Ancora chiusi in casa, ci ritroviamo sobri a parlare di un libro, guardandoci attraverso lo schermo. Se fosse stata una serata di quelle di quando esisteva ancora la normalità, avremmo avuto una copia del volume incriminato sul tavolo con la copertina unta di formaggio e salumi. E gli eventuali eccessi nel dialogo sarebbero stati smorzati dal vino. Invece siamo qui, ognuno sulla sua poltrona, ognuno con la sua copia del libro, ognuno con il suo bicchiere e il suo vino, a chiacchierare su Zoom.
Il libro di cui parliamo è Bagatelle per un Alph-art, il primo dei “Quaderni di QUASI”. Guardiamo la copertina di Mabel Morri, la grafica di Alberto Bonanni, i disegni regalatici da Onofrio Catacchio e Alessio Spataro e non riusciamo a nascondere la soddisfazione. Poi gongoliamo per un oggetto nato per gioco che, alla fine, è molto denso e ha sviluppato una tenuta strutturale che ci stupisce. Un pamphlet da tenere nella cassetta degli attrezzi del critico.
Paolo: Come cominciamo? Non possiamo mica metterci a raccontare, per l’ennesima volta che ci siamo sbronzati e abbiamo deciso di fare “la rivista che non legge nessuno”, un oggetto cartaceo potenzialmente senza alcun pubblico, e poi ci sono piombati addosso la pandemia e un sacco di tempo libero e abbiamo deciso di fare il sito.
Boris: No, proprio non possiamo. Mi sto annoiando a sentirtelo dire come se fosse il riassunto delle puntate precedenti di una serie con cui fai binge watching. Ed è meglio se non diciamo che non avevamo la più pallida idea di cosa metterci dentro quel sito e che abbiamo iniziato a farlo senza alcuna programmazione.
P: Anche perché non è vero, caro il mio duro inamovibile. Ne stavamo parlando da vent’anni.
B: Ma se non ci rivolgevamo la parola da almeno due anni. Quasi.
P: È difficile sopportarti sei scontroso e saccente. Riesci a far incazzare anche un uomo pacificato e paziente come me.
B: “Pacificato e paziente” è esattamente la coppia di aggettivi che mi viene in mente quando penso a te… Comunque… sai che hai ragione? L’indice di QUASI si è composto da solo. Per capire quale doveva essere la struttura delle rubriche è bastato dirci dei titoli e, nella maggior parte dei casi, erano parole che innescavano ragionamenti che abbiamo fatto insieme per un sacco di tempo.
P: Di solito bisticciandoci…
B: Bisticchè…?
P. Che noia! Litigandoci di brutto. Ricordo ancora quella volta che hai lanciato il volume con tutte le opere di Carmelo Bene in mezzo all’osteria, imprecando. Hai quasi colpito una signora.
B: Quante volte ancora me lo dovrai rinfacciare?
P: Era solo per dire che io, invece, quella volta, come sempre, ero pacificato e paziente. Comunque mi stavi dando ragione. Mi piace quando succede. Spiega un po’ perché la prima rubrica che abbiamo deciso di inserire il lunedì mattina è stata proprio Bagatelle per un Alph-art.
B: Come perché!? Perché il lunedì è una giornata di merda! Cioè… non è che possiamo fargliene una colpa se viene dopo la domenica, però è un fatto: se ne sta lì, dopo il giorno di festa, con quella micidiale minaccia di altri cinque giorni di noia e fatica lavorativa, e allora serviva qualcosa che alleggerisse quella minaccia, che comportasse poca fatica e un po’ di divertimento. Delle cose da poco. Anzi, meglio, da nulla. Cosa c’è di più leggero, facile e scherzoso di una bagatella?
Adesso… io non so se per chi le legge sono divertenti e defatiganti, ma per noi che le abbiamo scritte mi sembra che lo siano state. Un bell’esorcismo per propiziarci la settimana. Cioè, a me scrivere una bagatella, per cominciare la settimana metteva di buonumore, ma soprattutto divertiva vedere come se la cavava quello di noi a cui toccava riprendere, in qualche modo, il tema su cui era girata la bagatella precedente. Riprenderlo ma soprattutto variarlo per ripassare il testimone la settimana dopo. Tutto in modo molto ciclico. D’altra parte anche Beethoven le sue Kleinigkeiten – vedi come le chiamano i tedeschi le bagatelle? Appunto, sciocchezze, piccole cose – le considerava cicliche e divertenti. Non sei d’accordo?
P: Sapessi di cosa stai parlando, probabilmente sarei d’accordo. Che poi io Beethoven manco l’ho mai visto. Mi sembrava un film per ragazzetti. Col cagnone…
B: Sei un cretino!
P: Sì. È stato un bel modo per riprendere confidenza con te, dopo un paio di anni di tensioni inespresse. Avevamo discusso così tanto di storia e storie, di etica e narrazioni, di politica e fumetti, litigando sempre e rifiutando di trovare un punto di equilibrio. Mi pare che pur avendo un sistema di ideali e di strumenti abbastanza vicino, noi si litighi spesso sulle motivazioni, sui metodi e sul significato. Lo abbiamo fatto per vent’anni e continuiamo a farlo adesso. Il fatto che le nostre liti avessero spesso al centro il fumetto e non avessimo più uno spazio per rallentare e concentrarci sui punti di incastro di quelle differenze trasformava tutto in scazzi furibondi. E allora Bagatelle per un Alph-art è diventato il posto in cui mettere le nostre idee. Le abbiamo appoggiate le une accanto alle altre per vedere se si riusciva a incastrarle come fossero tasselli sul piano. Per vedere se ne emergeva una figura, un’idea di fumetto comune.
Abbiamo iniziato parlando di quello che ci stava succedendo in quei giorni, raccontando di pandemie e lockdown, e abbiamo trovato un modo per dire quali fumetti raccontavano – anche da lontano o metaforicamente – questa nostra condizione. È stato un bel modo per dire come ci sentivamo e sottolineare che i fumetti che leggiamo, tanto quelli seriali quanto quelli più facilmente riconducibili a un autore, sono uno strumento molto potente per capire il mondo.
Poi, un po’ alla volta, abbiamo iniziato a raccontare sempre un po’ più di noi e della nostra storia personale, per dire l’importanza del fumetto per una lettura etica e politica del mondo. E, per tutto il tempo, ho avuto paura che questa commistione tra memorie, storia e critica potesse tingersi di nostalgia. Cioè della cosa che più mi fa schifo del discorso che si sviluppa solitamente intorno al fumetto.
Tu come ti ci sei rapportato con il rischio della nostalgia?
B: Non so… la nostalgia come malinconico senso di perdita è un sentimento che non mi appartiene. In fondo sono un illuminista e per me la cultura è una cosa viva, non ha senso ridurla a ricordo, a rimpianto. Certo, la maggior parte dei discorsi sui fumetti in Italia è fatto o da collezionisti (e per quanto mi riguarda il collezionismo, di tutte le perversioni capitaliste, è la più oscena) o da anziani affetti da nostalgia per un’età dell’oro mai esistita. Declinata in questa accezione, quella, come l’ha definita Simon Reynolds, della “retromania” è un atteggiamento molto pericoloso, che conduce a considerare importanti, cose assolutamente trascurabili. Addirittura, quando da questa “retromania” sono afflitti i produttori di oggetti culturali, come i fumetti – penso ad esempio al più grande editore di fumetti popolari italiani – si finisce nella sclerotizzazione di formule narrative che impediscono a quel tipo di fumetto di evolversi, quindi di trovare nuovi mercati.
Ma l’operazione critica che abbiamo sviluppato attraverso Le Bagatelle ha tutto un altro sapore. Quella commistione che dici, tra memoria e storia, a me è parsa come una ricerca divertita e libera da accademismi, di quei nessi funzionali tra la realtà – contemporanea – e le opere – storicizzate – che dovrebbero essere sempre il campo di indagine della critica. In questo senso il quaderno mi sembra molto riuscito.
P: Sono molto contento che quel volumetto quadrotto sia il primo dei “Quaderni di QUASI”. Mi sembra un buon modo per aprire una collana. Presenta un progetto, racconta delle storie, è pieno di idee, getta perfino delle ipotesi di metodo della critica. Ha una copertina bellissima di Mabel che gioca con il contenuto del volume. E poi ha la grafica bellissima di Alberto, con cui è sempre divertentissimo lavorare, perché, alla fine, se ne frega dei vincoli che gli poniamo e fa di testa sua, difendendo la sua posizione e diventando, in questo modo, il portatore di una terza idea di fumetto che si insinua tra le due che ci rimpalliamo.
Sono un uomo del Novecento e sogno un’editoria vera – quella con i soldi – in cui, a tenere insieme il marchio le collane e le testate, ci sia il progetto. Mi pare che QUASI, i suoi quaderni e il sito – tutta roba che, sicuramente, non è editoria vera – siano il frutto di un progetto chiaro ed evidente. Quelle due, anzi tre, idee di fumetto litigano da vent’anni e diventano accoglienti per metodi, approcci, pensieri diversi e, allo stesso tempo, respingono individui che portano altre idee di fumetto (a volte non ne portano affatto) che fuggono, con disgusto, per la nostra antipatia (la tua, soprattutto).
E allora QUASI diventa questa cosa espressa così bene da questo primo quaderno. Un posto dell’alta fantasia dentro il quale può piovere e in cui, di conseguenza, amici carissimi che frequentiamo da anni – o da decenni – e altri nuovissimi che non abbiamo mai incontrato di persona – ma con cui siamo entrati immediatamente in sintonia – arrivano per bagnarsi e giocare.
Questa cosa del gioco è proprio quello che abbiamo fatto con decenni di litigi e dentro questo quaderno. Mabel l’ha pure messa in copertina.
B: Esatto è un gioco… e adesso mi mordo la lingua prima che mi parta il pippone da maestrino della minchia su Huizinga, su quello che da lui hanno preso i situazionisti e tutte quelle cose lì… diciamo che fare QUASI – e, nel farlo, scrivere le Bagatelle – è stato un gioco, e che definirlo come tale comporta l’assunzione di responsabilità di tutte le profonde implicazioni che il gioco comporta.
Abbiamo le regole, come è previsto da ogni gioco che si rispetti, e come per ogni gioco le infrangiamo e le cambiamo a ogni partita, giocando… Questa cosa mi sembra che nelle Bagatelle sia evidentissima: cambiamo registro almeno tre volte.
Ecco. In questo senso non sono d’accordo con te quando dici che quello che facciamo non è editoria vera. Cioè, se per editoria vera intendiamo quella che sforna libri come fossero saponette solo per fare fatturato, hai ragione, il nostro “lavoro” non è editoria vera, quella fatta da seriosi direttori editoriali che passano il tempo a leggere bilanci invece delle fanzine dove scovare talenti. Ma se invece consideriamo che è il gioco, e non l’economia, il fondamento strutturale dell’immaginario di ogni società, e che il fondamento del gioco è l’assoluta gratuità, beh… cazzo! Se quello che stiamo facendo non è vera editoria, nulla lo è.
Certo, gli impiegatucci asburgici della critica, tutti impregnati di date e bibliografie, probabilmente non vedono l’utilità di quello che facciamo, ma ci trovano antipatici non perché lo siamo (e, nel caso, tu più di me) ma perché non riescono a comprendere la gioia di quel cazzeggio che in fondo è l’unico vero esercizio critico esercitabile nella modernità.
Le compagne e i compagni di viaggio che cerchiamo sono gente che sa giocare, che gode di assistere o di realizzare – per restare nella metafora del biliardo con cui chiudiamo il quaderno – al piazzamento di una “ottavina reale” che ti mette in difficoltà e chiuda – momentaneamente, ché il discorso critico non è mai definitivo – la partita.
Tu sai dirmi dove c’è più verità che in un tiro simile?
P: Quello che dici mi chiarisce il motivo per cui con le Pantomime, che sono il seguito ideale delle Bagatelle, non riusciamo a trovare lo stesso equilibrio. Da un lato abbiamo perso il movente principale: siamo tornati fratelli (ed è tutto merito mio e della mia straordinaria capacità di mediare, vista la tua incontenibile antipatia). Dall’altro, il dominio del cazzeggio si è esteso. Quando abbiamo iniziato a pensare QUASI dovevamo ritrovare l’affetto, la complicità, la gioia del fare le cose insieme. Le Bagatelle ci hanno permesso di riconquistare il ritmo del dialogo e di fare una sorta di riassunto del processo che ci ha condotto a essere quello che siamo, almeno in termini di pensiero critico. Mentre facevamo Le Bagatelle, però ci siamo immersi nell’impresa folle di costruire uno spazio critico che ospitasse, un paio di volte al giorno, parole e immagini che valessero l’investimento di tempo che si richiede a un lettore (e che noi non chiediamo a nessuno). E facendolo abbiamo trovato le compagne e i compagni con cui fare questo viaggio. Niente contratti, niente porte da aprire e chiudere con una chiave, e regole del gioco perennemente in discussione.
E adesso QUASI, nella sua interezza e in tutte le sue forme (sito, rivista quaderni, ma anche chiacchiere di redazione) è uno spazio di dialogo in cui tutti gli articoli sviluppano un discorso unitario, armonico o conflittuale, che è in divenire. Hai notato che gli amici e le amiche che decidono di non partecipare (o di smettere di partecipare) adducono ragioni ideologiche?
B: Sì, l’ho notato. E significa solo una cosa, che a me – tra l’altro – piace moltissimo: che un dialogo come quello che stiamo facendo sull’immaginario e su come funziona, divertendoci, cazzeggiando e coinvolgendo e… soprattutto, in totale gratuità, è un atto profondamente politico. Nell’estensione più ampia e più nobile del suo significato. Per come la vedo io uno dei pochi attualmente praticabili e che può dare qualche risultato.
Se sei arrivat* a leggere fino alla fine, senza provare noia, fastidio, repulsione ideologica, e hai invece trovato tra le nostre parole sfilacciate un sentiero divertente o, almeno, curioso, devi assolutamente procurarti Bagatelle per un Alph-art e leggerlo d’un fiato.
Se invece ti sei annoiat*, infastidit* e hai provato moti di repulsa ideologica, beh, allora dovresti leggerlo a maggior ragione. Scopriresti quanto ci hai azzeccato nel trovarci antipatici e supponenti, e avresti un argomento in più a sostegno di quello che pensi di noi.
In ogni caso torna qui a dircelo. Appena sarà possibile, ti offriamo un bicchiere.