Il gonfalon selvaggio che abbiamo aspettato per tutto il mese non si è fatto vedere. Ci abbiamo pensato un po’ e ci siamo resi conto che forse era arrivato ma non lo avevamo riconosciuto. Temendo di non sapere cosa sia un gonfalone selvaggio, abbiamo posto la domanda al vocabolario Treccani: abbiamo scoperto che con quel nome si indicava il ramo fiorito, usato per simboleggiare l’amore e la primavera, brandito, in età rinascimentale, dai giovani il primo di maggio. Buono a sapersi. Adesso dobbiamo capire cos’è il gonfalon amico, che fa rima con antico, di cui parla Guccini.
Un maggio terribile. Specie per chi vive a Gaza che, come accade periodicamente, è stata bombardata e distrutta – per undici giorni – e, come accade periodicamente, sarà ricostruita. Mentre dalle nostre parti le percentuali di vaccini inoculati aumentavano linearmente, a Gaza le regole per gestire l’emergenza sanitaria sono andate a farsi fottere, ché contare i morti e salvare la vita ai feriti era più importante. Abbiamo odiato l’inamovibilità di Joe Biden, poi, pur senza rinunciare a un’oncia del nostro odio, è diventato oscenamente chiaro il senso delle azioni di Bibi Netanyahu che ha dichiarato, senza mezze misure, che tutti i tentativi di ingerenza diplomatica avrebbero prolungato gli attacchi perché aveva il dovere di mostrarsi inamovibile e invincibile agli occhi di tutti quegli elettori che avevano spostato altrove i loro interessi. Sappiamo di essere ineleganti quando notiamo che Hamas è il miglior alleato che Netanyahu abbia mai avuto: ogni volta che il primo ministro israeliano si è trovato in difficoltà, Hamas è corsa in suo aiuto.
Tra gli eventi che ci hanno stupiti c’è senza dubbio il sequestro dei sistemi informatici dell’oleodotto statunitense a opera di hacker russi. Pare che la restituzione sia stata vincolata al pagamento di un riscatto di cinque milioni di dollari in bitcoin. L’effetto dell’attacco ai danno della sicurezza informatica dell’oleodotto è stato quello di bloccare per qualche giorno la distribuzione di carburanti fossili e di far balzare il costo del barile a ottanta dollari. È probabilmente casuale il fatto che proprio in quelle ore un tweet (UN TWEET!) di Elon Musk abbia tirato uno scrollone alle borse internazionali e abbia fatto precipitare il costo del bitcoin. Battere criptovaluta richiede una potenza computazionale spaventosa e i server usati per il “Bitcoin mining” hanno un impatto ambientale mostruoso e usa un sacco di carburanti fossili, appunto. Tesla non commercerà più in bitcoin fino a quando non si troverà un modo più sano per produrli. Per Musk l’unico modo più sano è quello capace di arricchirlo, giacché nel frattempo sta finanziando la progettazione della propria valuta digitale. Quella dichiarazione ha fatto – occasionalmente – perdere almeno un milione di dollari agli hacker russi: c’è da innervosirsi.
Nel corso del mese, le edicole che – prima di sparire quasi completamente – sono state la sorgente più importante per la nostra formazione umana ci hanno regalato alcune gioie: Arturo Lauria, disegnatore di “Dylan Dog” (il numero del mese e lo speciale “Color Fest”), ci ha mostrato che è ancora possibile costruire pagine non addomesticate in un albo Bonelli; verso la fine del mese, “Il manifesto” ha impacchettato il secondo speciale dedicato al suo mezzo secolo di storia editoriale, concentrandosi sugli anni Ottanta; “Urania”, che, da quando è diventato difficile trovarla, ospita sempre più spesso di romanzi meravigliosi, ha proposto ai suoi lettori Binti: La trilogia di Nnedi Okorafor.
E poi c’è stato un mese di QUASI, interamente dedicato al “Fumo”. Ti risparmiamo la carrellata di presenze (siamo così tanto orgogliosi di ognuna che si tradurrebbe in un difficilissimo esercizio di ricerca di superlativi), e ti rimandiamo all’indice del quarantaduesimo numero in rete. Ci preme almeno farti notare le novità.
È arrivata alpraz con “Vertigini”, una rubrica a fumetti bella e molteplice: seguila con attenzione. Abbiamo chiesto ad Alessandra di entrare nella redazione di QUASI e di giocare con noi alla preparazione delle uscite. Costretta a presentarsi, si è raccontata così:
« Alpraz non sa quali siano le sue proprietà, per questo disegna. Sa soltanto che, come ogni esistenza autocosciente, è attraversata dall’essere, per questo disegna. Sa anche che il mondo così com’è l’ha determinata folle e femmina, ma, al contempo, che ogni categoria determinata socialmente va decostruita e messa in discussione a partire dalle identità coinvolte. Per questo disegna. Sa dunque di essere un’essere disegnante, ma non conoscendo le sue stesse proprietà non conosce nemmeno le proprietà del suo segno. Per questo disegna.»
La periodicità mensile è entrata in diretto conflitto con la necessità di scadenze di Lorenzo Ceccherini. Aveva ormai imparato a scrivere, per “Il bassista non se lo incula nessuno”, uno dei suoi lunghissimi articoli ogni quattordici giorni. Per non subire uno scompenso troppo forte, ha deciso di affrontare, con una seconda rubrica, il genere della recensione. Ha scelto come titolo “Interni di un bassista” e ci tiene a specificare: «tranquilli, non c’è niente di endoscopico né strani traffici in prossimità di orifizi».
Tutto il resto e navigabile cliccando qui sotto sulla copertina di QUASI 42. Ci sono: Francesco Pelosi, alpraz, Lorenzo Ceccherini, Lucia Lamacchia, Ugo e Michel, Alessandra Falca, Omar Martini, Peppe Liberti, Mabel Morri, Francesco “Baro” Barilli, Arabella Urania Strange e noi due.