Maschio e femmina l* creò

Boris e Paolo | QUASI |
Disegno di Titti Demi

Facciamo QUASI e i generi ci interessano molto.
Anzi, diciamocelo, ci ossessionano proprio. Abbiamo capito che il genere è un contenitore confuso dai confini incerti. Un segmento che interessa solo chi deve commerciare qualcosa. Una linea rispetto alla quale ci si può presentare solo con intenzioni da venditore o da compratore. Ciò che viene infilato in quella scatola è spesso ridotto alla sua qualifica di prodotto. Merce.

Facci caso. Quando si parla di genere, normalmente ci si riferisce a una caratteristica, a scapito di altre: la presenza di un’astronave, di un popolo mitico, di un pene, di un crimine, di un amore, di un’indagine, di una vagina, di un mostro, … Come se, per orientare un mondo bastasse una sola caratteristica. Come se tutto ciò che esiste fosse risolvibile in un sistema con un’unica variabile.

Le storie in cui viviamo sono più complesse di così. Molto più complesse.
Ci piace molto riferirci a un discorso che Jorge Luis Borges, un tipo capace di navigare fluidamente tra i generi, riferiva a un libro che aveva curato con Silvina Ocampo e Adolfo Bioy Casares. Scriveva:

«Ho compilato una volta un’antologia della letteratura fantastica. Ammetto che quell’opera è fra le pochissime che un secondo Noè dovrebbe salvare da un secondo diluvio, ma denuncio la colpevole omissione degli insospettati e massimi maestri di quel genere. Parmenide, Spinoza, Leibniz, Kant, Francis Bradley. Infatti che cosa sono i prodigi di Wells o di Edgar Allan Poe – un fiore che ci arriva dal futuro, un morto sottoposto all’ipnosi – in confronto all’invenzione di Dio, alla teoria laboriosa di un essere che in qualche modo è tre e che solitariamente perdura fuori del tempo? Che cos’è la pietra bezoar di fronte all’armonia prestabilita, chi è l’unicorno di fronte alla Trinità, chi è Lucio Apuleio di fronte ai moltiplicatori di Buddha del Grande Veicolo, che sono tutte le notti di Sherazade accanto a un argomento di Berkeley? Ho venerato la graduale invenzione di Dio; anche l’Inferno e il Cielo (una remunerazione immortale, un castigo immortale) sono ammirevoli e curiose concezioni dell’immaginazione degli uomini.»

Le storie in cui viviamo sono la cosa più simile a Dio che abbiamo. Una storia ti entra dentro, ti rende felice o triste, cambia il tuo umore, a volte cambia il modo in cui pensi, addirittura la tua vita. Quando hai una storia, poi, senti immediato il desiderio di dirla. Accidenti, sembra proprio Dio. E allora ci riferiamo a un racconto fondante, di bellezza lancinante, che contiene anche la prodigiosa invenzione di un dio. Permettici di copiare un versetto della Bibbia, Genesi 1:27:

«E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.»

Ci piace molto l’algebra di Boole. È facile da capire e funziona. Accetta due soli valori – Vero e Falso – sui quali si possono eseguire tre operazioni principali: la congiunzione (o prodotto logico), indicata con AND; la disgiunzione (o somma logica), indicata con OR; la negazione (o complementazione), indicata con NOT.
I risultati di quelle operazioni concedono pochi margini di dubbio.

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A questo punto ci piace osservare che il testo biblico dichiara esplicitamente che il Dio della genesi, preoccupandosi del genere degli esseri che deposita nel giardino dell’Eden e con cui poi popolerà il mondo, esegue una moltiplicazione logica.

Mica «Maschio OR femmina li creò». Non ci sono dubbi. «Maschio AND femmina li creò». Anzi, «Maschio AND femmina l* creò». Ogni singolo individuo presente sul pianeta. Lo dice anche la Bibbia.

Di questo parla QUASI d’ottobre.

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(Quasi)