(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)
Ah! Ma io non parlo. Non dico nulla. Silenzioso e cupo come un cipresso sul viale che costeggia le lapidi. Voglio che questi due stronzi capiscano quanto sono incazzato. Adesso sono allegri e sereni e stanno saccheggiando la cucina. La chiamano colazione. Se ingerissi un decimo dei carboidrati che si stanno scofanando, mi gonfierei come un otre e rilascerei miasmi mefitici per ore. Loro… tranquilli: non hanno paura di niente. Michel è uscito presto, tutto allegro, ed è tornato con croissant appena sfornati per tutti. Quando Michela è entrata in cucina, uscendo dalla stanza di Michel, indossava una sua maglietta. Solo quella. Nient’altro. Stronzo! Le ha dato quella con sopra scritto “Social distancing” che gli ho regalato io. Quella che dovrebbe essere la mia migliore amica, ma che non ha avuto nessun problema a infilarsi la maglietta e tutto il resto del mio uomo, esibiva il suo occhio nero con la noncuranza data dall’abitudine. Un’interminabile sfilza di bastardi violenti nella sua vita le ha insegnato a portare i lividi e le fasciature con disinvoltura. Quasi eleganza. Non ne vuole parlare, ma sono convinto che tutti quegli incidenti domestici siano il segno di una vita di soprusi. La pedagogia dell’abuso, però, non le ha spento la gioia di vivere. Cinguetta tutta allegra e inconsapevole del fatto che pure io potrei saltarle addosso e riempirla di botte. Le sue tette che ballonzolano allegre sotto una scritta che, fino a poche ore fa, mi pareva divertente sono un invito a insegnarle il decoro. Stronza!
Michel sorride sornione, le accarezza la schiena, dice che dobbiamo prepararci e conquista il bagno. Sembra proprio che gli eventi del giorno prima non lo turbino affatto. Resto seduto al mio posto, con la tazza di tè tra le mani, e fisso Michela, silenzioso. Lei sorride, giuliva, e, dopo avermi chiesto il permesso, ingurgita anche il mezzo croissant che ho lasciato nel piatto davanti a me. Un ulteriore sguardo al coltello da colazione mi convince che non riuscirò mai a strapparle il cuore con quello.
Mentre i pensieri omicidi fanno mulinello nella mia testa, bussano forte alla porta. Sobbalzo. Faccio segno a Michela di stare ferma. Potrebbe essere l’esercito dell’arte, armato fino ai denti, che viene a fare un raid in casa nostra. Ci uccideranno tutti, come in un film d’azione americano, di quelli con Matt Damon. Mi aspetto una sventagliata di mitra dalla finestra e tutti sotto il tavolo. Oppure un candelotto fumogeno. O, chessò, un drappello ninja. Almeno un marine con la baionetta in pugno che compare al centro della stanza. Qualunque cosa, per dio!, questa attesa mi snerva.
Poi sento le grida alla porta e riconosco la voce.
Una voce sguaiata. È Paolo, il bastardo con cui vive Michela. La merda violenta che secondo me la pesta e che lei difende sempre. Dice che è un uomo così… sensibile.
A sentirlo gridare adesso, ho qualche dubbio.
La paura negli occhi di Michela mi dà assolute certezze.
Ugo apre appena la porta e guarda l’uomo. Cranio rasato per nascondere la calvizie; camicia fuori dai pantaloni per nascondere il ventre prominente; bracciali, orecchino e tatuaggi sulle braccia e sul collo per nascondere conformismo e idiozia. Strategie di mimetismo ampiamente migliorabili. Puzza di alcol, fumo e sudore. Sembra quasi che la reclusione domestica imposta dal coprifuoco non gli abbia recato alcun giovamento.
«Buon giorno, Paolo. Cosa posso fare per te?»
«So che è qui. Fammi entrare! La riporto a casa.»
«Non puoi entrare. C’è una pandemia in corso e tu non hai neanche la mascherina…»
L’uomo appoggia la mano alla porta, si sporge in avanti e fa sentire il suo peso.
«FROCIODIMMERDA! SO CHE QUELLA PUTTANA È QUI! SPOSTATI O TI SFONDO IL CULO!»
«Va’ a casa, scemo. È meglio per tutti.»
L’ubriaco spinge la porta e si lancia contro Ugo, «RICCHIONETIAMMAZZOPPORCODD…». La ginocchiata al bassoventre spegne la bestemmia in un rantolo. Paolo si accascia e Ugo gli monta sopra e inizia a tempestarlo di pugni che si abbattono come pioggia sulla testa, sul petto, sulle spalle. Fino a quando Michel non lo ferma. La sua presa è quasi un abbraccio.
«Mi dispiace interromperti, Ugo. Davvero. Ma, stamattina, abbiamo da fare. Il signore, adesso, va a casa sua a smaltire la sbronza. Magari, dopo, passiamo da lui e continuiamo questa piacevole discussione.»
Prende saldamente per il braccio Paolo, che si è anche pisciato addosso, e lo trascina sul pianerottolo. Mentre richiude la porta, non saluta l’ospite indesiderato.
Ecco. Ora sto meglio. Siamo tutti chiusi in casa da oltre un anno. E le limitazioni di movimento ci stanno spegnando un po’ alla volta. Non me lo dico, ma soffro molto. La noia e la tristezza mi spengono ogni giorno di più. Adesso mi sento bene come non succedeva da tempo. Mi sono seduto dietro e mi godo la rilassatezza di Michel e Michela. Chiacchierano allegri. La loro serenità riempie l’abitacolo e mi ricorda perché li amo. E sto bene. Così bene che non penso a cosa potrebbe succederci nella redazione di “Cash art”.