LATO A
#1
La crisi di mezza età se ne fotte della matematica. Mica lo sa lei quando l’età è veramente mezza, che mica c’è un libretto delle istruzione che riporta la durata completa. E allora Bobo Rondelli dedica all’indifferenza ai calcoli di quella crisi una canzone bellissima. Se la gioca con una metafora. Quella del settimo round. Quando ormai hai finito il fiato, non ci vedi più niente, quello stronzo di fronte a te non vuole andare giù, le braccia pesano tonnellate e, ogni volta che porti a segno un cazzotto, è come se avessi tirato una cuscinata. Ma come la riconosci quella crisi, allora? Te la racconta la bastardissima immagine riflessa, «E faccio spogliarelli della parte interiore / perché quella allo specchio ci avrebbe da ridire / non ho più l’entusiasmo che porta alla vittoria / ma solo la paura di andare KO». [PI]
#2
Che poi, quando ti alleni per combattere, lo specchio è il più economico tra gli avversari. Ti ci metti di fronte e ti muovi cercando di fregarti sul tempo. E, dannazione!, per quanto tu ti possa sforzare, tutte le volte che apri la guardia, te ne accorgi. Vibri una percossa, con il pugno o con un piede, e vedi lo spazio enorme che si è aperto tra il gomito e le costole, tra la spalla e il mento. I combattimenti regolati sono successioni di occasioni mancate che si concludono con opportunità colte con precisione. E per offrire il minor numero possibile di occasioni, i combattenti restano composti e non si concedono mai cazzeggio. Gli incontri di MMA mi annoiano molto. Mi sembrano un dispiego inelegante di forza bruta. Gente che si mena, cercando di offrire il minor numero possibile di opportunità all’avversario. Poi, qualche volta, compaiono dei combattenti eccezionali che guardano gli avversari come fossero specchi di cui non avere paura. Ogni volta che c’è un cedimento nella guardia ci si infilano con precisione suicida. Il combattente MMA che mi emoziona in questo momento è Sugar Sean O’Malley. Fuma più canapa indiana di quanta tu ne abbia mai vista in vita tua ed entra nell’ottagono con questo pezzo. [PI]
#3
Ci sono due modi per raggiungere il Paese delle Meraviglie. O si cade nel buco del coniglio o si attraversa lo specchio. Quando attraversi lo specchio, le parole si confondono e acquisiscono sonorità e senso nuovi. Non sapevo che Jabberwocky di Lewis Carroll fosse stata musicata. L’ho scoperto oggi per giocare alla playlist di QUASI. [PI]
#4
Conoscevo invece questa versione del Lonfo di Maraini. [PI]
#5
Dicono che Nico si sia avvicinata a Lou Reed dicendogli «Oh Lou, sarò il tuo specchio!». Boh, non so se sia andata così. Magari è una balla. Però io me la immagino, la “sacerdotessa delle tenebre”, dire così a Lou Reed con quella voce che … che nemmeno ti saprei dire: ascoltala. [FB]
#6
Sapevo di dovermi sbrigare a mettere I’ll be your mirror nella Playlist, o qualcuno me l’avrebbe soffiata! E così è stato, grazie al Baro sempre pronto e sul pezzo, in tutti i sensi (anche se, per gusti musicali dimostrati in questi mesi, pensavo di dover temere Lorenzo o Arabella a ‘sto giro). Nico è una cantante che mi ha completamente stregato e che ascolto sempre con devozione. Perciò, specchi o meno, voglio comunque omaggiarla, tanto più che qualche anno fa le ho dedicato una canzone. [FP]
#7
Brian Eno, si sa, è il padre della musica ambient (e ha pure suonato con Nico nel suo The end, tanto per non allontanarci troppo). Il secondo disco di quattro dedicati a questa musica minimale e astrale, realizzato insieme a Harold Budd, si chiama The plateaux of mirror. [FP]
7#
C’è un disco di Loreena McKennith del 1994 che si intitola proprio The mirror and the mask. Gira in casa mia fin da quando ero bambino, per cui faccio molta fatica a essere obbiettivo: per me è un disco bellissimo e basta. Il pezzo che preferivo all’epoca, e che ancora amo molto, è The bonny swans. [FP]
6#
In Black Mirror la terza stagione si apre con Nosedive un episodio riuscitissimo, con una Bryce Dallas Howard che sprofonda sempre di più in una caduta vertiginosa from grace in un mondo pastellosissimo dove la dittatura del panopticon da social media è divenuta la norma, il credo unico e assoluto. La colonna sonora dell’episodio è appannaggio quasi esclusivo di Max Richter, e The Consolation of Philosophy è un saggio rappresentativo di quel che combina di buono (secondo me) questo compositore (meno buono è quando sventra Vivaldi, che gli piace alla follia, e si mette a riscriverlo. Poteva risparmiarsela mille volte). Certo, quello che mi è piaciuto di più è stata la colonna sonora di The Leftovers ma non mi ricordo di specchi… [LC]
5#
… e invece sì! [Seguono spoiler ma tanto è una serie di Damon Lindelof e ci si capisce il giusto] Perché nella prima puntata della terza serie Kevin, a un certo punto di una strana missione che si trova a dover compiere raccoglie un frammento di specchio che ricorda pari pari la scheggia di vetro con cui Patti, la capa del chapter locale dei Guilty Remnants si taglia la gola, se ricordo bene. Comunque si fa fuori, ecco. Anche se poi non è chiaro e anche questo ci sta, visto che Lindelof è il papà di Lost e dell’imperdonabile tirata in lungo fatta con quella serie fino a non poterne più tra fumi neri che corrono a tutta velocità per l’isola, pulsanti da schiacciare ogni tot minuti, casette nel bosco, capsule subacquee e altre trovate tutte molto fini a se stesse. Con The Leftovers, dal mio punto di vista, fa ammenda con grande successo, accettando di avere una platea più ridotta. [Nota del bassista: fin quando sono riuscito a studiare da autodidatta il piano uno dei miei pezzi-palestra era Departure. Ha continuato a girarmi in testa senza soluzione di continuità, e chissà che non rimetta mano agli ottantotto tasti…] [LC]
4#
E visto che si parla di pace e allo specchio si finisce per trovarne sempre meno, come dice il personaggio di Al Pacino in Any Given Sunday, può valere la pena rivolgersi a qualcosa di inconsueto come la musica sacra corale contemporanea. Genere di cui non conosco una composizione una se non si considera questa eccezione. Da Pacem Domine, ci dice Wikipedia, è stata commissionata da Jordi Savall all’indomani degli attentati del luglio 2004 a Madrid. Arvo Pärt è uno che va per la sua strada, fa la sua cosa, con spirito quasi ascetico, con un minimalismo che è ad anni luce di distanza da quello di tutti i poseur. Restando in limiti quasi monastici, da cella di eremo, con un set di strumenti contenuto ma mostruosamente raffinato riesce a produrre qualcosa che ti cattura e ti accoglie allo stesso tempo. Quel po’ di pace che è possibile raccogliere in questa dimensione affannata che sperimentiamo tutti, ciascuno nella prigione della propria testa, ce la fornisce Arvo direttamente, non c’è neppure da aspettare il Dominus. Buona domenica a tutti! [LC]
3#
Nel suo pezzo su John Wayne Gacy, il clown che ha ammazzato 27 ragazzi ma era adorato dai vicini, e li ha sepolti sotto la casa, Sufjan Stevens, con la consueta umanità, riesce a mescolare l’orrore per quelle vite spezzate a una riflessione finale e coraggiosa sullo specchio che qualunque umano può essere per un altro essere umano : «sono proprio come lui. Guarda sotto il mio pavimento, i segreti che tengo nascosti». La dedico a Tuono Pettinato, che era un punk (come me) ma amava l’indie e Sufjan Stevens (come me). [AS]
2#
Ed ecco gli Arcade Fire: Black mirror, lo specchio nero che «non conosce riflesso, non conosce orgoglio o vanità, non conosce i tuoi sogni, le tue truffe piramidali, i loro nomi non vengono mai pronunciati, la maledizione non è mai spezzata». [AS]
1#
Il mio pezzo preferito del disco, Neon Bible, è No cars go. Lo metto dopo tutta questa tristezza per non demoralizzare troppo chi ascolterà la playlist, totalmente a caso. [AS]