Cantami gli inni delle squadre

Mabel Morri | Play du jour |

All’inizio della carriera alternavo spesso storie del quotidiano con il fantastico, un fantastico di magia e mondi paralleli, niente che mi proiettasse nell’olimpo delle storie indimenticabili diciamo, se il mondo fantastico di cui sopra si ispirava a capolavori come L’Eternauta o anche la dylandogghiana Caccia alle streghe. Ma ero anche giovane, snob e ambiziosa, cosa che ho imparato a frantumare solo con i capelli bianchi. Per altro mi è andata anche bene: i primi capelli bianchi mi sono spuntati a 19 anni.
Per quanto sia di animo malinconico, il concetto di tornare indietro nel tempo e del che cosa cambieresti (due film su tutti che hanno colpito il mio immaginario: La vita è meravigliosa di Frank Capra e Peggy Sue si è sposata di Francis Ford Coppola) mi appartiene poco, perché sono anche molto fatalista.
Il calice di rosso marche ha un suo spazio predefinito nel suo alone incrostato del mio tavolo da disegno: a fianco, le ultime illustrazioni che sto colorando. Non tornerei mai indietro, e se sì, sognando, per cose tipo rivedere giovani i miei genitori quando ci lottavo per inutilità ribelli che vivono tutti gli adolescenti, riveder giocare van Basten o, come adesso, tornare indietro per perdermi nelle note dei CSI e nel loro unplugged In quiete e, ricordandomi i fuochi d’artificio dell’emozione della prima volta che li ho ascoltati, rivivere quelle stesse emozioni, invidiandomi per essere stata ragazza quando il loro ascolto era la novità musicale.

Sullo schermo della televisione Sanremo.
Gio Evan, Fedez, i pur bravi Dimartino e Colapesce, la notevole Madame, La rappresentante di lista, i Maneskin, insomma noi al massimo alla peggio, Lambada e Asereje a parte, avevamo le Spice Girls. Tuttavia è ingiusto, i miei avevano i Beatles e mio padre si concedeva il lusso di dirmi che a lui i Doors non piacevano, come io potevo dire che non mi piacevano le All Saints. Bla bla bla.
I CSI vengono cantati nella serata dei duetti e delle cover da Max Gazzè e Daniele Silvestri, due della mia generazione: in una foto nei camerini, seduti su un divano, sorridono ritratti in un selfie con un altro che con la sua musica ieri come oggi mi ha incantato, Samuele Bersani.

Tornare indietro come quando si andava allo stadio.
In questa settimana canora, oltre al ricordo di com’era bello andare allo stadio, c’è il ricordo dell’effetto “esperienza stadio”, cioè ciò che si vive mentre si cerca il proprio seggiolino, ci si organizza col cuscinetto o col mio solito giornale sulla seduta, dove appoggio la birra?, degli annunci delle formazione e poi: l’inno della squadra di casa.
Insieme alle informazioni utili per i tifosi avversari sull’orario di uscita e il settore dal quale farlo, insieme alla Lancia Thema targata TS 317897 parcheggiata in zona rimozione, insieme all’elenco delle formazioni, musiche alla Eiffel 65 si mischiano con l’inno ufficiale.

Al Comunale di Chiavari è una soleggiata domenica.
Fila B posto 63, tribuna Distinti, 8 euro, giocano Virtus Entella – Pro Patria.
È il 6 aprile 2014.
Il campionato è quello della Lega Pro e la Virtus Entella si gioca i preziosi punti per la prima storica promozione in Serie B che, anche grazie all’intramontabile Adrian Ricchiuti, accadrà a fine stagione.
A un certo punto, seduta, emozionata per la nuova esperienza e intenta a fotografare mentalmente ogni possibile dettaglio, dagli altoparlanti parte una musica che assomiglia a un accozzaglia di note a metà tra musica da balera e musica leggera anni ‘70. Una schitarrata dopo un coro iniziale di oh oh oh e poi due voci che si alternano e cantano:

«Seduto sul bordo del fiume
riascolto una voce nel cuore
aveva vent’anni di cori e di feste
il mio sogno biancoceleste
Quel coro è lo stesso e si sente (EN – TEL – LAA, coro da stadio)
lo stadio è già pieno di gente (EN – TEL – LAA)
non farli aspettare
c’è un posto con me e canta più forte perché
Entellaaaa un grido, che esplode dentro di noi
Un solo inno, che non tradisci mai
Entella un coro, che unisce una città
Un solo coro: Forza Entellaaaa!»

E schitarrata con l’oh oh oh e altra strofa.
Ovviamente ne sono rapita.
L’autore è un cantante “levantino già di fama nazionale” scrive Genova 24It che di nome fa Nicolò Pagliettini e il suo cd nelle cui tracce c’è questo nuovo inno biancoceleste, scrive il sito ligure, è promosso dalla società calcistica Virtus Entella e l’unione italiana ciechi e ipovedenti.
La partita finisce 0 – 0, non lascia nella memoria grandi emozioni ma il coro EN – TEL – LAA echeggia ancora nello stadio vuoto del coronacene 2020.

Nell’onnipotenza berlusconiana del Milan degli Invincibili la notizia che i rossoneri avessero un nuovo inno realizzato in uno degli studi di Mediaset da compositori selezionatissimi e parolieri degni del miglior Mogol mi lasciò abbastanza perplessa. Ma ero tifosa, ero terribilmente giovane, la imparai a memoria e confesso che l’ho cantata a squarciagola allo stadio.
Va da sé che era il periodo nel quale Berlusconi fece realizzare anche l’inno del partito Forza Italia e infatti Milan Milan ha molto quelle sonorità, ma erano anche gli anni Novanta e provate voi a risentire la musica italiana del periodo.
Una giovane Mabel in pantaloni di velluto a coste e maglione a collo alto, radicale prima ancora di capirne il significato, sorrideva innocente cantando orgogliosa:

«Milan Milan solo con te
Milan Milan sempre con te
Camminiamo noi accanto ai nostri eroi [abbiate pietà, gli eroi erano Baresi, Maldini, Gullit, van Basten, ero più che mai giustificata a cantarla e a commuovermi]
Sopra un campo verde sotto un cielo blu
Conquistate voi una stella in più.»

Una sera del coronacene guardo una partita del Milan. Il telecronista da bordocampo dà le ultime informazioni più o meno importanti. Le luci si accendono e si spengono e una musica diversa viene sparata a tutto volume dagli altoparlanti di uno stadio senza pubblico.
Controllo: Emis Killa e Saturnino hanno rifatto l’inno #Rossoneri.
Vado subito su Youtube per guardare il video: metà delle partite storiche che appaiono mi fanno sentire vecchia come le immagini sgranate da novecento, non solo ero già nata ma ero proprio allo stadio, Emis Killa rappa mentre Saturnino vestito con un chiodo rosso colpisce concentrato un tamburo. Ho lo sguardo perso nel vuoto prima di riprendermi per il fischio iniziale.

Un giorno l’amico Vanni viene in spiaggia con i pantaloncini della Fiorentina. Glieli invidio subito e gli chiedo dove li abbia trovati. Come chiunque non abbia passioni particolari per i cimeli o a chi va bene che un pantaloncino svolga la sua funzione primaria, cioè di pantaloncino e quindi comodo e fresco, mi racconta chiudendosi nelle spalle di una cesta di articoli sportivi. “Articoli sportivi” dice, mi liquida così, con un generico, fasullo, frigido “articoli sportivi”.
L’Artemio Franchi di Firenze incomprensibilmente per la mia esperienza diventa uno degli stadi che frequento di più, eppure la Toscana, vino e ciclismo a parte, non mi rapisce più di tanto: mi piace, ma non ne sono innamorata.
Per cui all’inizio delle partite viola parte l’inno: una marcia da anni della guerra, da dopoguerra in realtà, molto Quartetto Cetra e quell’Oh Fiorentina lallaa lallaaa pompato da “Quelli che il calcio” a ogni rete dei gigliati.
Lorenzo Baglioni è un matematico con la passione per la musica e i testi pieni di parole a comporre canzoni da canticchiare sovrappensiero mentre si cucina. Ha scritto e cantato Il congiuntivo che, nell’Italia dell’uno vale uno e le competenze possono anche non esserci in quanto un politico divenuto ministro riesce a sbagliare più congiuntivi rispetto ai rigori calciati da Ibrahimovic, ha decisamente lasciato un notevole ricordo.
Ha cantato anche il nuovo inno 90 anni viola nel cui video, in camicia bianca sbottonata e chitarra classica al collo, in un soleggiato Franchi sciorina come il miglior cantastorie la storia cantata della Fiorentina.

Secolo nuovo, inni nuovi, nemmeno la musica viene risparmiata dal cambiamento.

Alzo lo sguardo.
Sanremo.
Gesù.
E allora la metto a palla.
Muto Sanremo.
Canto.
Canto la mia giovinezza e la mia ribellione, e i miei sbagli.

«Conosco le abitudini
so i prezzi
e non voglio comperare né essere comprato
Attratto fortemente attratto
civilizzato sì civilizzato
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Comodo ma come dire poca soddisfazione
Soddisfazione Signore
Uno sguardo più puro sul mondo che la civiltà è ora, pagando
Decidi: cosa come quando.»

Il calice di rosso marche nel frattempo è finito.

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