Quando ho disegnato l’illustrazione era il 21 febbraio 2020.
Lo so perché a penna blu – una bic senza il tappo, trovata chissà dove, quando appropriarsi sovrappensiero di una penna non era un atto di pensieri accavallati tipo: i batteri che ci saranno sopra di chi l’ha presa in mano prima di me o la devo assolutamente igienizzare con l’alcool -, dietro il disegno insieme alla firma ho scritto la data.
Ho iniziato quello stesso febbraio a scrivere il luogo e la data col mio nome vicino, per testimonianza, a me stessa o ad altri che erediteranno l’originale, perché un anno fa non sapevo se io o i miei cari ci saremmo stati ancora.
Tutti i TG nazionali avevano aperto con la notizia del primo caso di coronavirus (lo chiamavamo ancora così, in modo generico) a Codogno.
Iniziava a esserci la corsa alle mascherine e non potevamo immaginare lo tsunami che di lì a poco si sarebbe infranto, travolgendolo, sul sistema sanitario italico, di pronto soccorso alle terapie intensive all’abbandono a loro stessi dei medici di famiglia.
Era quella settimana di limbo tra le prime raccomandazioni e il primo annuncio di lockdown totale, e, di fatto, l’inizio dell’incubo.
La settimana nella quale ok, i ristoranti aperti ma tra i tavoli almeno un metro di distanza, ok mascherine ma lavarsi le mani, la distanza fisica erroneamente o forse no chiamata fin da subito distanza sociale non era ancora stata certificata perché mancava la conferma all’informazione che bastava un metro tra le persone, poi diventato uno e mezzo finanche due ed ecco perché i miei personaggi sono ritratti ancora vicini, retaggio di una vita che farà fatica a tornare naturalmente o almeno senza il pensiero che “sono troppo vicina”.
Un Wunderkammer simbolico, un anno che molti di noi vogliono dimenticare. O chi no.
A chi non c’è più, a chi è rimasto e si è trovato a piangere i propri cari, a chi pensa che il vaccino risolva tutto, a chi vuole tornare a vivere, a chi vorrebbe morire, a chi ha guardato per sbaglio o curiosità i manifesti funebri e ci ha trovato, per la prima volta in vita sua, più persone che conosceva che estranei.
A noi che ci siamo, che non potremmo raccontarlo con la distanza giusta (saranno forse i nostri figli o i nipoti a farlo meglio di noi perché loro avranno le conseguenze peggiori di ciò che viviamo oggi), ma che anche solo con l’arte bistrattata del fumetto si può però testimoniare.
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.