Ho partecipato all’incontro pubblico “Il fumetto come mezzo di racconto sociale e denuncia politica dai fatti di Genova 2001 ai giorni nostri“, il 19 luglio 2021 presso Music for Peace a Genova insieme a Francesco Barilli, Manuel De Carli, Paolo Castaldi, Alessio Spataro e Zerocalcare, moderati da Alessandro Di Nocera.
Il primo degli incontri dedicati al ventennale di Genova G8. Mi sento sempre a disagio in appuntamenti del genere, perché è chiaro che per quanto il fumetto funga da protagonista, il motivo per il quale sono invitato, con i miei scarabocchi, è qualcosa che si pone a metà tra “invitiamo un autore di fumetti” e “invitiamo un militante che c’era”. Sono piani che per l’autore più venduto in Italia coincidono esattamente, ma non sono io, e la sensazione è che quando invitano me la bilancia coincida più con la seconda questione. E io per primo, forse, queste due cose – che pure mi appartengono – non son sempre riuscito a conciliarle e, anzi, le vivo in contraddizione .
Ma non è di questo che voglio parlarti oggi: non delle fisime di un fumettiere di provincia. Come sai (perché l’ho detto proprio qui) nell’ultimo anno abbondante ho avuto un rigetto, individuale e personalissimo, rispetto al graphic journalism. Non a caso ho cominciato a realizzare la mia prima serie fiction, I Baccanti. In soldoni, non sono più interessato a raccontare il dolore degli altri. Che il dolore è come una carta moschicida, se ti si appiccica addosso non te lo levi più, e la mia famiglia non se lo merita, di vivere con un musone addolorato per cose che succedono a migliaia di chilometri da casa sua. Unica eccezione, i quattro racconti a fumetti che ho prodotto in occasione di questo ventennale del G8 di Genova, le ultime storie per un po’ che ho realizzato illustrando (beh, diciamo tre su quattro) fatti reali. Un lavoro che mi è costato una fatica incredibile, anche se per motivi diversi da quelli che mi aspettavo.
Tornare a Genova vent’anni dopo, con la testa e poi materialmente, è una faccenda dolorosa. Soprattutto in questi contesti. Non posso dire che il G8 di Genova mi abbia lasciato indifferente: non ho mai realizzato un libro sul tema ma l’argomento ha attraversato almeno un paio di miei titoli (il Piccolo Atlante Storico Geografico dei Centri Sociali Italiani e Dossier TAV. Una questione democratica) e generalmente, non so che rapporto hai tu con la morte, ma che morisse un manifestante a una cosa che ho contribuito a organizzare non mi era mai successo prima e spero non succeda mai più. Attenzione, che le parole “morisse un manifestante” sono importanti, mi è pure capitato che in una manifestazione morisse un passante, e non vi dico che esplosione emotiva abbia comportato quello: un’altra cosa che spero non succeda mai più – per il bene dei manifestanti e quello dei passanti, ovvio – ed effettivamente oggi è parecchio più improbabile che io mi possa trovare coinvolto in situazioni del genere.
Detto ciò, riconosco sempre una punta di disagio quando sento il termine “sconfitta” applicato al G8 di Genova. Avere perso Carlo Giuliani in Piazza Alimonda è stata indubbiamente una sconfitta. Ma questa cosa non basta a descrivere le pazze giornate nelle quali ci siamo ritrovati a vivere in decine di migliaia di persone. In Via Tolemaide per un istante abbiamo vinto. Poi chiaro che dall’altra parte hai l’esercito che, in quanto esercito, militarmente è più forte di te, ma di sicuro questi son stati spiazzati quando hanno visto… ecco, quando hanno visto che abbiamo resistito, che eravamo pronti a farlo. La magistratura si è già espressa, possiamo dirlo: la carica al corteo dei disobbedienti in Via Tolemaide era illegittima, tanto che i reati compiuti dai manifestanti per opporvisi sono stati derubricati a “legittima difesa”.
Ecco, io non ci sto, a pensare Genova come una sconfitta. Oggi ricordiamo e guardiamo film su Spartaco: ma Spartaco ha vinto o perso? Il volto di Che Guevara è stampato su milioni di magliette. Che Guevara è stato ammazzato: ha vinto o ha perso?
Non ci sto a considerare Genova una sconfitta. Certo che possiamo, militarmente, considerarla tale. Ma quella sensazione di subire, in migliaia di persone, un’aggressione brutale, e riuscire a reagire, ad allontanare il nemico, quello armato di tutto punto e con protezioni fino ai capelli, con quel che ti dona la strada… è una bella sensazione. Poi hanno ammazzato Carlo, dopo tre ore di scontri. Il magistrato che si è occupato di archiviare il caso parla tronfia su “L’Espresso” della settimana scorsa rivendicando le balle che ci hanno raccontato per tutto il tempo: nessun accanimento sul corpo di Carlo (dopo avergli sparato – «proiettile deviato da un sasso», dicono loro – lo hanno investito due volte col Defender che doveva scappare e pare gli abbiano spaccato la testa, da morto, con un sasso, per poter sostenere la tesi «l’hai ucciso tu! Col tuo sasso» urlata da un solerte responsabile dell’ordine pubblico in quella situazione), l’autopsia è fatta, non si può avere nessun dubbio. Poi ci sono le foto, di un cadavere e un sasso vicino, e di un cadavere e un sasso più vicino ancora ma questa volta sporco di sangue. Ma che ne sappiamo noi, che mica siam periti (seppur ci abbiano provato in tutti i modi).
In quasi tutti gli appuntamenti di questo mese sul ventennale di Genova, arriva spesso la domanda su «come mai il fumetto pare essere il linguaggio che ha raccontato di più e meglio il G8 di Genova». E Capiscimi, a me piacerebbe partire col pippone «il fumetto funziona come la nostra memoria, una sequenza disordinata di immagini e parole» e blablabla come affermato da un tizio di nome Art Spiegelman.
Ma, amico mio, temo che non sia così. Il fumetto è il linguaggio che più ha raccontato il G8 di Genova: certo che detta così sembra una cosa bella, bellissima, ma che generosi che son questi fumettari.
Ma avrei preferito che una cosa così ce l’avesse raccontata il telegiornale, i quotidiani, i siti internet autorevoli.
Perché con un cadavere in strada, centinaia di persone ferite e torturate, del fatto che il fumetto abbia raccontato più o meno bene il G8 di Genova non mi importa per nulla. Preferivo che il fumetto avesse potuto raccontare di meno, preferivo farla finita momentaneamente con il graphic journalism ancora per un altro anno.
Se tocca al fumetto raccontare il nostro presente, ed è senz’altro un linguaggio in grado di farlo e farlo bene (tanto che ci ho dedicato una gran parte della mia vita contro ogni ragionevolezza), significa che le cose non vanno bene. C’ero e mi piacerebbe che il G8 di Genova fosse stato raccontato correttamente, a chi non c’era, da giornalisti, televisioni, teatri e cinema. E anche dal fumetto, certo, ma quando sentiamo «solo il fumetto può/ha potuto/ha saputo» diffidiamo, per favore. Significa solo che chi aveva il dovere di raccontare la realtà non lo ha fatto come doveva, e non sarà, non può essere, il fumetto a sopperire a queste mancanze, nonostante quanto questo ci possa gratificare.
Le illustrazioni di questo articolo sono tratte dalla storia Ricordati perché lo fai, pubblicata in Gli autonomi vol. 9 – I padovani dagli anni ottanta al G8 di Genova 2001 (Derive Approdi, 2021) e dal volume Nessun rimorso a cura di Supporto Legale (Coconino Press, 2021).