Sullo store online della Pro Recco, la calotta paraorecchie della squadra di pallanuoto della cittadina ligure Campione d’Europa nel derby col Brescia nella stagione 2020/21 costa 35 euro, escluse spese di spedizione.
È di quelle professionali, paraorecchie tecniche, tessuto traspirante, colore bianco azzurro come i colori sociali della Pro Recco.
Vedran Corluka è un giocatore croato nato bosniaco e fuggito con la famiglia a Zagabria all’età di 6 anni quando il conflitto civile ha iniziato a essere pericoloso e non risparmiava più nessuno. Si appassiona al pallone, inizia a giocare a calcio, una storia come tante in un paese che si scopre nazione e la cui inclusività, trent’anni dopo, è ancora tutta da dimostrare. Diventa un discreto difensore centrale meritevole di partecipare alle competizioni più importanti come Mondiali ed Europei.
È il 12 giugno 2016, al Parco dei Principi di Parigi la Croazia debutta nel suo Europeo contro la Turchia. I turchi, si sa, sono molto fisici, presi singolarmente sono anche giocatori forti ma insieme fomentano il nazionalregime di Erdogan con risultati quantomeno pessimi, sempre. Non basta il saluto militare a ogni rete, non basta la vicinanza di alcuni al dittatore vestito da democratico illiberale, non basta la sostanza tecnica, i turchi giocano in modo ostile e duro. In quell’Europeo Erdogan ha promesso la bellezza di 860,000 euro, cadauno, di premio se portano la Coppa in Turchia. Finirà come al solito, Turchia eliminata ai gironi ed Erdogan che per l’ennesima volta accantona il messaggio politico che può trasportare il calcio.
Perché il calcio è politica, da sempre. Mai poi come nell’Euro itinerante del 2020 – che si gioca nel 2021 causa pandemia – è evidente. Dai colori LGBT alla fascia da capitano del portiere della Germania Manuel Neuer a cui si allinea quello dell’Inghilterra, Harry Kane, durante l’ottavo Inghilterra – Germania, partita dalla tradizione novecentesca e che richiama sempre momenti epocali (non ultima una frase di Gary Lineker durante la stessa partita al Mondiale di Italia ‘90 divenuta un modo di dire: «Il calcio è un gioco semplice, 22 giocatori rincorrono un pallone e alla fine la Germania vince»), dall’Allianz Arena di Monaco che vuole illuminarsi di arcobaleno con il No imperioso della UEFA durante Germania – Ungheria (e allora c’è l’invasione di campo con un tifoso che sventola in faccia ai giocatori ungheresi la bandiera colorata durante il loro inno memori della legge del dittatore Viktor Orban che limita i diritti LGBT alla rete di Goretzka che festeggia sotto la curva ungherese con il simbolo del cuore, Goretzka conosciuto per le sue posizioni antifasciste e testimonial dei diritti delle minoranze) all’inginocchiarsi all’inizio delle partite per sostenere il Black Lives Matter (e figuraccia della FIGC italiana). Senza dimenticare il sabato dei 12 minuti di Danimarca – Finlandia nei quali il cuore di Christian Eriksen, numero 10 dei danesi, ha regalato al mondo pallonaro attimi tremendi nei quali si è fermato alle 18,42 e poi è tornato a battere.
Croazia – Turchia quindi si gioca in una Parigi preoccupata dalla stagione del terrorismo e i cui controlli, ovunque, sono esigentissimi: dalla fanzone, alla salita del pullman che porta allo stadio, all’entrata nello stesso.
All’ennesimo scontro aereo il volto di Corluka è una maschera di sangue. Righe e rigagnoli gli scendono copiosi da un taglio sulla cute, l’occhio destro quasi interamente inondato che, seguendo le linee magre e tese della fisionomia, colano pure sulla maglia blu. Per metà partita giocherà con un vistoso turbante intorno alla fronte, inutile. A ogni scontro di gioco dovrà rifare la fasciatura fino all’ultimo nel quale è persino costretto a uscire dal campo totalmente malconcio. Inoltre la ferita, seppur medicata, non smette di sanguinare.
L’allenatore Čačić però non vuole sostituire Corluka, nonostante sia ormai barcollante, per non rovinare l’assetto difensivo che comunque, fino a quel momento, ha retto alle offensive turche. Solo che il sangue non smette di colare. Il medico della Croazia è Boris Nemec che aveva curato in anni precedenti la medaglia d’oro olimpica croata Paulo Obrabovic, che gli aveva regalato la sua calotta per riconoscenza e che in quei frangenti tentava di fermare il sangue dalla ferita di Corluka. È il fisioterapista Nderim Redžaj a suggerire di racchiudere l’ennesima medicazione con il berretto da pallanuoto e fu così che Corluka giocò le ultime fasi della partita tra Croazia e Turchia con la calotta da pallanuoto in testa. Modric segnerà venendo premiato quale miglior giocatore, ma sarà Vedran Corluka, il suo volto insanguinato e la calotta da pallanuoto a passare alla storia in quella partita.
A Euro 2020 che si gioca nel ‘21 al Wembley Stadium si gioca Inghilterra – Croazia. Sugli spalti, da lì in avanti ogni volta che i croati scendono in campo per le quattro gare che vivranno all’Europeo, tifosi con la calotta da pallanuoto appariranno festanti e orgogliosi a favore di telecamere e fotografi. Il tutto dovuto per omaggiare Vedran Corluka e la sua gara coraggiosa.
Ça va san dire, la Croazia pallanuotista è fortissima.
Da Chiavari a Recco sono venti minuti di autostrada. Venti minuti lisci, senza traffico o rallentamenti che le autostrade liguri regalano ogni tanto quando non sono code chilometriche di ore. Usciti, c’è la lunga serpentina di tornanti che scivolano appendice delle colline, scendendo verso il mare: su uno di esse, si affaccia il campo di rugby.
È il campo da rugby, da allenamento e da partite, della Pro Recco Rugby.
Non è una novità, il 1968 (racchiudendo in quell’anno tutto il movimento che aveva preparato le rivoluzioni di quell’anno specifico e le sue conseguenze sociali e culturali) ha portato ad altre rivoluzioni e lo sport, per quanto se ne possa dire, è uno specchio cristallino delle stesse. Non a caso, il primo scudetto riconosciuto di calcio femminile è della neonata Genova femminile, con Maura Fabbri come icona, qualche chilometro più in là sul levante verso La Spezia nasce la Pro Recco Rugby.
Maglia a righe bianca e azzurra, Squalo nello stemma, ha tanto di marittimo pur essendo uno sport di fango e sudore.
Comune con la pallanuoto, la calotta, che alcuni giocatori (quelli che vanno in mischia e difendono) tengono a protezione di scontri violenti.
Genova stessa poi è stata spesso spartiacque di eventi che hanno segnato il paese Italia. In ordine sparso e a memoria solo dell’ultimo secolo appena passato: è stata la prima città liberata dal nazifascismo durante la Seconda Guerra Mondiale dando forza a tutte le altre, il G8 del 2001 lo si ricorda proprio in questi giorni il cui strascico sociale e storico è ancora pesantissimo, il Ponte Morandi e la sua immane tragedia del 2018 simbolo di una nazione che vede sgretolare le infrastrutture che ci hanno reso famosi nel mondo negli anni del boom economico.
Genova non è una città banale, non se ne parla mai ed è spesso dimenticata ma ha nella sua genetica vibrazioni straordinarie e innovazioni culturali notevoli. E con lei, i comuni limitrofi che ne incrociano il tessuto sociale e la rendono ancora più completa.
Alla Barachetta ci si ritrova dopo un anno e mezzo difficile. Come tutti, anche le mie famiglie hanno vissuto lockdown, mascherine, gel, preoccupazioni, tamponi e infine vaccini, nipoti che hanno preso le varianti inglesi e defezioni, eppure siamo contenti, contentissimi. E ci abbracciamo, dopo un tempo che sembra lunghissimo.
Mio cognato si presenta con la maglia del Sudafrica di qualche anno fa. Mio nipote lo vestimmo per Italia – Germania di Euro 2016 con la sua maglia della Nazionale. Povero figlio, ci inciampava coi piedi mentre vedevamo Pellè fare lo scavetto con la mano a Neuer e farsi parare impietosamente e vergognosamente il proprio rigore.
Parliamo di felicità, di rugby, di ciclismo, risalendo la passeggiata nuova dell’insenatura che, come a Nervi, riqualifica zone un po’ abbandonate a se stesse e che oggi sono il perno del turismo locale. La stessa Baracchetta, rinomatissima per la focaccia al formaggio, da che si è data una ripulita, dicono, ha perso quel tocco di spartano che rendeva la loro focaccia la più buona. Al contrario si vocifera di altri posti meno famosi ma che ne hanno tratto vantaggio in bontà rispetto a posizione e restyling.
Ci giocava mio cognato nella Pro Recco Rugby, quella maglia a righe l’ha indossata quando abitava in Liguria, quando si era giovani, prima dei figli, prima. Una bella avventura di quelle che illuminano gli occhi quando la si racconta.
La squadra ha avuto momenti buoni, sono quelle realtà da grande famiglia con un pubblico fidelizzato e amici che fanno anche da sponsor, quelle realtà locali che a viverle o vederle di sottecchi danno una ragione dell’essere: si respira quell’aria lì, si ama quella fatica lì, si lotta per quella maglia lì. È cuore, è polmoni, è uno stile di vita che va oltre il campo, sul quale comunque si dà tutto.
Lo squalo del logo è arrivato una decina di anni fa, il rinnovamento passa anche dalle nuove forme di comunicazione, ciò che può essere pop passa oltre il magazine della Pro Recco Rugby (roba da Novecento, il magazine regalato dai volontari all’ingresso del campo, lo fanno ancora al Comunale di Chiavari quando gioca la Virtus Entella ma anche al Pala Lardini a Filottrano per le gare della squadra femminile di pallavolo) è instagrammabile e va bene così.
La prima volta che sono stata a Recco, sugli scogli, osservavo nuotatori dai fisici asciutti e tonici che accompagnavano due porte nautiche iniziare una partita di pallanuoto. Sotto la scogliera alta e scura, una partita combattuta con regole tacite, divertendosi e tenendosi in allenamento. Abituata ai campi da beach romagnoli, alle spiagge lunghe condite di giochi e bar, racchettoni e bocce, qualche metro di sassolini e poi il mare, il beach ligure è la pallanuoto. Le ritrovo anche a Chiavari, passeggiando dalla Colonia Fara attraverso la Piazzetta dei Pescatori verso il lungo Entella e prima della bocciofila, prima degli scogli un lido aveva lasciato la porta galleggiante per i bagnati del giorno dopo.
La Pro Recco è un’istituzione.
La pallanuoto non ha i contorni calcistici, la stessa geografia delle squadre non ha nulla a che vedere con grandi città come si è abituati col pallone. Non ci sono derby se non, chiaramente, italiani come nell’ultima finale di Champions Pro Recco – Brescia, non ha la logica calcistica che ha modificato il ragionare e il pensiero comune quando si pensa a uno sport diverso dal calcio. A guardare l’albo d’oro fino agli anni ‘50 del secolo scorso magari un riferimento c’è anche, poi c’è il ‘68 e cambiano un sacco di cose: vince il Camogli, il Posillipo, i Canottieri Napoli, il Pescara, il Bogliasco, il Florentia, il Savona. Il Brescia arriva in questi ultimi anni, vince l’ultimo campionato dopo un dominio assoluto della Pro Recco che dura dal 2006. E’ un mondo a parte, come il rugby, mondi ai quali non si è abituati e che affascinano appena li si scopre, anche solo per cambiare un po’ aria.
È luglio.
Un’estate europea e politica.
L’Italia Campione d’Europa dopo un anno e mezzo devastante.
Nel mio Il giorno più bello, edito da Rizzoli Lizard, le ragazze vanno in Puglia prima del matrimonio di Tina per due settimane di godutissime ferie, e casini vari.
C’è una doppia pagina delle amiche che si svegliano nella lentezza dell’estate, camminano sorridenti nelle stradine mezzo asfaltate di San Pietro in Bevagna attorniate da case basse a un piano, fino ad arrivare in spiaggia e farsi un tuffo nell’Adriatico.
Quello che farò io, di qui a poco.
Splash!
Rimini 1975, disegnatrice di fumetti, fumettara, illustratrice. Pubblica dal 1999. Qualche titolo: la fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, le graphic novel Io e te su Naboo e Cinquecento milioni di stelle, il fumetto sociale Dalla parte giusta della storia, il reportage a fumetti scritto dalla giornalista Elena Basso Cile. Da Allende alla nuova Costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?.