Cerebus vol. 11: “Guys” (dicembre 1995 – giugno 1997)

Omar Martini | La corsa dell’oritteropo |

Il tema del volume Guys è esattamente quello che si può intuire da un titolo come Uomini: quello che fanno e dicono gli uomini (forse una resa migliore potrebbe essere Ragazzi, nell’accezione con cui si indica qualsiasi persona di sesso maschile dai quindici ai settant’anni… e oltre) quando si trovano tra di loro. Nella taverna di Bear siamo quindi esposti a infiniti discorsi, il più delle volte basati sul nulla, con considerazioni e giudizi sulle donne, nonché ricordi di passate avventure sentimentali, di un gruppo di persone di sesso maschile. La fauna, oltre a Cerebus, non è numerosa ed è fondamentalmente composta dal personaggio che ha le fattezze dell’attore britannico Marty Feldman, da due fratelli resi come i Beatles prima maniera, dalla versione “simiana” di Mick Jagger (con fattezze leggermente diverse rispetto a quelle viste in passato), oltre ovviamente al barista Bear stesso.

A questi, si aggiungono una serie di guest-star del fumetto di quegli anni. È da segnalare, infatti, che in quel periodo il creatore di Cerebus, assieme a diversi autori, era impegnato in un tour promozionale del fumetto indipendente (lo “Spirits of Independence”). Per questa ragione si possono vedere, per esempio, Bacchus e Alec con il loro autore Eddie Campbell, una donnina che sembra disegnata da Paul Pope, Tug & Buster di Marc Hempel, e Too Much Coffee Man di Shannon Wheeler, continuando così il discorso citazionistico e meta-fumettistico che percorre tutta la serie e dando vita, in un certo senso, a una “fotografia” (parziale) della scena autoriale dell’epoca, adesso fondamentalmente scomparsa e quasi dimenticata.

Altro elemento meta-narrativo che compare quasi in sordina e che continua il discorso reso esplicito in Minds è il rapporto di Cerebus con Dave, il suo creatore. Il protagonista chiacchiera con una la donna, rivelandole che stanno vivendo in un fumetto (una situazione riecheggiata quasi dieci anni dopo nel film con Will Ferrell Vero come la finzione) e suscitando poco più di un perplesso stupore, e instaura una conversazione con lo stesso Dave. Questa è una delle parti più complicate da capire (probabilmente perché, oggettivamente, un po’ confusa): quando i due si parlano non si nota nessuna differenziazione grafica nei balloon, ma vengono sempre usati dei balloon di pensiero che non è chiaro a chi appartengano. L’impressione iniziale è quella di leggere un monologo contorto, ma sono alcuni piccoli dettagli, oltre al fatto che già nel precedente arco narrativo, quando era chiaro che c’erano due personaggi (Cerebus e Dave), non era presente una distinzione grafica precisa e si capiva chi parlava solo dall’interpretazione dell’attribuzione delle battute. In questo caso, invece, è tutto più sfumato e ambiguo. Questa scelta, però, è coerente con quello che Cerebus è diventato: l’oritteropo È Dave Sim e quello che accade al personaggio di carta è quasi sicuramente accaduto nella realtà a lui. Il tono è personale e ha quel taglio di autobiografismo che non è sufficientemente filtrato e oggettivizzato dall’autore da rendere “universali” gli eventi “personali”, per cui il risultato finale rischia di apparire poco interessante per il lettore. Essendoci questa identificazione (probabilmente in parte involontaria), diventa coerente il fatto che non si distingua chi sta parlando tra i due: non esiste la separazione perché Dave e Cerebus sono la stessa persona, sono entrambi personaggi fittizi di una terza persona, per cui è naturale che parlino con la stessa voce. È un dialogo che sembra un monologo perché in realtà è un monologo ed è coerente che sia realizzato in questo modo, nonostante il forte rischio di confondere le idee al lettore che si immerge sempre più profondamente in questi turbamenti emotivi e personali.

Dato che i “ragazzi” parlano di sesso e di relazioni (in particolare, Bear), la rappresentazione che viene fatta delle donne, sempre da un punto di vista maschile (o maschilista), è quella di un polo di attrazione con cui non c’è un rapporto paritario (come poteva essere quello che, inizialmente, si era instaurato con Jaka, prima dello stravolgimento avvenuto nel corso della serie). Vengono rappresentate come delle tentatrici, delle manipolatrici che riescono a far perdere la testa alle loro controparti grazie al proprio corpo. È quindi un elemento fisico quello che lega i rappresentanti dei due sessi poiché, come esplicitamente espresso nei libri precedenti, sono le donne a essere il vuoto e a sedurre gli uomini. In questo volume la visione utilitaristica illustrata concettualmente (cioè l’incontrollabile istinto sessuale mascherato blandamente dal sentimento) viene rappresentata narrativamente in maniera esplicita, soprattutto nella seconda parte, quando Cerebus si trova solo perché Bear l’ha abbandonato per una fidanzata del passato, e l’oritteropo stesso si trova al centro dei “raggiri” di Joannie, la donna che aveva conosciuto (anche biblicamente) nella realtà alternativa che Dave aveva realizzato per lui alla fine di Minds.

Trattando le abitudini inutili dei “ragazzi”, l’autore crea uno sport (un incrocio tra il calcio e il tennis) a cui Bear e Cerebus cercano di giocare… ma l’attività a cui i due amici preferiscono dedicarsi maggiormente, a parte le chiacchiere da bar, è il bere. In questo caso, Cerebus dà il meglio (o il peggio, a seconda dei punti di vista) di sé. Questo viene rappresentato soprattutto nella seconda parte della storia in cui, gestendo da solo una taverna in cui non sembra entrare mai nessuno, si trova a dialogare incessantemente con se stesso (o con Dave?) per resistere alla tentazione di bere sempre, non solo al termine della giornata di lavoro.

Infine, da un punto di vista formale ha luogo un’estremizzazione dell’uso del linguaggio e della sua duttilità, concretizzando l’idea che è sempre circolata sull’intraducibilità di questo fumetto. A seconda dei personaggi, si modifica, si deforma e diventa qualcos’altro, rasentando in molti casi l’incomprensibilità, soprattutto nel caso di Mick (la parodia di Mick Jagger) o di Harrison (la versione di Paul McCartney con caschetto beatlesiano e pesante calata di Liverpool). Continua a notarsi la forte influenza di Will Eisner in tutti questi elementi grafici (il lettering, le onomatopee, l’uso gergale della lingua, la decostruzione delle vignette per rendere in maniera espressionistica i turbamenti interiori, soprattutto nei momenti di solitudine dell’oritteropo), forse più legato al periodo di “Spirit” in cui, soprattutto quando ci collaborava Jules Feiffer, queste tendenze venivano esplorate maggiormente, che in quello del ritorno e della successiva produzione di graphic novel. È una lezione andata perduta e di cui si perpetua in parte qualcosa nel lavoro di Ken Bruzenak (soprattutto quando collabora con Howard Chaykin, l’unico altro autore estremamente attento alla costruzione grafica della tavola e degli elementi che la compongono), Tom Orzechowski, Todd Klein e Richard Starkings, tra i pochi che hanno esplorato e continuano a esplorare in modo sistematico le possibilità di creatività e industrializzazione del lettering e delle onomatopee.

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