto a un libro o a un disco, ecco, sia un bell’esercizio critico. Nella settimana dedicata all’elogio della cicala, nessuno ha voluto caricarsi della fatica di forgiare l’anello. A questo punto, mentre tutti sbadigliavamo sonnecchiosi, qualcuno ha detto: «Facciamo un anello a forma di grolla!» E così è stato.

Leo Lionni era uno bravissimo, non c’è dubbio. I suoi libri hanno sfamato gli occhi di migliaia di bambini e certamente di altrettanti adulti. Però, ecco, c’è sempre in quel che ha scritto e disegnato o decoupagiato, questa cosa della morale che stride, infastidisce e in definitiva annoia. Una funzione insistentemente pedagogica che toglie gusto alla lettura, facendoti sentire un po’ come continuamente sgridato.
Prendi Federico, la sua cicala per i tempi moderni. Ha indubbiamente ragione nell’evidenziare l’importanza della raccolta dei raggi del sole per affrontare il gelo dell’inverno, mentre i suoi amici topolini-formica si sbattono per le provviste. Federico raccoglie i colori dai fiori per sopportare il grigio dei mesi freddi, accumula parole per colmare il lugubre silenzio delle lunghe notti, mentre i buzzurri topolini-manovali pensano al grano, alle noci e al fieno. Ha ragione lui, non c’è dubbio. Eppure, quando alla fine del libro si mette in piedi su un sasso per fare la paternale ai suoi colleghi proletari, lui che indubbiamente fa parte dell’intellighenzia, sta sul cazzo da morire. Diventa la formica, un’estenuante formica del pensiero.
Preferisco di gran lunga il gatto Bruno di Catharina Valckx e Nicolas Hubesch, chiamato in Italia – inspiegabilmente – Luigi, perdigiorno per davvero, senza morale e con una contagiosa e insensata gioia di vivere. Come quando, in un’avventura brevissima di appena due pagine, che non sono altro poi che un’unica illustrazione intitolata “Un giorno senza elettricità”, senza infarcire l’inconveniente di retorica, commenta: «Siccome non capitano spesso, mi piacciono molto i giorni senza elettricità». [FP]

Sì, i giorni senza elettricità sono belli, ma le notti senza elettricità non funzionano. E come potrebbe cantare Wilma, interprete in disarmo che, per aver dissipato la propria arte e la propria giovinezza, gira ormai solo squallide balere, senza l’elettricità per l’amplificazione?
Alberto Lattuada è stato un regista formalmente mediocre, ma tra il 1974 e il 1980 azzecca una manciata di film che raccontano in modo impietoso la società italiana della fine di quel decennio (una società, per inteso, per niente migliore di quella attuale). L’ultimo film di questo gruppo, programmaticamente intitolato La cicala, è quello che racconta la storia di Wilma (interpretata da una straordinaria Virna Lisi a cui Carla Boni – sì, l’interprete di Casetta in Canadà – presta la voce) e della sua giovanissima amica, la zingarella vagabonda, di una bellezza oltremisura, che tutti chiamano, appunto, Cicala (paradossalmente interpretata dalla discendente di una schiatta di banchieri: Clio Goldsmith). Una via di mezzo tra una versione a rovescio di Il postino suona sempre due volte e il ribaltamento etico di una favola moraleggiante come quella della formica e della cicala, dove la Cicala, generosa dispensatrice della propria bellezza, dimostra un cinismo e una mancanza di pietà pari, anzi superiore, perché alla fine vince lei, di tutte le formiche lavoratrici e ipocrite che la circondano. Quanto abbiamo amato il personaggio della Cicala, lo dimostra, in parte, quello che siamo diventati, così simili a Wilma. [BB]

Che gli stereotipi siano generalmente spazzatura tendenziosa ce lo dimostra pure la cicala. Alcune più di altre. Esistono vari generi di cicale nordamericane che attendono, a seconda della specie, tredici o diciassette anni – sì, anni – prima di emergere dal terreno nel quale hanno compiuto lo sviluppo dallo stadio larvale a uno sufficiente a mettersi a svolazzare. Venitemi adesso a raccontare della fatuità dell’insetto sfaccendato e canterino che sta a perder tempo sugli alberi, a fare a chi canta più forte per attirare partner. [Non parliamo di quel monnezzaio canoro in corso di svolgimento in giorni appena trascorsi sulla riviera di Ponente, per favore.] Hanno un piano, conoscono i numeri primi e sanno aspettare quiete e in silenzio. La stessa cosa non si può dire di quasi nessuno tra gli umani. Qualcuno (il solito Linneo?) ha battezzato il genere Magicicada, probabilmente confermando, in questo modo, che quel che non si riesce a comprendere sembra sempre magia. Alla tredicesima o diciassettesima primavera queste cicale periodiche erompono dal suolo, tutte insieme, in un assalto alla vita tipo primo giorno di battaglia sulla Somme e affrontano le mitragliatrici dei predatori. Li prenderanno per sfinimento, li ingozzeranno dei loro corpi finché non ne potranno più e molte sorelle (e fratelli) cicale ce la faranno, con la pura soverchiante potenza del numero, del gruppo che agisce all’unisono. Chiamatele ancora irresponsabili edoniste, se vi riesce. [LC]

No Merchandising. Editorial Use Only. No Book Cover Usage. Mandatory Credit: Photo by Moviestore/REX/Shutterstock (1606967a) Starship Troopers Film and Television

Che poi, se mi trovassi di fronte a un gruppo di cicale pronte a immolarsi, non credo che il primo pensiero sarebbe: «Ehi, chissà se mi vogliono invitare a una serata folle tipo Tutto in una notte». No, probabilmente mi aspetterei più un attacco in stile insettoni di Starship Troopers. Non ho il minimo ricordo della trama del romanzo (la mia memoria selettiva mi rende cosciente solo di averlo letto in quel biennio in cui, alle superiori, in modo totalmente autistico divorai solo romanzi di fantascienza e fantasy) né sicuramente mi resi conto delle tendenze leggermente destrorse del testo (ero un adolescente di una provincia del Nord… che cosa potevo mai capire?), ma come mi divertii invece con il film di Paul Verhoeven e le sue esagerazioni. Non rimasi molto sorpreso all’epoca del suo insuccesso (e cosa ci si poteva aspettare da un film che era un dito medio a un certo tipo di blockbuster in stile Independence Day), mi stupì molto di più il fatto che anni dopo venne apprezzato e rivalutato per il suo tono satirico. Cioè, mi volete dire che nel 1997 l’avevate preso seriamente? Stiamo parlando dello stesso regista di Robocop? Ok, avrà fatto qualche passo falso nella sua carriera, ma tutto si può dire delle sue opere, tranne che non siano percorse da satira, oltre che dalla violenza. Per cui ritornando alle nostre cicale, no… Esopo e La Fontaine non me la raccontano giusta, e se mai ne incontrassi una, terrei un lanciafiamme, pronto all’uso per ogni evenienza. [OM]

Esatto. Un lanciafiamme. Secondo me TUTTI, in redazione, prima o poi hanno uno scatto d’ira e dicono «avessi un lanciafiamme!», quando qualcuno gli scippa una citazione. Perché io DAVVERO avrei voluto parlare de La Cicala (di cui non ricordo NULLA a dire il vero: avrei parlato di Clio Goldsmith e Barbara De Rossi che fanno il bagno nude sotto una cascata).
Adesso sono spiazzato. Che l’unica cosa che mi è venuta in mente è un altro film di Lattuada, Così come sei, ma non c’entra molto. Nel senso che quello è un film basato più sul rapporto torbido fra il protagonista e un’adolescente che potrebbe essere (proprio nel senso biologico, intendo) sua figlia. È vero però che il protagonista (Mastroianni) nel momento in cui teme che la ragazza (Nastassja Kinski) sia davvero sua figlia, tenta di evitarla. Tutto questo, però, culmina in una breve vacanza in cui Mastroianni getta via ogni scrupolo, travolto dalla devastante carica erotica della ragazza (sia chiaro: NESSUNA donna è stata più bella di Nastassja Kinski).
Ok. Bene. Potrei dire che i due, in quella breve vacanza, dimenticano i vincoli imposti dalla società, dimenticano le remore morali di un incesto (peraltro forse solo presunto) e si comportano da cicale. Sarebbe davvero una forzatura? [FB]

La Cicala è un nemico di Flash. Cicada, in realtà. Da qualche anno guardo la serie televisiva di Flash con mia figlia. Sostiene sia il suo “supereroe preferito”. Flash è uno di quei supereroi che con me non hanno mai attecchito (strano, dato che riesco ad avere fissazioni per oscuri personaggi in calzamaglia di secondo/terzo piano, da Man Thing a Cloak and Dagger a Howard il papero etc…): il suo universo – da telefilm – è un casino, un continuo intercalare di salti temporali in cui la logica prende parecchie pause e gli sceneggiatori un mucchio di caffè, suppongo. Pur avendo visto la serie e rileggendo la scheda wikipedia proprio ora, continuo a non ricordare niente, di questo Cicada, una macchia confusa nella memoria, un nome pronunciato tra sonno e veglia, nulla più. Ma Flash è il personaggio preferito di figlia. Capita che quando si poteva ancora uscire, addirittura dalla propria regione, uno dei miei ultimi viaggi sia stata una gita riparatrice con figlia. Ero stato a lungo in Iraq o in qualcun altro di quei posti dove vado io, e avevamo deciso di fare un viaggetto insieme di un paio di notti, in una città che le piacesse. Ci ritroviamo a Milano. Nel pomeriggio passiamo “per caso” (ehm) davanti alla fumetteria “SuperGulp” e – cavolo! – scopriamo che dopo qualche ora ci sarebbero stati Carmine Di Giandomenico e Alessandro Bilotta a presentare La Dottrina! Carmine Di Giandomenico! Il disegnatore di Flash! Incontriamo e beviamo cose (spritz e succhi di frutta, a naso) con Tito, Alessandro, Carmine, fino a inizio dediche ed ecco che figlia, con la sua inspiegabile agenda di Capitan Marvel (il film) da 15 euro appena comprata, va da Carmine Di Giandomenico e gli spiega – aveva otto anni eh – che Flash è il suo personaggio dei fumetti preferito. Due chiacchiere, amabilissime, con tutti, Carmine disegna, ci restituisce l’agenda di Capitan Marvel, ringraziamo, stringiamo mani ci diamo abbracci, salutiamo, guardiamo il disegno, il disegno del disegnatore italiano che per mesi e mesi e mesi ha disegnato Flash fino a fare identificare il personaggio con il suo segno. Guardiamo il disegno nel primo foglio dell’agenda di Capitan Marvel, il disegno del disegnatore di Flash alla bambina di otto anni che con il suo blocco in mano si è avvicinata al banco del disegnatore in dedica spiegandogli che Flash è il suo personaggio preferito ed ecco, insomma, le ha disegnato Batman. Batman. Quella sera figlia ha imparato che, che tu sia formica o cicala, l’universo ha poi le sue coordinate caotiche per il quale incontri il disegnatore di Flash – che è il tuo personaggio preferito – e te ne esci con un Batman disegnato su una agenda da 15 euro di Capitan Marvel. Grazie Carmine, per l’occasione di affrontare delle chiacchiere serissime con figlia durante la nostra gita che mi hai, inconsapevolmente, fornito. E per quel bellissimo Batman! [CC]

Quando, nel giugno del 1966, un supplemento del “Linus” di Giovanni Gandini pubblica, per la prima volta in Italia, I Fantastici Quattro, i supereroi, in questo paese, sono ancora prevalentemente quelli DC pubblicati da Mondadori. Batman è Batman e Superman invece si chiama, va’ a sapere il perché, Nembo Kid. I Fantastici Quattro, disegnati dal sublime Jack Kirby, appaiono sulle pagine di un supplemento estivo di “Linus” come un corpo alieno, distantissimo da tutto gli altri fumetti pubblicati con continuità. È chiaro che le storie di quei quattro eroi sono uno di quei fumetti intercettati dalla curiosità della redazione e presentati ai lettori solo occasionalmente. È importante ricordare che il progetto di “Linus” è nato nella libreria “Milano Libri”; al numero 2 di via Verdi, dietro La Scala. Una frequentatrice assidua di quella stessa libreria, Rosellina Archinto, fonderà una casa editrice specificamente dedicata ai libri illustrati, Emme edizioni, e pubblicherà quasi tutti i libri per bambini di Leo Lionni (e di Maurice Sendak, Tomi Ungerer, Eric Carle, Mordillo, Iela Mari…). Ma non divaghiamo, ché questo strano anello è già abbastanza strano, e torniamo al punto. La direzione di “Linus” di Gandini dura meno di sette anni. A quel punto la forma di quella rivista si è standardizzata e inizia ad andare stretta al suo animo da cicala. Vende la casa editrice e la testata a Rizzoli e si dedica ad altro. Ci raccontiamo spesso “Linus” e le cose che sono successe al suo interno perché quella rivista è stata fondamentale e rivoluzionaria. Ma ci sono altri due progetti, strani alieni inclassificabili, di Gandini che meriterebbero la nostra attenzione: “Il Giornalone” (quattro numeri, tra il 1973 e il 1974) e “Uffa” (una sola uscita, nel 1981). In quelle poche pagine, si sente chiaramente il frinire di Gandini e dei suoi amici. [PI]

Questa grollanello si compone di:

  • Leo Lionni, Federico, Babalibri, 2012;
  • Catharina Valckx e Nicolas Hubesch, Luigi: Alcuni giorni molto interessanti della mia vita, Babalibri, 2016;
  • La cicala, regia di Alberto Lattuada, 1980
  • Starship Troopers, il lbro di Robert A. Heinlein, Mondadori, 1962, e il film diretto da Paul Verhoeven nel 1997;
  • Così come sei, regia di Alberto Lattuada, 1978;
  • The Flash, il fumetto, quando lo disegnava Carmine Di Giandomenico, e la serie tv, interpretata da Grant Gustin;

Nella nostra grolla c’era, chiaramente, del caffè alla valdostana. Prepararlo è semplice: caffè lungo bollente, grappa, genepì, cognac, zucchero e scorza di limone. Siccome siamo coscienziosi, ognuno si è preparato la propria grolla da otto nella solitudine della propria abitazione e l’ha sorseggiata (da tutti i becchi disponibili) durante un’epocale sbronza su Zoom.

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(Quasi)