So cosa ti aspetti. Il gioco «ha detto» / «voleva dire». E siccome dal titolo hai capito che sto per parlare di Diego Fusaro un po’ sei incuriosito e un po’ deluso, perché quello di parafrasare il turbo-filosofo è un gioco sperimentato già da molti.
Lo confesso. Da quando ho iniziato la rubrica del Tradrittore, dove prendo frasi altrui (a volte mie) e le traduco e le raddrizzo, le traghetto e le tradisco, mi sono detto che prima o poi “quello” lo avrei messo nel mirino. Mi sono trattenuto per diverse riflessioni. La prima te l’ho detta: lo fanno un po’ tutti di “tradurlo”, proprio prendendo spunto dalle sue frasi. Cosa più che comprensibile. E, ti dirò, non è neanche la forma delle sue frasi, ampollosa e arcaica, ad accendere la miccia. Certo, il baroccheggiare stilistico incide, ma è nulla, almeno per quanto mi riguarda, di fronte all’aria autocompiacente che gli accende il volto appena declama un aforisma.
Insomma, la tentazione di prenderlo di mira è forte, ma lo fanno già in tanti. E questa è la prima considerazione ad avermi trattenuto fin qui. Poi c’è la seconda, forse più importante: è utile farlo? O gli si dà visibilità?
Questo potrebbe anche riguardarci poco. QUASI è “la rivista che non legge nessuno”. Nessun lettore, nessuna visibilità, checcazzo. E poi il nostro pubblica con Rizzoli, La Nave di Teseo, Bompiani… Mi sa che chiedersi se QUASI può fargli da cassa di risonanza rende ridicoli noi…
Inoltre, c’è già chi si è chiesto come e perché funziona il fenomeno-Fusaro, e pure come disinnescarlo. Tutto giusto. Che prenderlo in giro o meno, in effetti, non è più questione di merito e opportunità. Semmai, è questione di tempo. Nel senso: «ne vale ancora la pena? Non è già troppo tardi, per quello?»
Domanda complessa. Provo a rispondere.
La forma, nella comunicazione, è sostanza. Ci sono casi in cui è necessario (o ci sembra necessario, o ci sembra più bello e più efficace) esprimere un certo concetto in un certo modo. Ma se prendi una qualunque frase di Fusaro poi viene spontaneo chiedersi: era necessario? Gli sembrava più bello o più efficace?
Nel senso: lui riveste con una forma aulica le sue frasi. Lo fa volontariamente e per il semplice obbiettivo di farle suonare roboanti. Non lo fa per “eccesso di condimento”, ma perché recita una parte. Nell’espressione di “quel concetto” in “quel modo” non c’è alcuna utilità, se non l’affermazione fine a se stessa dell’esistenza, dietro la frase, del proprio personaggio. Un personaggio che, come la sua frase, ha un’apparenza roboante e un contenuto – gratta gratta – assai semplice. Ma una sua frase arzigogolata lucida la sua patina di intellettuale, la sua autorevolezza. Per i suoi seguaci lui non è “ermetico”, è “intenso”. Ed è intenso quanto più è ermetico. Il linguaggio non è mero ornamento del suo pensiero, ne è elemento costituente. Nel senso che, parafrasando un concetto che si esprime spesso a proposito dei cosiddetti populisti, Fusaro non parla alla pancia (la pancia è troppo semplice: non capisce ciò che lui dice). Fusaro non le parla, dicevo: la provoca, stimola la defecazione intellettuale in maniera indiretta e apparentemente non aggressiva.
Ma mi sa che mi so turbofusarizzando io e rischio di perderti. Dunque. Occhi sul monitor, please, riprendiamo il filo.
Dicevo che tutte queste considerazioni mi hanno convinto che il nostro NON andava sottoposto al mio consueto tradurre, tradire, raddrizzare. Ma a un’opera di decostruzione pop. Che ora ti spiego.
Eccoci al dunque, ossia…
… Ha detto (fonte Twitter, 20.01.2018):
Ora, invece del consueto «voleva dire», riprendo la frase. Cancello una parola sì e una no. Faccio eccezione solo per articoli e preposizioni, che altrimenti è un casino: per quelle vado a sentimento. Così pure farò, poi, per la punteggiatura e la metrica.
Viene fuori questo:
L’atomistica liberale mira a dissolvere la famiglia nella pluralità nomade e diasporica degli io irrelati o, in modo convergente, a ridefinirla come mero assemblaggio effimero e a tempo determinato, rispondente in via esclusiva al libero e illimitato desiderio.
Ora piglio tutte le parole in grassetto. Meglio, gioco ancora: le sistemo dall’ultima alla prima.
RISULTATO DELLA DECOSTRUZIONE POP:
«Desiderio libero, via rispondente, tempo effimero.
Mero ridefinirla, modo irrelati,
Diasporica pluralità.
La famiglia mira l’atomistica.»
Non lo vedi? Com’è tutto più chiaro, com’è tutto più sensato, come ha più valore questa frase fatta di nulla?
Vive una crisi di mezza età da quando era adolescente. Ora è giustificato. Ha letto un bel po’ di fumetti, meno di quanto sembra e meno di quanto vorrebbe. Ne ha pure scritti diversi, da Piazza Fontana a John Belushi passando per Carlo Giuliani (tutti per BeccoGiallo) e altri brevi, specie per il settimanale “La Lettura”. Dice sempre che scrive perché è l’unica cosa che sa fare decentemente. Gli altri pensano sia una battuta, ma lui è serio quando lo dice.