Mille anni fa, mentre il mio amico Zampa se la spassava in Corsica senza di me che passavo l’estate a lavorare. E allora, in un momento di invidia e libertà ho deciso utopicamente di essere cicala e non fare un cazzo per due giorni di fila. Questa più o meno è la cronaca di quel ritmolento che tenni sul mio blog di allora.
Certo. Tanto che tu ti spacciavi di ostriche dell’Etang de Diana annegate nello sciaccarello, durante il tuo giro in Corsica con la vespa, io stavo a lavorare, persino di sabato. Cosa che non mi piace proprio: lavorare di sabato. Comunque dovevo farlo e allora sabato ero lì, a Sondrio, a sbrigare pratiche. Ne approfittavo per comprare la mia grappa al mirtillo preferita.
Il mio problema è che quando mi rompo i coglioni poi faccio cose di cui anche un po’ mi pento. Quindi sabato verso il tardo pomeriggio finito il travaglio usato, invece di tornare a Milano, la cosa più sensata mi sembrava andare verso Zurigo (perché ogni tanto val la pena di andarci lì); allora guido verso Tirano, faccio il passo del Bernina e mi fermo a Chur per bere una birra e passare la notte prima di guidare fino a Zurigo.
Solo che poi a Zurigo, una volta che hai carezzato la pecora di Henry Moore, visitato per la terza volta il Johann Jacobs Museum, pranzato al Coopi, ecco anche a Zurigo non sai più cosa fare. Sali in macchina e guidare fino a Basel è una sciocchezza.
Bene. Adesso, sempre che ti importasse, sai che ci facevo domenica pomeriggio a Basilea. Facevo il bagno nel Reno e passeggiavo in utopia, e no, non sto parlando per metafore, caro mio.
A Basilea Erasmo ci ha scritto l’Elogio della Follia, Theodor Herzl ci fonda il sionismo, Albert Hofmann ci ha sintetizzato per caso l’acido lisergico, e Jean Tinguely ha maturato a scuola dall’anarchico Heiner Koechlin le sue idee sulla scultura. Ci sarà pure un motivo. Io credo che sia per via del fatto che a Basilea tutti fanno il bagno nel Reno.
Sotto la fontana di Tinguely c’è uno splendido baretto con i tavolini immersi nel verde, dove fanno il miglior caffè di tutta la Confederazione Elvetica (sì anche meglio di quello del Cafè Schober di Zurigo); c’è anche lì di fianco una bella libreria di fumetti dove, che questa è terra di confine, trovi volumi in francioso e in germanico, ma è domenica e qui non hanno menate di venderti 7/24 roba che non ti servirebbe, a dirla tutta, nemmeno mai, quindi la libreria è chiusa. Per togliermi il malumore vado a visitare il museo Tinguely. Giuro: le opere di Jean Tinguely sono una cosa divertentissima. Monumentali e folli. E in più funzionano. Tutte. Schiacci un pedale rosso e questi mostri meccanici si mettono in moto, sbalordendoti.
La mia preferita è la scultura passeggiata che si chiama Grosse metamaxi-maxi utopia. Un immenso intrico di scale scalette tubi bielle e pulegge e lampadine e incredibili marchingegni nella quale puoi camminarci dentro, mentre i meccanismi in azione cambiano continuamente la struttura della macchina. Una metafora, nemmeno tanto, della narrazione.
Uno spasso.
Vedi che non ti raccontavo balle quando ti dicevo che ho camminato in utopia. Poi per capirla meglio, l’utopia o Basilea questo non so dirtelo, ho fatto il bagno nel Reno. Venti e rotti anni fa avevo disceso, credendomi Jean capitano dell’Atalante, il Reno su una chiatta da Amsterdam a Basilea, senza mai immergerci nemmeno un piede. Tradizione domenicale degli abitanti di Basel invece è farci il bagno nel Reno. Partono da una bella spiaggetta proprio dietro il museo Tinguely, alla fine della Solitude Promenade, mettono tutti i vestiti dentro una borsa arancione gonfiabile, che usano come galleggiante, entrano nel fiume chi nudo e chi in costume e si lasciano trasportare dalla corrente fin dove gli aggrada. Ero lì, potevo esimermene? Scusa, compro a un chiosco quella borsa arancione chiamata Wickelfisch (venti franchi, la malora!), la riempio e vado.
Uno spasso.
Se ti capita, provalo. Capirai che la corrente del fiume che ti porta, nudo, un po’ dove cazzo le pare con lo sforzo che devi fare per dare una direzione alla deriva, questo andare nemmeno importa dove o perché, costituiscono senso già di per sé. Quasi come una storia. Il resto sono tutte cazzate.
Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.