#1
In La casa dorata di Samarcanda, Corto Maltese, appena entrato in Persia e rimasto a piedi con la macchina, racconta alle sue compagne di viaggio, Marianne e Venexiana Stevenson, la storia del Vecchio della Montagna che si dice avesse la sua fortezza da quelle parti:
«Aloadin aveva fatto chiudere fra due montagne una valle chiamata Alamut che trasformò in giardino bellissimo con palazzi stupendi con fontane di vino, latte e miele. C’erano fanciulle bellissime che suonavano e danzavano e conoscevano tutte le arti dell’amore. Orbene, nessuno poteva entrare in questa specie di paradiso, salvo coloro che egli intendeva fare suoi “hashishin”. Prendeva molti giovani del suo contado dai dodici ai venti anni che avessero il gusto per le armi e li conduceva nel giardino, dopo aver fatto loro bere e fumare certe erbe li lasciava con le più belle fanciulle che appagavano tutti i loro desideri in forma tale che mai quei giovani avrebbero lasciato tale luogo di loro volontà. Dopo di che il vecchio Aloadin rifaceva bere e fumare i giovani e li riportava fuori dalla valle e quelli quando si risvegliavano avrebbero fatto di tutto per riprendere il loro sogno, così entravano a far parte di una setta di criminali chiamati “assassini”, fumatori di hashish. E quando il “vecchio” voleva che gli si ammazzasse qualche principe, diceva a uno di quei giovani: va’ e uccidi costui e quando tornerai potrai rientrare nel nostro paradiso (…)»
Anche William Burroughs, probabilmente imboccato dall’amico Brion Gysin, passò gran parte della sua vita ossessionato dal Vecchio della Montagna. Lui non lo chiamava, come Pratt, Aloadin, bensì Hassan I Sabbah e in alcuni suoi libri (come i fondamentali È arrivato Ah Pook e La scrittura creativa) arriva persino a identificarsi con il Vecchio, parlando con la sua voce. Il maggior contributo di Burroughs in campo musicale, al di là della sua influenza indiretta, è certamente The Black Rider, l’opera di Robert Wilson musicata da Tom Waits, per la quale lo scrittore fornì, a detta dello stesso Waits, «un fiume di parole» cui poter attingere. La storia, per restare in tema di assassinii, ha delle inquitanti similitudini con la volta che Burroughs, giocando a Guglielmo Tell, sparò in fronte alla moglie, uccidendola.[FP]
#2
Tra le etimologie farlocche, quella che associa “assassino” al consumatore di hashish è una delle mie preferite. La prima canzone che mi viene in mente parla di un assassino lucidissimo e per nulla ottenebrato dai fumi. Ascanio Celestini la dedica spesso a Gaetano Bresci, tessitore, anarchico e uccisore di re. [PI]
#3
Che poi mica è vero che sono tutti capaci di consumare hashish. Per esempio, io non sono capace. Qualche volta mi capita di dire, allargando un sorriso, che non ho mai fatto uso di droghe. Questa mia affermazione viene interpretata come una battuta e scatena sempre ilarità. Le volte in cui ho provato a fumare o non sono stato capace di inalare il fumo o sono quasi morto ingozzato. Che poi mi piacerebbe anche sentire la testa leggera, il rilassamento. La voglia di stare insieme. [PI]
#4
Sono un pessimo spettatore di serie televisive. Dopo poche puntate perdo il ritmo e mi dimentico di volerle vedere. Quando qualcuno mi chiede se ho visto una serie, di solito la risposta è un secco no. Nei pochi casi nei quali so di cosa sta parlando il mio interlocutore, scopro di aver smesso di guardare le puntate molto prima del degrado, dell’abbruttimento, del salto dello squalo. Ho visto qualche puntata di Weeds. Non ricordo nulla. Solo la sigla iniziale. [PI]
#5
Me la ricordo così. Eravamo nel miglior negozio di dischi di tutti i navigli, sbronzi fradici a trattare l’acquisto di un cofanetto di 10 live di Tom Petty, e qualcuno deve aver detto: se mi fai almeno la metà te la porto via sta robaccia da pediluvio rock. Non ricordo chi era, ma aveva ragione. Tom Petty è noia e risciacquatura, ma se sei stonato il giusto, riesci persino ad apprezzarlo e a comprargli i dischi. Lui lo sa. Per questo ci ha dedicato una ballata a Maria. [BB]
#6
Londra è una città che con il fuoco il fumo e l’hashish ha un rapporto di ricorrente. In London Burning, uscita l’8 aprile del 1977 i Clash si divertono a ironizzare sul problema del traffico inglese, che costringeva gli automobilisti a restare in macchina fino a tarda sera, annoiandosi per ore lontano da casa. Niente grande incendio del 1666, dunque, e neanche gli incendi dei bombardamenti tedeschi durante la II Guerra mondiale. Magari l’automobilista Incastrato nel traffico sogna di farsi una canna. Inizialmente in questo pezzo a fumare sono i maroni degli automobilisti. «Vado su e giù per la tangenziale, alla luce ed all’ombra dei lampioni / Che gran rete stradale… così luminosa / Non mi viene in mente un modo migliore per passare la notte / Che viaggiare a tutta velocità sotto le luci gialle». Eppure la canzone si incupisce. «Ora sono nella metro… il vento ulula attraversando i quartieri deserti in cerca di una casa, e io corro attraverso quelle pietre vuote perché sono completamente solo, e Londra sta bruciando (di noia, ora), Londra sta bruciando. Chiamate il numero delle emergenze». È chiaro che quel vento che ulula attraversando gli isolati deserti richiama il disagio sempre presente nei pezzi dei Clash, inscindibile dalla loro ironia e dalla loro indole rebellious… Londra è una città che i fuochi dei riots non se li fa mai mancare a lungo. Specie quando qualcuno viene assassinato dai Pigs, e allora scatta la rivolta (dial 999). [AS]
#7/8
Nella vulgata, fumo e erba sembrano essere sinonimi, ma chi li ha provati conosce bene la differenza. Il pop italiano, specie quello che deve il suo terreno di coltura agli anni ’90 e alla nascente scena rap, sembra preferire di gran lunga la seconda. E come dargli torto. [FP]
#9
E poi, altro fenomeno tutto nostrano, ci sono i presidenti che lottano non per legalizzare la marijuana ma se stessi. Ogni classe sociale ha le sue battaglie. [FP]