Intervista a Massimo Giacon
Paolo: … Ma non è un fumetto!? Ecco… tutte le volte che arriva un tuo libro non so mai cosa aspettarmi. Formato, struttura, genere.. addirittura medium. Mi accorgo, allora, che quando parliamo, stiamo sempre lì a dirci dell’ultimo romanzo di fantascienza, dell’ultima serie, di un disco particolarmente divertente. Non parliamo mai di fumetti. E in questi mesi, quando ci siamo sentiti al telefono, alla domanda Massimo, che fai? Pareva di aver chiamato un genio rinascimentale. Sto progettando un vaso… Sto dipingendo una tela 4×4… Suono… Massimo, che fai?
Massimo: Premetto che non mi sono mai sentito molto rinascimentale, perché questa interdisciplinarietà negli anni Ottanta era quasi d’obbligo. Appartengo a una generazione di autori che faceva del fumetto un elemento scardinatorio, un piede di porco con cui siamo riusciti a intrufolarci nelle case degli altri media. Per molti autori questa capacità di lavorare su più fronti è presto diventata qualcosa di diverso da un’attitudine, ma una vera e propria necessità alimentare, visto che non bastava fare fumetti per sopravvivere, e se volevi campare solo con la tua creatività dovevi ingegnarti. A questo bisogna aggiungere che mi sono sempre state strette le caselle, per cui già da quando ho iniziato, contemporaneamente ai fumetti avevo messo in piedi il mio primo gruppo musicale, (gli Spirocheta Pergoli), avevo partecipato insieme a Piermario Ciani e Vittore Baroni alla fondazione del progetto multimediale TRAX e dipingevo.
In questo preciso momento mi è tornata la voglia di suonare, probabilmente a causa delle tematiche del mio ultimo lavoro Masticando KM di Rumore. Sto riprendendo in mano tutti i vecchi nastri degli Spirocheta Pergoli per una antologia doppia che comprende anche vari inediti da ri-registrare, con booklet e confezione progettata da me. Poi ho chiuso i progetti per gli oggetti natalizi Alessi del 2021 (e sto già pensando a quelli per il 2022), e sono in uscita due piccole sculture in marmo a tiratura limitata con RobotCity, un’azienda di Carrara.
Paolo: Parlami del libro, Masticando KM di rumore… Racconti i cento concerti più importanti della tua vita, dal 1975 al 2021. Un racconto che occupa una sola pagina accostato a una singola immagine. Per uno che racconta fumetti e infila vignetta dietro vignetta e narrazioni che si sviluppano per molte pagine è uno sforzo di sintesi importante…
Massimo: Tutto è partito da un vecchio progetto che in effetti potrebbe essere monumentale, ovvero la storia dl un certo fumetto italiano degli ultimi 40 anni attraverso i ricordi collegati alle mie storie brevi. Ma è un progetto molto ambizioso, che non so se mai vedrà luce visto che dovrebbe assestarsi sulle mille pagine suddivise in vari volumi. Al momento è molto impegnativo per qualsiasi editore. Per cui ho messo l’ego da parte e ho pensato a qualcosa di più snello, e meno presuntuoso. Parlare di me attraverso un racconto personale che si fa collettivo, e attraverso questo raccontare come si è trasformato il nostro modo di vedere e ascoltare la musica, descrivere con piccoli cenni storici come è cambiato tutto il mondo e la società intorno. Alla fine è venuto fuori un volumetto snello di 208 pagine, ma pieno di informazioni, informazioni che già dicono abbastanza della mia personalità, della mia sensibilità e anche del mio lavoro. Attraverso le immagini ho cercato di immergermi in quei momenti e di sottolineare le sensazioni provate attraverso il filtro del ricordo visionario.
Paolo: Il ricordo visionario è forse la chiave di lettura più evidente. Sfogliando il libro si notano scarti di stile e di tecnica. Quasi cinquant’anni di musica dal vivo che hai raccontato, confrontandoti con miti, meteore e quasi sconosciuti. Come hai costruito le immagini?
Massimo: Il progetto si prestava a sperimentare tecniche e stili diversi. Sono andato un po’ per assonanze e un po’ a istinto. In generale non ho seguito un criterio preciso. Inizialmente avevo pensato a un bianco e nero, poi mi sono reso conto che sarebbe stato riduttivo, anche perché, per esempio, non potevo disegnare il concerto dei DEVO senza il colore giallo delle tute o il rosso dei cappellini a forma di vaso da fiori rovesciato, era un elemento radicato del ricordo. Per molti disegni sono andato avanti seguendo questo criterio: iniziavo con un colore, poi aggiungevo colore finché l’immagine non aveva un equilibrio che ritenevo corretto per la renderizzazione dei ricordi. A volte non erano necessari né molti colori né molti particolari, altre invece dovevo essere iperdettagliato e quasi bulimico nell’affastellamento dei segni.
C’è sempre un problema di fondo nel disegnare un suono, che è come negli artisti del romanticismo quando si cercava di dare forma visiva a sentimenti astratti: si va sempre per approssimazione, e quello che scegli come vocabolario di forme racconta oltre che quello che ricordi anche molto di quello che sei.
Paolo:Il concerto però è un rito collettivo. Tutti quelli che partecipano a quella messa tornano a casa con un ricordo nitido che sfuma poi negli anni e nella memoria. Alcuni dei concerti che hai raccontato, poi, sono pezzi di storia documentati. Hai lavorato solo su quello che ricordavi o hai scandagliato youtube e simili per recuperare quei contesti?
Massimo: Non è solo un rito collettivo, ma anche un’avventura. Per un giovane, iniziare a vedere dei concerti significa tante cose: intraprendere un viaggio, magari per la prima volta in un’altra città, affrontare dei piccoli pericoli. Almeno per me era così, non sapevi mai cosa ti poteva succedere, a prescindere dalla musica che veniva suonata. Quindi era qualcosa di eccitante, che con l’andare del tempo si trasforma diventando meno eclatante, ma quando funziona effettivamente qualcosa nella tua testa cambia. Ho cercato di documentarmi il meno possibile, e di cercare di andare a memoria. Poi ovviamente in un secondo tempo mi sono dovuto documentare meglio, per vedere se ricordi, fatti e date coincidevano con la realtà. E sono stato felice di verificare che quasi sempre coincidevano anche con una memoria collettiva di altre persone che avevano visto gli stessi concerti.
Paolo: Quei cento concerti li hai ordinati cronologicamente e, come dicevi, ne è venuta fuori anche un’autobiografia. Hai scoperto cose su di te riordinando i ricordi?
Massimo: Ho riscoperto tanta musica, ho riscoperto quanto era bello anche suonare con altre persone, visto che nelle pagine ho messo anche tre concerti con tre diverse formazioni con cui ho suonato Li ho piazzati nel libro in tre momenti diversi della mia vita. Ho amato ed amo molto la musica, ma non so se questo affetto è ricambiato perché non sono stato graziato dalla dea che facilita la capacità di imparare a suonare bene uno strumento. Non è mai successo, ma ho sempre composto brani bizzarri, e sono stato molto fortunato da riuscire pure a pubblicarli. Lavorare a questo libro mi ha fatto tornare la voglia di mettermi a costruire canzoncine sghembe. In questo momento sto rimettendo mano a vecchi nastri, per assemblare una antologia ragionata del mio primo gruppo, gli Spirocheta Pergoli. Ho scoperto quanto ho amato tutti i musicisti presenti nel libro, anche i più oscuri e improbabili, e anche i concerti più brutti, anzi forse i concerti brutti sono quelli che ho amato di più, perché nell’esecuzione imperfetta si nasconde l’imprevisto, e l’umanità.
Paolo: Questa cosa che dici dell’esecuzione imperfetta è vera anche per i fumetti? A me i fumetti perfetti annoiano un sacco. Mi piace vedere gli errori, perché dicono un sacco di cose degli autori e anche di me lettore.
Massimo: Questa è la prima impressione che ho avuto vedendo per la prima volta gli originali di Andrea Pazienza. Il mito del Superdisegnatore che lavorava senza fare le matite, praticamente disegnando e raccontando quasi in tempo reale, senza studi né sceneggiatura, veniva smentito da tavole in cui vedevi tutti i ripensamenti, il bianchetto, i pezzi di cartoncino incollati che coprivano gli errori. Disegnare è dopotutto il tentativo di collegare le idee con un’immagine che dovrebbe rappresentarle, e in genere a me non riesce mai al 100%, c’è sempre qualcosa che non va, di imprevisto. Ma è proprio dall’imprevisto che possono scaturire delle nuove idee, il tentativo di approssimazione ha creato dei segni che in teoria non dovevano esserci.
Paolo: Stai dicendo una cosa interessantissima… Non ti fermare!
Massimo: Credo che capiti a molti autori di fumetti di essere perennemente tesi verso l’esecuzione della vignetta perfetta, o della sequenza perfetta.
A volte questo accade, ma mi rendo conto che si tratta di qualcosa che va archiviato nella cartella “pippe personali”, dato che quasi mai quello che noi autori riteniamo perfetto viene recepito nello stesso modo da critici e lettori.
Per esempio una delle mie sequenze perfette è questa pagina che descrive la morte per infarto del protagonista de La Quarta Necessità, graphic novel realizzato su sceneggiatura di Daniele Luttazzi. Secondo me funzionava benissimo, ma mi venne chiesto di modificarla dallo stesso Daniele, che pensava di risolverla in altro modo. Io gli dissi che se la voleva modificare doveva passare sul mio cadavere, e allora rimase come l’avevo concepita io.
Luca Raffaelli, per esempio, aveva un punto di vista diverso e riteneva che una tavola magistrale fosse invece quella (sempre tratta da La Quarta necessità), in cui il protagonista da piccolo mangiava delle lucciole. Io, detto tra noi, non la trovavo poi così eccezionale, era una tavola quasi di raccordo, ma come dico, è questione di punti di vista, bisogna anche fidarsi di cosa vedono gli altri nel tuo lavoro.
Un’altra sequenza a cui sono affezionato è tratta da Il Mondo così com’è su sceneggiatura di Tiziano Scarpa. A guardarla non è poi così eccezionale , non è nemmeno disegnata in modo eclatante, eppure per me esprime benissimo la preoccupazione e lo struggimento per una persona a cui vuoi bene , e la consapevolezza dell’amore che se ne va, o almeno, soggettivamente questo è quello che percepisco io.
Un autore che amo molto è Marco Corona, e amo molto il suo primo libro per Coconino, Bestiario Padano, che a quanto pare a detta dell’editore vendette pochissimo perchè era molto respingente. Anni dopo, con L’Ombra di Walt, Marco si dimostrò capace di uno stile più onirico e poetico, molto piacevole, ma essendo un bastian contrario maligno ha fatto di tutto negli anni successivi per tornare ad essere respingente. Lui ha una mano molto felice e potrebbe disegnare qualsiasi cosa in qualsiasi modo, eppure continua a ricercare uno stile non canonico, per niente piacevole, come nell’ultimo libro Il Viaggio, dove la poetica dell’errore, del segno sbagliato viene perseguita con rigorosa perseveranza. Il mondo è pieno di fumetti “carini”, se per questo anche di fumetti volutamente brutti, ma non è questo il caso, in questo caso c’è una ricerca precisa, che va contro le logiche di mercato, e che spesso è la discriminante tra autore e mestierante.
Paolo: Hai usato “onirico” e “poetico” per Corona! Lo hai fatto apposta! Confessa.
Massimo: L’ho fatto apposta per farlo incazzare, haha!
Paolo: Siamo tornati alla questione iniziale. Parli di ricerca della sequenza perfetta, ma Masticando KM di rumore non è un fumetto. Lavori su tutti i moduli e tutti i formati. Hai fatto storie brevi e lunghissime, hai sfiorato la serialità ma mostrando una certa indifferenza, su “Linus” ti confronti con la striscia, il modulo che storicamente caratterizza quella testata. Come scegli la forma del tuo racconto? Cosa cerchi?
Massimo: Mi piace lavorare su diversi formati e con diversi stili narrativi. Ogni formato impone un modo di raccontare diverso, per cui perché non testarli almeno una volta nella vita? Sono uno a cui piace assaggiare tutti i gusti. Per quanto riguarda la serialità, non è un’indifferenza perseguita da me, ma piuttosto dal fumetto seriale. Non avrei nulla in contrario a lavorare su un personaggio del parco giochi Bonelli, o Disney, o Marvel o DC Comics, ma non ho ancora ricevuto la chiamata alle armi, né penso a questo punto che arriverà. Non so nemmeno se accetterei, ho diversi progetti in testa, e mi piacerebbe portare avanti prima quelli. Le tavole in stile domenicale dei Peanuts per “Linus” sono nate davvero per caso. Per un numero speciale su Philip K. Dick, Igort l’anno scorso mi chiese se volevo disegnare quattro pagine su di lui. Era un momentaccio, eravamo tutti in completo lockdown in una situazione che sembrava davvero scritta da Dick, ma ero così depresso che ho reagito con un’operazione umoristica in controtendenza e in pieno spirito “What if”, ovvero cosa sarebbe successo se Philip Dick fosse stato un personaggio di Schulz? E così sono venute fuori quattro pagine molto felici, e allo stesso tempo linguisticamente in sintonia con lo scrittore. È stata un’operazione gradita da redazione e lettori, tanto che Igort mi ha chiesto di continuare con il personaggio, ma io ho proposto invece di applicare lo stesso sistema ogni numero al personaggio scelto per copertina e inserto, e così abbiamo avuto le strip di Frida Kahlo, Kubrick, Lou Reed, Maradona, Magnus, Bob Dylan eccetera… Mi sto divertendo molto, lo schema rigido e rigoroso della gabbia di Schulz impone alla narrazione dei tempi precisi: non devi uscire dal personaggio, devi inserire nella narrazione degli easter egg, e pensare a una buona battuta finale. Sembra facile, ma ognuna di quelle tavole richiede un grosso lavoro nello script.
Paolo: E proprio mentre stiamo chiacchierando, scopro che sei sulla copertina della rivista “Blow Up”. Un articolo che ti storicizza come musicista mentre pubblichi la storia dei tuoi concerti. Quando esce il doppio degli Spirocheta Pergoli? E il prossimo libro a fumetti?
Massimo: L’articolo era stato programmato apposta. Vittore Baroni da tempo voleva scrivere una mappa di tutte le mie frammentate esperienze musicali, e così ha contemporaneamente fatto uscire anche una recensione in anteprima del libro. Il disco (o cd) degli Spirocheta Pergoli uscirà quando riuscirò a metterlo insieme. Io mi sono dato circa un anno di tempo. Non credo che ci sia la folla che lo brama, ma un piccolo pubblico (anche internazionale) c’è. Il prossimo libro a fumetti al momento è una incognita. Ci sono tante idee, tanti progetti. Vorrei terminare Boy Rocket, un libro in due parti che era uscito “monco” con Black Velvet su sceneggiatura di Mimì Colucci, ma che a causa della chiusura della casa editrice non avevamo mai concluso. Non so ancora se sia un libro che possa interessare Tito Faraci. Non l’ho ancora proposto. Avrei anche un progetto per un altro libro scritto e disegnato, ma stavolta con una struttura molto diversa da Masticando KM di Rumore. Un romanzo con degli inserti a fumetti, in cui testo e comics sono strettamente intrecciati, ambientato negli anni Settanta, quando i fumetti non erano ancora graphic novel, ma erano considerati (parafrasando William Burroughs), un virus proveniente da un altro pianeta.
Masticando KM di rumore di Massimo Giacon è in vendita, in tutte le librerie fisiche e digitali del paese, da oggi.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).