Eccoci qui. Dopo la festa, ci hanno lasciati da soli a ripulire la sala. Cestini e posacenere da svuotare, piatti e bicchieri da lavare, cartacce dappertutto, bisogna spazzare e passare lo straccio, c’è ancora una coppia estemporanea chiusa in una stanza e non abbiamo il coraggio di interrompere l’idillio. Va be’… Non c’è fretta. Ci sediamo un attimo e stappiamo una bottiglia sopravvissuta alla notte. Uno di noi due accende una sigaretta, anche se, da oltre un decennio, dice in giro di aver smesso di fumare. L’appoggia sul bordo del portacenere a consumarsi lentamente, mentre l’altro riempie i bicchieri. In silenzio guardiamo le spire di fumo salire verso il soffitto e beviamo lentamente.
Così è arrivato anche maggio – e ‘l gonfalon selvaggio – e, mentre ci riprendiamo dagli eccessi festivi, ci mettiamo a discutere di questioni amene. Come sempre succede parliamo delle cose che sono successe attorno a noi di recente. Discutiamo della storiella del commissario moderno. Già, proprio di quella striscia schifosa comparsa sul profilo Instagram di Gipi.
Amiamo molte delle storie a fumetti lunghe e articolate di Gipi e troviamo la quasi totalità delle sue strisce satiriche completamente innocue. Robette che non ci fanno ridere e non ci indignano. Quando le leggiamo, le dimentichiamo all’istante. Pur sforzandoci non ce ne ricordiamo neanche una. La striscia del commissario moderno, invece, la ricordiamo benissimo: ci ha fatto schifo (se non l’hai letta valla a cercare: non abbiamo voglia di riassumerla e non ti forniamo il link perché Gipi ha bloccato l’account di QUASI su Instagram – per ragioni che ignoriamo, giacché non abbiamo avuto alcuna interazione con lui – e ci pare giusto rispettare la sua scelta).
Che una vignetta o una striscia satiriche ci facciano schifo non è eccezionale. Succede abbastanza spesso e non ci stupisce quasi mai. La satira deve necessariamente fare schifo. Non è un suo diritto. È un suo dovere. Se non fa schifo a nessuno, non è satira. Non è necessario scomodare l’analisi del motto di spirito di Freud – e tutti i successivi raffinamenti – per sapere che le chiavi della comicità e del paradosso consentono di dire cose che, altrimenti, non si sarebbero potute dire. La satira, proprio come l’osceno secondo il giudice Learned Hand, indica «il punto critico nel compromesso tra candore e pudore, al quale la comunità sia pervenuta oggi, in questa nazione». Un autore che si tenesse bene alla larga da quel punto, produrrebbe necessariamente messaggi innocui.
Quando diciamo che una vignetta ci fa schifo, succede sempre che qualche povero di spirito ci dica: «Bravi! Difendete strenuamente la libertà di “Charlie” e poi attaccate questa vignetta perché non è dalla vostra stessa parte!» Di solito l’inane individuo usa il plurale anche quando si sta rivolgendo a uno solo di noi due, perché quel “voi” è il suo modo per squalificare le idee di un interlocutore annettendolo a una massa informe: voi, i mei nemici; voi, i non “io”.
Non abbiamo nessun desiderio censorio: siamo felici che ci siano cose che ci fanno schifo. Ci fanno sentire vivi. Ci interessa molto il motivo per cui un autore fa una schifezza. Ci interessa capire quale bersaglio si era dato e sta mancando. Lo ha spiegato molto bene, cinquant’anni fa, Jules Feiffer, un autore satirico che non ci ha mai lasciati indifferenti e che non ci ha mai scatenato schifo: «Noi tutti facciamo un lavoro che solo in superficie riflette il mondo in cui viviamo e, nel migliore dei casi, serve soltanto a fare il solletico, nel migliore dei casi manca il bersaglio». Spaventato da questo suo ostinarsi a mancare il bersaglio, Feiffer aggiungeva: «Il giullare di corte è stato sostituito dal sovversivo di corte e non c’è atteggiamento che chiunque possa assumere ovunque, il quale non finisca per agire, in ultima analisi, a favore del sistema. La satira non è più un commento al nostro modo di vivere. La satira è il nostro modo di vivere».
Per la sua striscia, Gipi ha scelto un bersaglio grossolano: il contesto mediatico costruito intorno alla violenza di genere, dice, può diventare un pericoloso terreno di coltura per giudizi sbagliati, guidati da un pregiudizio, un pensiero che si appresta a diventare unico («le donne vanno sempre credute»).
Una cazzata estemporanea, giocata male tanto per la scelta dei tempi (ha pubblicato la striscia mentre nell’aria c’erano ancora tracce dei miasmi mefitici del concerto di scoregge di Beppe Grillo in difesa del figlio Ciro) quanto per i riferimenti (pare bisognasse conoscere un articolo pubblicato sul “Foglio” per capire appieno la sua striscia). Una cazzata estemporanea che suscita schifo perché colpisce, senza consapevolezza e quindi senza compassione, le vittime della violenza. Che sono troppe e inascoltate
Mentre finiamo il vino e i nostri discorsi, la sigaretta si è consumata completamente nel portacenere. Nonostante le finestre aperte, nell’aria è rimasto l’odore di fumo.
“Fumo” è il tema degli articoli di QUASI che saranno pubblicati nel corso del mese di maggio.
Buon maggio (e ‘l gonfalon selvaggio).