#1
Le vent nous portera dei Noir désir. Gruppo e canzone con cui da troppo tempo sto rimandando al mia resa dei conti. [BB]
#2
Pensare che si alzi il vento, per me, è sempre che si alzi «un vento, un vento freddo, che le speranze come foglie butta giù»: Ma che freddo fa è una delle prime canzoni che mi hanno stregata da piccola. E che mi hanno fatto venire voglia di cantare. La sfumatura nasale della voce di Nada, che la accompagna mentre cambia di ottava, la sua capacità di evocare un’innocenza, uno struggimento: e quel crescendo, «cos’è la vita senza l’amore», che poi è stato il primo, mostruoso imprinting dell’immaginario patriarcale degli anni Sessanta. A cinque anni avevo solo, finalmente, un mangiadischi (e infatti l’altro 45 giri che ho chiesto era O-Bla-di O-bla-da, la versione con una devastante Back in the U.S.S.R sul lato B., che mi ha lasciato il secondo imprinting indelebile, ma sto perdendomi). Ancora adesso, persino nelle versioni che mi fanno più schifo, se parte quella specie di intenzione subito abbandonata di Rolling Stone a cui segue «D’inverno il sole è stanco e a letto presto se ne va, non ce la fa più», io comincio automaticamente a cantare. Ilfreddo che fa ora l’ho provato tante volte, è il freddo interiore che anticipa e poi si accompagna a paura o dolore. A cinque anni, come mi succede anche ora, mi ero semplicemente innamorata di una canzone. Che propone anche una sua – opinabile – soluzione: basterebbe una carezza, per un cuore di ragazza, no? [AS]
#3
«Give me more than one caress, satisfy this hungriness/ Let the wind blow through your heart/ For wild is the wind, wild is the wind» (Dammi più d’una carezza, soddisfa questa mia brama/ Lascia che il vento ti soffi nel cuore/ Perché folle è il vento, folle è il vento). Vabbè, magari sono versi melensi. Ma se li canta lui danno i brividi. Almeno a me. [FB]
#4
Poi… Melensi… Bowie decise di incidere quella cover dopo averne sentita (credo dal vivo) un’esecuzione di Nina Simone. Come dargli torto? [PI]
#5
E mentre cercavo la versione di Wild is the Wind da inserire, sono inciampato in questo pezzo dal vivo. Ho riso mentre lo vedevo e adesso sto piangendo. Era davvero una regina. Forse per quella collana. O per quell’abito nero, quella risata, quella presenza sul palco, le dita sul piano che si muovono di vita propria mentre canta con quella voce. Nina Simone. Questa canzone non c’entra niente con il vento che si alza. Ma, proprio qui proprio ora, io ho voglia di ascoltarla di nuovo. [PI]
#6
All’inizio degli anni Ottanta, il contratto di Tom Waits con Asylum è esaurito. Tom si presenta negli uffici della casa discografica per il rinnovo con un demo in cui ha registrato degli strani rumori. Il nostro odia la batteria, si sa. Non riesce a capire perché si debba usare uno strumento costosissimo per fare quei suoni quando con la tavola del cesso ottiene rumori più belli. In discarica ha trovato oggetti che, assemblati a dovere, producono musiche meravigliose. I manager di Asylum non capiscono, la situazione diventa tesa e, alla fine, Tom Waits firma con Island. Pubblica tre dischi memorabili e un live che segnano gli anni Ottanta. Nel terzo, Franks Wild Years, c’è una canzone che racconta cosa succede quando si alza il vento. [PI]
#7
Paolo Conte è l’unico cantante che io conosca a essere riuscito a infilare la parola scorreggia in una canzone, senza che quest’ultima si trasformasse automaticamente in una burla greve e caciarona. Anzi, l’ha fatto per ben due volte. La prima in Per ogni cinquantennio del 1975, nel suo secondo disco, ma si sa, quelli erano i tempi di La giarrettiera rosa, Bartali, Messico e nuvole, e poteva anche starci. La seconda volta però risale al 2010, quando Conte è già da tempo l’acclamato chansonnier osannato all’Opera e in tutto il mondo. Lui non sembra preoccuparsene e, senza colpo ferire, infila la ventilante e impronunciabile parola ne L’orchestrina. [FP]
#8
Vamos chamar o vento canta Miriam Makeba, interpretando Dorival Caymmi. [TM]
#9
E poi i Foja col bellissimo video che accompagna ‘O sciore e ‘o viento. [TM]
#10
Polly Jean Harvey non ha mai mancato il colpo, almeno su di me, ivi inclusa la parte (o le parti) di armamentario prettamente maschile ricettive a certa sostanza femminile. Specie se a peso specifico altissimo come quello di PJ – una pétite con uno charme speciale, fuori centro rispetto a canoni plasticosi ma non restio dal misurarsi con grazie e agghindamenti anche classici, e con dentro un Panzerkampfwagen di talento musicale. Il vento di cui canta mica lo senti, ti perdi nel controcanto autogestito di lei, tra la voce sussurrata e quella flautata la tua attenzione è tutta da un’altra parte – però la sirena intanto canta una storia che si intuisce terribile, ancora una donna osteggiata, deprivata, reietta. Finisci, come maschio, per arrossire – senza che il desiderio sia scemato. Quando cala il silenzio ti viene quasi da chiedere scusa ma non si sa bene perché. [LC]
#11
Anche se non sei un cultore di folk irlandese (io, per esempio) non puoi non soffermarti ad ascoltare Lisa Gerrard che canta questo pezzo, ai tempi della virata abbastanza etnica dei Dead Can Dance. La ballata , inevitabilmente, parla del ribelle che lascia l’amata per unirsi a una delle ormai innumerabili rivolte contro gli inglesi. L’orzo del titolo ha un suo percorso particolare, non cresce nei campi se non dopo la morte di colui che lo trasportava: germina e cresce, piegandosi al vento, in ciuffi isolati o in estensioni più ampie, dove i corpi erano stati sepolti in fosse comuni. Insomma, tanta allegria insulare da isole britanniche – come nella tradizione. [LC]
#12
O provate a dirmi che non vi viene da cantarvela subito, in testa: «Via col vento, il vento della steppa / Balla con Juri, il piccolo cosacco». Un collage dell’immaginario GiovanniLindoFerrettiano nella riflessione sulla contemporaneità che è anche un buon concentrato di analisi geopolitica e massmediologica, ancorché poco ortodossa e tirata via nei tempi e negli spazi di una canzone. Il vento soffia ma porta scorie e contaminazione, il mondo immaginato della celluloide non suona sanissimo o consolatorio, privo di zone franche, con il porno agganciato a mo’ di trenino ai titoli d’autore. «Decade malefica in stolto secolo, dicevano da qualche altra parte». Il millennio a seguire non è iniziato meglio… Da bassista, una annotazione: un Gianni Maroccolo in formissima, come strumentista e arrangiatore, sornione come un Gatto del Cheshire e imponente ma benevolo come un Ghanesh. La cassetta (quel robo col nastro magnetico dentro) di Ko de Mondo l’ho praticamente finita. [LC]
#13
Se c’è un compositore che ha saputo portare il vento nella musica questo è Vivaldi. C’è la tempesta estiva e c’è il vento gelido e tagliente dell’Inverno, nel quale pure si può stare, rianimati, finanche esaltati. Mi sono affezionato allo stile esecutivo dell’ensemble La Serenissima con l’Estate, ecco quindi l’Inverno. Viene da immaginarsi in una Venezia sognata, neppure troppo idealizzata, a ficcare naso e sguardo nella tramontana da Punta della Dogana, in tabarro e tricorno (senza navi da crociera nel canale della Giudecca, ovviamente). Poi il brano finisce, ti dai uno schiaffetto da solo e ricadi nel qui e ora, che ha smesso di essere torrido e sudaticcio da solo un paio di giorni, grazie a un poco di buona sorte… [LC]
#14
«Se stai viaggiando nelle limpide terre del nord/dove i venti soffiano forte sul confine… ». Un attacco che mi ha sempre fatto tremare e riempito di gioia. Sarà perché amo le terre del nord, sarà perché Dylan, mannaggia a lui, sa come e dove mettere le parole sulla musica. Questa strana e malinconica versione del pezzo è fatta con Johnny Cash, dopo il famoso incidente in moto di Dylan che gli ha cambiato completamente la voce per qualche anno. [FP]