Un fine settimana di afa.
Lo hanno detto al Tg, è stata una primavera fresca e piovosa, a metà giugno però inizia l’estate, quella calda, afosa e, quando va male, con la cappa, quel tempo cioè che minaccia pioggia ma non la fa, annuvola ma il caldo rimane lì incastrato tra te e il cielo.
Qualche amica è al mare, le raggiungo per due chiacchiere mentre vado a comprare il giornale. Quando loro pranzano, torno a casa per il mio, di pranzo, per organizzare il lavoro e gestirlo tra una partita e l’altra mentre sorseggio un agognata birra.
L’altro di giornale, quello di ieri, è rimasto aperto sul tavolo della cucina – quello che io desideravo bianco e tondo, che non vedo mai perché l’ho coperto con la tovaglia cerata per non rovinarlo –, una foto del calciatore Kylian Mbappé nella nuova e bellissima maglia della Nazionale francese da sfoggiare per l’Europeo, due stelle argentate sopra il galletto ruspante, tutto rigorosamente cucito per dare un tocco di mano umana sopra a pattern grafici e loghi dello sponsor tecnico stampato a caldo.
La Francia è la favorita del torneo, lo dicono tutti, a parte quelli che sui social devono dimostrarsi controcorrente e dire il contrario per fare gli alternativi.
Anche io non stravedo per la Francia però, ai fatti, è la nazionale Campione del Mondo, arriva a questo Europeo con una formazione persino migliorata rispetto a quella di due anni fa in Russia nella quale alzò la coppa e ha giocatori che francamente, ai fatti, fatichi a definire scarsi. Piuttosto, fanno i francesi – che poi è probabilmente l’unica pecca che potrebbe risultare decisiva -, cioè quel loro modo di sapere di essere forti, così forti che possono anche fare meno sforzo. Il problema magari è quando sentirsi così forti porta a pareggiare partite che si dovrebbe stravincere o vincere con un golletto su autorete quando si potevano segnare quattro o cinque reti. Essere così francesi non è nemmeno lontanamente paragonabile allo «umirati ulepoti» jugoslavo, quel «morire nella bellezza» che la Jugoslavia concepiva e venerava come ideologia insindacabile, arrivando a giocare da dio (venivano chiamati i brasiliani d’Europa) ma la cui bacheca era terribilmente vuota anche con la seconda generazione di fenomeni, quella della nazionale a cavallo di fine anni Ottanta e dei primi due anni dei Novanta, così bella e struggente prima della disgregazione della guerra che cambiò la geografia dell’Europa.
Stancamente l’Europeo va avanti, i primi calcoli sugli incroci, compagini che i conti li faranno e ne usciranno in buonafede o in malafede, l’estate arriverà piena e solare.
Io mi segnerò i risultati sul “Guerin Sportivo Extra”, una roba da Novecento, come gli anziani che ancora attaccano i punti della spesa al supermercato sulla brochure per avere in regalo la padella o il set di piatti.
Ma.
SkySport Arena è il canale di sport che spazia dalla pallanuoto al basket al baseball.
C’è un altro Europeo, azzurro uguale ma meno pubblicizzato, meno pomposo, meno interessante per molti.
Non per me.
È l’Europeo di basket femminile.
Ballardini Forever è il titolo del fumetto breve col quale venni candidata al Premio Boscarato nel 2008 al TCBF per la prima volta.
Simona Ballardini, involontaria protagonista di quelle otto tavole, è un’ex giocatrice di basket dell’allora epocale ed epica Germana Zama Faenza che riuscì in quegli anni nella straordinaria impresa di sollevare due Coppa Italia giocando tra il 2006 e il 2009 otto finali, due per lo scudetto, tre per la Coppa Italia, due per la Supercoppa italiana. Sorprendente per una squadra che aveva bazzicato nelle serie minori, mai una gioia si direbbe oggi, arrancando in situazioni finanziarie come ne è pieno lo sport dilettantistico (perché, va ricordato, il basket femminile è alla stregua del calcio femminile, del ciclismo e della pallavolo, retaggio delle leggi sullo sport volute dal regime fascista e che vedeva professionisti solo gli epigoni maschili). Poi, un giorno, il Presidentissimo della Germano Zama, azienda di abbigliamento della zona, prende la società, ci investe portando alcune delle migliori giocatrici che Faenza ricordi, ci riporta Simona Ballardini – la Totti di Faenza, usando un poco elegante paragone calcistico (ma per farvi capire come appartenenza e nascita di una campionessa fossero fondamentale nella ricerca di identificazione della squadra) – , e contrastando l’egemonia di Schio su tutte, ma anche di Venezia e Taranto regala alla città e ai tifosi anni di vittorie ed emozioni che, seppur poco raccontate anche nei blog, nei siti, nelle riviste e negli spazi dedicati al basket, echeggiano ancora tra le seggioline rotte e dismesse del PalaBubani, lungo il suo largo androne, a rincorrersi sulla scale delle tribune, nella polvere calata sui tabelloni luminosi ormai spenti, sul parquet le cui righe plasticose sono incrostate e rugose.
Sono pochi anni, quelli gloriosi della GZ Faenza, ma sono anni che le nonne, le zie, le sorelle, i fratelli, i nonni, i padri e le madri racconteranno ai nipoti.
Sono quelle storie alla Nottingham Forest di Brian Clough, alla Vicenza di Francesco Guidolin, alla Leicester di Claudio Ranieri e in epoca moderna all’Atalanta di Giampiero Gasperini, quelle favole che non sempre finiscono col risultato vincente ma che finiscono nei manuali della storia del calcio o dello sport in generale.
Ragazze che vivevano a Faenza e giocavano a basket, una piccola comunità di tante persone che si conoscono tutte tra loro, atlete amate e coccolate. Come ogni società di lungo corso il Club Atletico ha i suoi cicli, dall’epoca d’oro con lo sponsor Omsa negli anni Cinquanta ai Settanta e Ottanta altalenanti, tra Europa, Serie A1 e A2 fino a quando Enrico Piombini, commercialista di Bagnacavallo, nel 1990 prende in mano e, come si suol dire, il resto è storia.
Risana i debiti con una gestione oculata, passa un decennio a dare un colpo al cerchio e uno alla botte e all’inizio del nuovo millennio iniziano a esserci le basi per costruire un progetto che ha seminato tanto e che ora può raccogliere i frutti diventando più ambizioso.
Dagli inizi del 2000 ogni anno viene aggiunta una miglioria, così in ordine sparso arrivano oltre, al rientro di Ballardini, la pivot statunitense Marte Alexandre, Maria Chiara Franchini da Parma, le brasiliane Adriana Moises Pinto e Graziane de Jesus Coelho, Manuela Ramon, la slovena Daliborka Jokic e la serba Marija Eric mentre sulla panchina si alternano negli anni Giampiero Ticchi, pesarese residente a Cattolica, e Paolo Rossi, romano di nascita ma riminese di adozione.
Sono anni meravigliosi, di scroscianti applausi e di un PalaBubani strapieno di gente. Sono anni bellissimi, di gente felice per le domeniche al palazzetto e di cori organizzati così genuini da scaldare il cuore.
Il 16 dicembre 2007 però finisce tutto. La stagione si salva, anche gli anni successivi sono buoni nonostante non arrivi più una vittoria importante, ma quel 16 dicembre il ginocchio di Simona Ballardini fa crac. Si era già rotto, ma Ballardini era tornata, forse troppo presto chissà, forse non aveva curato bene la gamba chissà, quel giorno non si rompe solo il ginocchio di Ballardini, si rompe qualcos’altro che non si aggiusterà più.
Appena pochi anni dopo, nella stagione 2011-12, Piombini cede il titolo sportivo e la Germano Zama Faenza assume la forma di un ricordo pazzesco a chi ha avuto la fortuna di viverlo.
Io ci sono capitata per caso, lì a Faenza al PalaBubani, per questa strana curiosità dei fenomeni sportivi piccoli e locali.
Se chiudo gli occhi, la scritta Ballardini Stadium scritta male del palazzetto per quanto riverniciata e ormai scomparsa, è ancora lì, su quel crema sporco vicino all’entrata.
L’Italia è in seconda fascia.
Ha nuove leve, nuove giocatrici che ruotano intorno alla stella Cecilia Zandalasini.
Mentre chiudo questo articolo, l’Italia ha superato il girone e deve affrontare la Svezia per arrivare ai quarti dove, la vincente, giocherà la semifinale contro la Bielorussia.
Come nel calcio, ho amato nazionali che in un qualche modo hanno significato qualcosa, cosa onestamente non saprei dirlo, fasi di vita che si perdono nelle curve della memoria, ma la Nazionale del 2009 con Ballardini, Kathrin Ress, Raffaella Masciadri, Laura Macchi, Maria Chiara Franchini ha un posto speciale nei miei ricordi.
Con Marco Crespi allenatore, anche quella del 2019 con in formazione le gemelle Francesca e Caterina Dotto, Giorgia Sottana (un’altra a cui bisognerebbe dedicare un articolo a parte – l’ho fatto peraltro, nel numero 5 di “Le Mele Magazine”), Martina Crippa, Valeria De Pretto, Sabrina Cinili, Olbis Futo Andrè ed Elisa Penna tra le altre, ha un altro sapore speciale.
L’Europeo di basket femminile che si svolge tra Valencia in Spagna e Strasburgo in Francia è iniziato il 17 giugno e andrà a concludersi il 27 dello stesso mese. Difficilmente le azzurre potranno ambire a vincere la coppa, qualunque risultato le faccia arrivare almeno tra le prime otto sarà un successo. Il basket poi ha formule diverse dal calcio, i piazzamenti servono per le Olimpiadi e altri tornei rinomati ai quali partecipare sarebbe importante per il movimento e la continuità di presenze.
Abito in un quartiere residenziale.
Davanti un parchetto con giochi per bambini, tavoli, un campo da basket. È il ritrovo di anziani, giovani che escono da scuola, ragazzini che passano qualche ora libera.
Un tardo pomeriggio d’estate tornavo a casa a piedi. Il sole obliquo già scomparso dietro le case basse, la luce che si oscura in quell’intervallo di tempo che abbraccia la prima notte.
Una ragazzina palleggia con la palla, è da sola, affatto preoccupata dell’ora presumibilmente tarda per la cena. Mentre prova un canestro ha lo sguardo che avevo io sul campo da calcio, uno sguardo sognante, romantico, di infinito, come se quel campo fosse quello su cui si gioca una finale.
Avrei voluto dirle “Vai Zandalasini” perché è lei che le ragazzine guardano come un idolo, ma dentro di me esplodeva un “Vai Ballardini, vai Ballardini”.
Ballardini forever.
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.