Luglio è il mese dell’indolenza. Rimaniamo seduti – ancora un po’, giusto il tempo di un’altra birra – e ci diciamo che sicuramente domani faremo quella cosa che avremmo dovuto fare ieri. Adesso, però, un’altra birra. Va’ a prenderla tu. Ti va?
L’indolenza ci immobilizza in un punto e in un istante. Ma in quel punto e in quell’istante mica ci siamo veramente. Certo, le nostre carcasse sudate e immobili suggeriscono il contrario, ma c’è uno scollamento fortissimo tra l’apparire, fisico e tangibile, che mostriamo e l’essere, immateriale onirico e poetico, ch’entro ci rugge. Solo un’altra birra, per favore.
Abbiamo capito, non vuoi andarci. Facciamo un cenno e ce la portano. Però tu te la ordini da te… Tsé!
Non scherziamo. Non ci crediamo a una qualsiasi differenza tra il nostro contenitore e il nostro contenuto. O meglio, lasciaci chiarire: non stiamo dubitando dell’esistenza del nostro sangue e dei nostri organi, delle ossa, della carne, dei muscoli, del cervello, perfino del cibo che abbiamo ingerito, che ci abita a vari livelli di digestione e che scarteremo – con discrezione – in una forma evidente e odorosa. A tutte quelle cose ci crediamo, eccome. Non crediamo all’esistenza dell’anima, alla spiritualità del pensiero. Noi siamo qui e ora. Con il nostro corpo. Che è tutto ciò che siamo e che abbiamo e che, nonostante il trascorrere irrefrenabile degli anni, continuiamo ad amare e a coccolare, al meglio delle nostre possibilità.
Proprio ora, proprio qui. Seduti su questa panca di legno, respiriamo il caldo, ci godiamo le gocce di sudore che ci corrono sulla fronte e sul collo e si radunano tra le terga che teniamo saldamente appoggiate su una sedia del bar. Aspettando una birra, Una birra che ancora non arriva.
L’illusione di avere una parte immateriale e immortale, capace di sopravvivere alle spoglie che adagiamo mollemente su questa sedia, è comodissima. Se la accogliamo, possiamo pensare che tutte le cose che non ci piacciono, e che – ciò nonostante – ci succedono, ci faranno meritare una ricompensa. Possiamo credere che tutto il tempo che abbiamo dissipato, agendo (o non agendo) intorno a cose che ci hanno annoiati mortalmente, possa essere recuperato in un futuro in cui non dovremo più trascinarci addosso le spoglie mortali. Ah… che bellezza potersi permettere di rinunciare al rimpianto e ai rimorsi, spingendo in salita il peso della nostra angoscia. E, invece, no. Non ce la facciamo proprio a credere che noi non si sia ora, che noi non si sia qui. Ciò che si vede è.
Credere in un’anima, completamente separata dal corpo, può spingerci verso l’illusione di dividere la forma dal contenuto. A quel punto puoi credere che sopravviverai a tutto. Perfino alla morte. Perfino all’attesa di questa maledetta birra che non ne vuole saperne di comparire davanti a noi.
Di recente, una casa editrice che non avevamo mai sentito nominare ha pubblicato un libro esemplare. Si tratta di un oggetto che contiene, pagina per pagina, i disegni degli Ultimi giorni di Pompeo di Andrea Pazienza che rappresentano parole. Qualcuno, abusando di Photoshop, ha rimosso da quelle tavole quasi tutti i segni che non significano suono. Dai pochi esempi che troviamo sul sito in cui è in corso la prevendita del libro evinciamo che siano state lasciate, nelle vicinanze delle parole, le righe del foglio su cui Pazienza disegnava e poco altro. Non sono permessi neanche i numeri di pagina. Una mutilazione di un fumetto meraviglioso giustificata nella maniera più idiota: pare che questo sia il modo con cui editore e curatori vogliono sottolineare «il valore poetico e letterario dell’opera» di Pazienza. Una raffica di rutti e scoregge spacciata per omaggio.
E la birra non arriva!
Così, se a questo punto ci viene da bestemmiare, nessuno capirà se lo facciamo per la sete o per questa operazione scellerata. Chiunque abbia pensato di rimuovere parte del disegno di Pazienza (tutto quello che non ha forma di caratteri alfabetici) è un chiaro assertore dell’esistenza dell’anima. Persone convinte che, nel fumetto, il disegno sia il vestito di un racconto di parole. Gente che, quando vuole esprimere un giudizio su una narrazione, è capace di dare voti distinti alla storia e ai disegni. Persone che non sanno leggere i fumetti.
Ecco. Amiamo i fumetti perché, con il loro essere narrazioni indissolubili in cui tutto si tiene, ci dicono senza paura che l’anima non esiste. Ci dicono che Pompeo è l’insieme di tutti quei segni sulla pagina, anche quando è verboso, anche quando c’è quella nuvola di fumo disegnata male e, proprio per questo, bellissima. Ci dicono che tutto è qui e ora.
Non ora non qui. Questo è il tema che QUASI sceglie di indossare per tutto il mese di luglio.
Ci vediamo su questa pagina tutte le mattine alle 08:00.
Adesso, scusaci. È arrivata la birra.